Come descrivere la cosa bella che ho visto questa mattina?
È avvenuto in un ospedale psichiatrico: 650 malati , uomini e donne.
Sì, gli ospedali psichiatrici esistono ancora. Anche se una legge ha decretato la loro abolizione e il loro nome è stato cancellato sulla porta d’entrata. Non è per questo, che con un colpo di bacchetta magica, tutte le persone che soffrono di malattia mentale hanno ritrovato la salute, una famiglia e una società pronte ad accoglierle.
In questo parco senza nome, ben tenuto ma privo di vita, tra grandi padiglioni ben strutturati ma avvolti dal silenzio, abbiamo scoperto due piccole isole di luce. Parlo di luce perché è luce quella che ho visto nel laboratorio sul viso di quelle donne quando hanno alzato gli occhi dal loro lavoro di ricamo e di cucito. Avevano un aspetto modesto, un po’ tipico delle case di riposo; donne anziane dal corpo ingrossato , spesso persino troppo, e vestite come si può esserlo quando il mondo di fuori vi ha abbandonato. Al di là di tutto questo e malgrado la malattia, vecchia compagna evidente in ognuna di loro, nel loro occhi c’era la vita che riemerge quando qualcuno vi guarda con uno sguardo umano.
La stessa luce si vedeva negli occhi degli uomini che ci hanno mostrato con orgoglio il loro orto e il loro allevamento di conigli, tacchini e polli. Vivono insieme. Una comunità in mezzo a questa piccola fattoria! Ogni giorno puliscono il lungo abbeveratoio dei polli, altrimenti c’è la minaccia di malattie (la nostra guida ci racconta che due anni fa morirono tutti i polli) e si occupano dei lavori essenziali alla piccola cooperativa agricola.
Forse non è che una piccolissima luce, ma rappresenta la differenza con l’oscurità, quello sguardo «morto» di chi sopravvive invece di vivere. Sono tutti malati gravi, ci spiega il dottore che ci accompagna.
E tutto perché nel 1978, secondo la legge dovevano essere aboliti gli ospedali psichiatrici. Allora, qui a Guidonia un medico disse: «Se usciremo, usciremo insieme, altrimenti resterò con loro». Come potevano uscire questi uomini e que-ste donne? Non avevano casa, nè famiglia, nè lavoro, nè salute… nè la capacità di ritrovare tutto questo per miracolo. Il dottore è restato con loro e ha deciso di far rinascere questa luce nei loro occhi. Non era facile crederci, ma bisognava renderlo possibile. Ed è ciò che accadde e che ancora oggi richiede un lavoro immenso.
Ciò significa non solo credere in ognuno di questi uomini e di queste donne, ma anche:
- convincere un’amministrazione;
- ascoltare ognuno e chiamarlo per nome;
- andare al mercato a comprare due galli;
- lottare per ottenere permessi e sussidi dalle autorità pubbliche;
- sopportare le critiche e talvolta il boicottaggio di chi lavora nelle «strutture aperte»;
- fare assemblee con i pazienti, cioè prendere e fare prendere le decisioni tutti insieme;
- dare la chiave del laboratorio a ognuna delle donne perché è il «loro» laboratorio, e non quello del medico;
- convincere gli operatori a lavorare con questa visione degli uomini;
- constatare, con occhi attenti, che nulla è peggiore del vuoto nella vita di un essere umano, e che è un delitto non tentare di riempirlo;
- invitare il paese vicino a festeggiare il Natale o il Carnevale con «i matti»;
- considerare il lavoro dei pazienti non come un modo di controllarli, ma come una possibilità offerta ai loro bisogni e alle loro capacità di autonomia e di creatività;
- dare a Luciano un piccolo gregge di pecore perché possa andare a farlo pascolare nella campagna vicina. (Lo vediamo passare sotto gli alberi con alte grida e con grandi discorsi alle sue bestie);
- realizzare che la malattia non può essere negata, nè può essere sempre vinta, ma che malgrado ciò si può salvare in ognuno una parte luminosa.
Non era forse questo tipo di intervento «a misura d’uomo » che la legge 180 voleva far nascere?
Non sono forse queste le piccole comunità fra le quali i genitori disperati vorrebbero far vivere il loro figlio tormentato, che pesa solo sulle loro spalle?
– Nicole Schulthes, 1993
Leggi anche: Costruire la capacità di sperare (in un ospedale psichiatrico) di Natalia Livi
Nicole Marie Therese Tirard Schultes
Ha studiato Ergoterapia in Francia e negli Stati Uniti, co-fondando nel 1961 l'Association Nationale Francaise des Ergotherapeutes, (ANFE).
Trasferitasi a Roma, incontra Mariangela Bertolini e insieme avviano nel 1971, su invito di Marie-Hélène Mathieu, le attività di Fede e Luce e partecipano all'organizzazione del pellegrinaggio dell'Anno Santo del 1975. Dal 1983 al 2004 cura con Mariangela la rivista Ombre e Luci. Per anni ha organizzato il campo estivo per bambini e famiglie sul campus della scuola Mary Mount a Roma.
Questo articolo è tratto da
Ombre e Luci n.44, 1993
Sommario
Editoriale
Segni di speranza di M. Bertolini
Speciale: Segni di speranza
Florent nella scuola italiana di M. C. Chivot
Costruire la capacità di sperare (in un ospedale psichiatrico) di N. Livi
Due piccole isole di luce di N. Schulthes
La fede si vive: così si impara di S. Sciascia
Dare loro una vita normale di A. Beretta
Imparando a vivere bene con Jimmy - 2° partedi M. S. Tomaro
Rubriche
Dialogo aperto
Vita Fede e Luce
Proviamo un'altra volta: Sesso e affetto
Libri
È nato un bambino Down
Appuntamento con maria maddalena, E. Marie