Gerardo, puoi presentare la tua famiglia?
GERARDO: E composta di quattro persone: io, Gerardo, papà di Pablo e di Daniele e marito di Rita. Ho 53 anni e sono rappresentante di aziende dolciarie; Rita ne ha 48 e sta a casa, forse anche contro la sua volontà; Pablo ha 25 anni, va alla scuola Vaccari, Daniele ha 22 anni e fa scienze politiche all’università.
Rita, come passi la giornata e che posto occupa Pablo nella tua vita di oggi?
RITA: Io sono molto più libera adesso in confronto a quando Pablo era piccolo. Ho acquistato molta più esperienza e più tranquillità nel gestire la mia vita. Lui occupa sempre una parte importante: la mattina, alle 7, lo devo preparare: vestirlo, lavarlo; mentre lui fa colazione io mi preparo. Questo quando non è agitato; la sua emotività lo porta a volte a non mangiare, ad aver bisogno dell’areosol per un attacco d’asma. Da solo, Pablo non fa quasi nulla: può mangiare da solo, ma per la toilette ha bisogno di tutto. Poi lo accompagno al pulmino e io risalgo in casa.
La mia giornata. Quando Daniele è in casa, facciamo delle belle chiacchierate e delle belle litigate. Ci scontriamo facilmente: la sua stanza è qualcosa di indescrivibile! Qualche volta lo ascolto ripetere le pagine dei suoi esami; questo lo aiuta. Poi mi organizzo il lavoro lasciandomi degli angoletti tutti per me, senza i quali non potrei vivere, durante i quali per lo più leggo, soprattutto libri di psicologia. Le faccende in casa me le organizzo come voglio: posso leggere alle dieci e spolverare alle due… altrimenti la vita mi diventa difficile; preferisco alternare, variare. Ho già le ore fisse per Pablo e per gli altri; quando sono libera da quelle, preferisco fare come desidero.
È la mia valvola di salvezza. La mattina, una volta la settimana, vado a trovare Maurizio e ora ho preso contatto con un’altra mamma che ha un bambino molto grave. Maurizio è un tesoro, ha tre anni, è piccolo piccolo per la sua età.
Non ha i braccìni e le manine; ha solo due ditini. Non parla, non sta seduto. Ma fa una tenerezza! Adesso comincia a riconoscermi.
Ci sono andata la prima volta con Rosa, un’altra mamma. Abbiamo conosciuto la mamma di Maurizio che ci ha fatto ricordare a quando anche noi eravamo nelle sue condizioni: sole! Mi sono presa l’impegno di andare una volta alla settimana a trovarlo, a stare con lui per liberare un po’ la mamma. Ora va meglio perché lo ha messo al nido.
Altre mattine, vado fuori, incontro tutte le signore del quartiere, le conosco tutte, parlo con tutte… c’è una signora che ha una bambina piccolina e ora ha un pancione così! «Un altro?» le ho detto. «Sì!» Mi piacciono tanto i pancioni, mi fanno una gran tenerezza. Ogni volta penso… potrebbe succedere… Purtroppo continuano a nascerne… Noi, con Gerardo, ne avremmo voluti cinque! Qualche volta vado da mia madre, che ha 79 anni e bisogna darle una mano in casa. E una volta la settimana, mi riunisco con altre persone per parlare un po’ dei nostri problemi, sotto la guida di mia sorella. Ho frequentato anche un corso di psicologia, non per guardare al passato, per andare avanti.
Pablo ritorna verso le cinque, allora… devo occuparmi di lui e degli altri.
Daniele, sei stato condizionato dalla presenza di Pablo nella tua vita di bambino, di adolescente e come?
DANIELE: Molto, moltissimo. Non so come sarei stato se non avessi avuto questa situazione. Molto spesso me lo domando. Come sarebbe stato il mio rapporto con un fratello maggiore non così… la complicità che non c’è mai stata tra noi. Nell’infanzia, la sua presenza mi ha sicuramente condizionato molto: l’aria che si respirava… Ma ricordo che alla sera, sul divano, mi sentivo molto protetto: il nucleo familiare era tranquillizzante.
