La Nostra Famiglia ha istituti fra i migliori in Italia, e probabilmente nel mondo, per sviluppare al massimo le possibilità dei bambini disabili, dai leggeri ai più gravi.
In particolare ci interessa questa volta una esperienza di catechesi (1) che sfocia ogni anno in due sacre rappresentazioni, a Natale e Pasqua, e che coinvolge tutti i bambini e ragazzi e le persone che lavorano nell’istituto e anche altre del paese vicino, che è Conegliano in provincia di Treviso. Il particolare interesse è suscitato dal fatto che la sacra rappresentazione sarà portata al convegno sulla catechesi delle persone disabili mentali organizzato a Roma dalla Conferenza dei Vescovi Italiani (CEI) dal 26 al 29 gennaio.
(1) Una esperienza di questo genere, per aiutare gli insegnanti a raggiungere questi risultati è descritto nel libro «E la vita esploderà» di chiaromonte, M. G. Granbassi, R. Zanella (ed. Elle DiCi) che presentammo su Ombre e Luci 3/93.
Come ogni volta che andiamo in una casa della Nostra Famiglia, siamo colpiti, entrando in questa presso Conegliano, dalla qualità e dallo stile percepibili in ogni cosa: dalla costruzione a raggi che permette al prato e agli alberi di inserirsi «dentro» l’edificio, ai bellissimi lavori di legno e ceramica fatti dalla scuola professionale ed esposti per ornare gli ambienti; dal personale efficiente e cordiale, agli odori «giusti» di casa pulita e «vissuta».
L’istituto è frequentato da 160 bambini e ragazzi dai 3 ai 18 anni. Ha la scuola materna (dove sono insieme bambini normali e con problemi), la scuola elementare, la media inferiore e la professionale. Altri 500 (circa) bambini e giovani vengono per questa o quella terapia. La zona servita dall’istituto ha un raggio di una trentina di chilometri, con circa 280.000 abitanti. Alcuni ospiti sono residenziali, la maggior parte viene raccolta e riaccompagnata ogni giorno da pulmini.
Ci descrivono questa esperienza di catechesi, la responsabile dell’istituto Gigliola, la catechista Bernardina, l’animatrice musicale e teatrale Anna Maria.
Questa particolare educazione religiosa è fatta da vent’anni. E insieme un lavoro di catechesi, di insegnamento di religione e di espressione, per ognuno secondo le sue capacità e i limiti, fatto utilizzando tutti i mezzi possibili (narrazione, disegno, esperienza, interpretazione, movimenti, musica…). Che tutto questo sfoci in sacre rappresentazioni — non recite, attenzione — non è necessario, anche se per i ragazzi è uno stimolo e alla fine fonte di gran soddisfazione, perché non sono tanto l’occasione per recitare, quanto per esprimere quel che hanno dentro.
Le rappresentazioni vengono inscenate dove sono richieste, regolarmente in parrocchie del circondario, talvolta anche più lontano: Varese, Pavia, Milano, Lourdes (in occasione del pellegrinaggio della Nostra Famiglia), Roma…
Per i limiti dei bambini e ragazzi, la catechesi è fatta di azioni ed esperienze tanto quanto di parole, e coinvolge tutti.
Il contenuto è più o meno lo stesso ogni anno, logicamente, ma i modi per esprimerlo cambiano. Perciò i ragazzi che restano qui a lungo fanno ogni anno cose diverse e interpretano personaggi via via più impegnativi nella rappresentazione: dai pastori nella Natività, impersonati dai più piccoli, al capocarovana, a S. Giuseppe, fino a Gesù e alla Madonna che è una ragazza uscita dall’istituto e ben integrata, con un lavoro normale, che vuole tornare assolutamente ogni anno per le prove e le rappresentazioni, ed è importante per i ragazzi, che vedono in lei un risultato possibile.
E bene ricordare che nella Nostra Famiglia per ogni ragazzo si fa un progetto per il massimo sviluppo delle sue possibilità, che può richiedere un tempo più o meno lungo. Poi si esce.
I ragazzi stando qui quasi tutto il giorno non possono frequentare la catechesi nelle rispettive parrocchie — tra l’altro non in tutte sono ben accolti. Perciò si preparano qui sia per i sacramenti che per Natale e Pasqua. Noi li esortiamo a partecipare alla vita delle parrocchie nei giorni di vacanza.