Da adolescente, in certi momenti, mi ricordo, ho avuto delle reazioni molto violente, soprattutto verso Pablo. Mi domando spesso come sarebbe la vita in questa famiglia se lui non ci fosse. Quando lui è fuori casa per un campeggio, io mi godo la vita molto di più. Alla sera si cena più tardi e non alle 8 in punto, c’è più tranquillità; si sparecchia con comodo, ti puoi godere la televisione come ti pare invece di fare i duemila movimenti: sempre le stesse cose, sposta la carrozzella, apri i letti, metti a posto, portalo sul letto… anche se è vero che non mi viene chiesto troppo.
Rita, ce la fai ancora a fare tutto da sola con Pablo?
RITA: E una questione di cervello. Mi ricordo che quando ero depressa il corpo non ce la faceva. Se sto bene mentalmente, dentro, con me stessa, Pablo me lo prendo e lo porto. A parte i doloretti…
DANIELE: Troppo ci sarebbe da dire, potrei parlare fino a dopodomani. Molte cose sono state positive. Penso che una certa sensibilità che mi ritrovo, non l’avrei avuta se non ci fosse stato Pablo. Ma mi rendo conto che questa stessa sensibilità la trovo anche in persone che non hanno avuto questa esperienza diretta. Ho un amico, Riccardo, che non ha avuto la mia esperienza, ma ha la stessa sensibilità verso Pablo, forse perché è vissuto molto in questa casa, con noi; ci dà una mano, ci aiuta. E un mio compagno di scuola. Con le ragazze, quand’ero giovane, avevo un po’ il problema di portarle a casa; mi ha sempre dato fastidio la gente che lo guardava. Adesso non ho più problemi.
RITA: Mi ricordo che quando Daniele faceva la prima elementare, un pomeriggio siamo dovuti andare a parlare con la sua maestra. E ci siamo andati con Pablo. Per strada ci guardavano e tu, Daniele, mi hai chiesto: «Mamma, perché ci guardano?» E io ti ho risposto: «Perché siamo belli!»
DANIELE: L’episodio, non me lo ricordo, ma la risposta me la ricordo benissimo!
Adesso mi metto a disagio quando c’è gente, perché gli devi stare «appresso», e questo mi scoccia. Se lui parla con qualcuno, non mi importa, se la vede lui con Pablo. Io mi faccio gli affari miei; sono contento che lui abbia la sua autonomia; con lui mi piace avere un rapporto diretto, se ce lo devo mandare, ce lo mando.
Hai avuto dei momenti in cui hai detto o avresti voluto dire ai tuoi genitori: «Io con Pablo in questa occasione farei così e non come fate voi ?»
DANIELE: Molte volte e lo continuo a fare, soprattutto adesso. Per esempio non sono d’accordo che gli diano da bere quando lui dice, all’infinito: «Ho sete, ho sete!» Lui non deve fare il comunicato stampa, deve chiedere: «Datemi da bere». Quando siamo soli, lui, che ha capito, mi dice: «Mi metti dell’acqua?» Altre volte, forse per scaricare un po’ della sua aggressività, litiga con papà per una stupidaggine e ripete frasi all’infinito, sempre le stesse. Io subito, taglierei corto e lo porterei nell’altra stanza. Non voglio sentire discussioni che durano ore, perché tanto lui quando si deve sfogare, lo deve fare: non ci son santi che lo fermano. Così, va di là; continua il suo sfogo da solo e poi passa. E inutile fare discorsi che sento da vent’anni: «Ma lui, ha ragione, perché…» tanto non serve a niente.
RITA: E così, non mangia!
DANIELE: E va be’, non mangia!
GERARDO: I suoi litigi, con me, non hanno logica. Sono sfoghi di impulsi che gli vengono forse dopo una giornata nera, o perché al centro non ha fatto nulla tutto il giorno… Mi ripete all’infinito, «Tu non devi ridere perché io…».
DANIELE: Lui ha tutto il diritto di sfogarsi, ma non può monopolizzare tutti con il suo sfogo. Tanto se si sfoga di là è la stessa cosa e stiamo meglio tutti.
Tu, Pablo, che ne pensi?
PABLO: Io certe volte con lui faccio il bravo; qualche volta no, perché lui non deve ridere. Qualche volta io mi vedo la televisione… (per l’emozione di parlare, scivola giù dalla sedia. Rita e Daniele, con energia e un fischio, lo rimettono a posto)… Io non mi arrabbio quando loro si mettono a parlare, io non mi metto a ridere; ascolto.
Sempre li lasci parlare?
PABLO: No, io parlo quando mi pare.
Pablo, chi sono i tuoi amici?
PABLO: Romana, e poi Lello; poi c’è una ragazza che si chiama Alberta, che mi viene a prendere ( assistenza domiciliare), che mi porta in gita con gli altri, a Bolsena. Tutti insieme; poi andiamo al bar. Poi capita che mi telefonano.
Gerardo, qual è, oggi, il tuo desiderio più grande?
DANIELE: Comunque mi sembra di essere fatto apposta per una situazione del genere… come se ci fossi nato apposta
GERARDO: Sorprenderà, ma non lo so dire. Non ho grandi desideri. Quello che ho sempre desiderato, credo di averlo ottenuto; forse perché da bambino mi è mancata, ho sempre desiderato avere un famiglia serena; questa mi pare di averla ottenuta. Il resto, non mi interessa. Vorrei veder sistemati i figli, ma è un desiderio banale, di tutti.
E la tua delusione più grande?
GERARDO: Grandi delusioni, non ne ho avute, a parte questa drammatica che ho ormai superato. Basta dare la giusta misura alle cose. Anche se le difficoltà sono sempre presenti, riesco a conviverci bene; non la vivo più come una delusione. Mi succede spesso di pensare alla mia famiglia senza questo problema, a come sarebbe stata. La immagino «vissuta» di più nel suo insieme. Più marito. Sono convinto di non aver vissuto appieno il mio modo di essere: un vivere più dettato dalle circostanze e questo è un rammarico.
Un tuo grande dispiacere, un rimorso…
GERARDO: Certamente ho fatto degli errori, ma anche questi sono stati un po’ la conseguenza delle circostanze. Tutto ciò che non ho fatto di bene e di meglio in quello che ho vissuto, penso sia stato una conseguenza… non ho assolutamente sensi di colpa. +
Rita: tre tuoi grandi desideri?
RITA: Il più grande: una casa famiglia adatta per accogliere Pablo. Lo metterei anche adesso, perché so che sarebbe felice, anche se io mi troverei un po’ spaesata, ma saprei riprendermi subito; c’è tanto da fare… Prima di morire devo fare in modo di sistemarlo, non deve pesare sulla spalle del fratello. Tutto l’affetto che Daniele gli darà, lo farà solo se sarà sollevato da questo peso. Così come faccio con gli amici: dò loro tutto l’affetto possibile perché spero che ognuno di loro, magari una volta l’anno, quando non ci sarò più, penserà di andare a darne un po’ a Pablo.
L’altro desiderio: vedere Daniele soddisfatto. Laureato o non laureato, qualsiasi cosa farà, vorrei che lo soddisfacesse in pieno; e che lì lui possa esprimere tutto se stesso. Ce n’è un altro: ancora non ho ritrovato, come diceva Gerardo, una piena vita di coppia, che in un certo modo ci è sempre sfuggita; proprio perché abbiamo dovuto essere subito genitori, non più moglie e marito per vivere bene la nostra intimità. Subito ci siamo dovuti imporre dei ruoli, io mamma, lui papà. È 25 anni che siamo sposati: siamo sempre alla ricerca di qualcosa che ci è sfuggito.
GERARDO. Basta dare la giusta misura alle cose. Anche se le difficoltà sono sempre presenti riesco a conviverci bene.
Daniele, i tuoi desideri?
DANIELE: Vivo molte contraddizioni… Mi piacerebbe avere più cose in cui credere, perché sono molto disilluso… Vorrei un giorno, entrare in politica… ma le ideologie, sono finite e fallite… Mi piacerebbe trovare un punto fisso, qualcosa in cui credere. Non ho una direzione, sono deluso da quello che mi circonda…
E tu Pablo, che cosa desideri di più?
PABLO: Avere, che ne so, una persona che mi sta accanto, una ragazza che mi vuole bene… quando sono andato al campo, m’è piaciuto, mi piacerebbe vivere sempre al campo! Ci sono momenti difficili, in cui fate fatica?
GERARDO: I momenti difficili, sono la noia, la monotonia della vita di tutti i giorni che si somigliano tutti. Non è il momento del dramma o della bella litigata o della sedia sbattuta al muro. Per me, i momenti difficili, sono quelli in cui ci si lascia andare alla ripetitività, alla noia.
RITA: A me la monotonia mi angoscia, la noia mi distrugge. Mi piacerebbe ogni tanto una bella, dolce litigata; dopo un po’ tutto ritorna bello.
GERARDO: Io mi arrabbio in modo sproporzionato per delle piccole cose quando sono già un po’ teso, quando non riesco a trovare qualcosa…
DANIELE: Io quando sono solo in casa, ah!, come sto bene: mangio quando voglio, se voglio; sento la musica, guardo la televisione, ho più spazio. Le cose che mi ammazzano, sono quelle che si ripetono, le solite risposte che mamma dà a Pablo, le solite risposte che Pablo dà a mamma. Sempre le stesse. Ti svegli la mattina con lui che non vuole andare a scuola (Daniele e Pablo dormono insieme in una piccola stanza) e allora comincia un martelletto: tic, tic, tic. Tutte le mattine è così…
RITA: Un giorno che era tanto arrabbiato, mi ha detto: «Io glielo vorrei proprio chiedere al Padre Eterno: mi deve spiegare perché succedono certe cose?
DANIELE: Ma non c’è risposta. Comunque, mi sembra di essere fatto apposta per una situazione del genere, penso di aver la faccia per una situazione di questo tipo, come se ci fossi nato apposta!
GERARDO: Prima di te, ci siamo stati noi. Ce l’ha mandato a noi, perché forse eravamo i personaggi giusti…
Rita, quali errori hai fatto?
RITA: Sicuramente ne ho fatti, eppure, penso anche di essere stata una mamma coraggiosa. Pensa quando l’ho mandato al campeggio da solo la prima volta, non conoscevo nessuno… lui era molto piccolo… Sono stata sempre un po’ dura nella loro educazione, sia con Pablo che con Daniele. Gerardo è sempre stato più buono. Tempo fa, ho risentito una cassetta registrata mentre Gerardo racconta una favoletta a Pablo e a Daniele quand’erano piccoli. La favola parlava di un orco e di un’orca. Mentre Gerardo parla dell’orca, si sente sottovoce la vocetta di Daniele che dice: «… che è mamma!»
E vero, io ho dovuto imporre sia all’uno che all’altro molte cose, forse anche non volendomi bene, perché fa più piacere essere dolce e mammona. Credo di non avergliene fatta passare una!
GERARDO. Il Padreterno ce l’ha mandato a noi perché forse eravamo i personaggi giusti.
Questo articolo è tratto da
Ombre e Luci n.48, 1993
Sommario
Editoriale
A cena in famiglia di M. Bertolini
Articoli
Chiacchierata in famiglia da meditare
Non vergognatevi di essere felici di M.O. Réthoré
Avevo tanta paura di G. Argento
Non perdere di vista enza di
Cercavo di far cantare il mio cuore di E. Mounier
Ma noi siamo attori di M.C. Chivot
Cooperativa «Il Trattore» di N. Schulthes
Associazione «Il Cantiere» di N. Livi
Rubriche
Dialogo aperto
Vita Fede e Luce
Libri
A tu per tu con l'autismo , C. Milcent
«Mi riguarda», , AA.VV
Volontariato - Biblioteca della Solidarietà, A. Mastantuono