Naturalmente non tutti i bambini possono cantare o comunicare; per alcuni un’azione, una parola sono frutto di grandissima fatica; per loro è importante il gesto, il partecipare.
Il punto di partenza della catechesi coincide con la prima azione e la prima idea dell’istituto: l’accoglienza del bambino, dei suoi genitori, dell’ambiente da cui viene. Infatti, il primo elemento che passa in questo servizio, che deve essere tecnico, è l’accoglienza del bambino così come è. Soprattutto si valorizza ciò che in lui è di positivo (forse solo il sorriso, o la comunicazione con gli occhi se ha solo questo modo di esprimersi, l’espressione verbale anche se povera e difficile da interpretare). La valorizzazione sfocia nel potenziamento di quel che ognuno ha. Lavoriamo tutti perché ognuno dia quel che può, e non qui, ma nel suo ambiente, perché questi bambini sono una risorsa e non un peso, un costo, come la società trasmette ai genitori. Noi lavoriamo in senso contrario: più portiamo i bambini ad avere capacità di comunicazione, a sapersi inserire nel loro ambiente, più li rendiamo risorse delle loro comunità.
Questi bambini hanno difficoltà a elaborare i concetti. Allora i valori, i messaggi importanti (solidarietà, bontà, comprensione, perdono…) non si danno con «spiegazioni», ma si propongono attraverso gesti che i bambini fanno, parole che dicono attraverso azioni e interpretando personaggi.
Prendiamo l’azione dei pastori che vanno alla grotta. Quel che si vede nella rappresentazione non è il frutto di «prove», ma di principi e di gesti: uscire, camminare, andare insieme, esser poveri ma di una povertà che ha sempre da donare, quindi offrire il latte, il pane, le cose semplici, dove il dono è importante benché semplice. Allora, «Noi portiamo Gesù». «Gesù che cos’è?» «E quella bambina di gesso? E il neonato nella sacra rappresentazione? Allora è vivo. È come noi…». Idee difficili da «spiegare», ma se incarnate in esperienze concrete di azione, di rappresentazione di ciò che è accaduto, allora si fa passare il messaggio con gesti molto semplici, con cose limitate… non cerchiamo la conoscenza massima, ma l’essenziale.
Nella preparazione ai sacramenti, accade che il bambino di cui è difficile intuire quanto capisca, di fronte all’eucarestia dica «Gesù», capisca che quel Gesù pane entra in lui, lo fa diventare un altro Gesù per la mamma, per il papà, per gli amici… Allora bisogna essere buoni, essere vicini ai compagni, saper donare le cose, condividere… Talvolta i bambini più gravi ci sorprendono, ci lasciano meravigliati con certi gesti, con intuizioni, magari espresse con una parola sola, che non sono frutto di acquisizioni teoriche, ma di qualcosa che è maturato dentro.
In questi anni — continua Gigliola — abbiamo fatto più esperienze di accompagnare i bambini verso i sacramenti, coinvolgendo i loro genitori. Tanto più i bambini sono in difficoltà, tanto più una parte della catechesi è per i genitori perché maturino la consapevolezza che i sacramenti sono un dono anche per il loro bambino. Molti invece si sono sentiti dire il contrario, che il loro bambino non capisce, specie se ha manifestazioni di instabilità.
Per far partecipare i genitori nella catechesi dei bambini, specie nell’anno del sacramento, facciamo incontri con loro. Di solito l’anno di catechesi incomincia con una celebrazione fatta coi bambini, nella quale sono segni per l’inizio del cammino sia dei bambini che dei genitori. Non è mai una celebrazione nella quale ci si siede e si ascolta. Ogni anno si inventa qualcosa di nuovo, un «percorso». Per i bambini della prima comunione c’è il cammino per scoprire il pane, poi l’immagine di Gesù, poi la luce… Di volta in volta ci lasciamo guidare dalle caratteristiche dei bambini quell’anno. Tre anni fa si fece un’esperienza molto significativa. I bambini erano tutti gravi, senza possibilità di un percorso di conoscenza. Così abbiamo fatto tutto il cammino con i genitori. Ad ogni riunione chiedevamo ai genitori di fare un gesto particolare nella settimana seguente. Il primo fu tracciare un segno di croce sulla fronte dei figli la sera prima di dormire; la settimana dopo, fu il segno dell’acqua benedetta, poi il segno del sale che dà sapore alla vita, ogni volta accompagnato da una semplice frase, come: Gesù ti vuole bene; il papà e la mamma ti vogliono bene… La cosa bella fu che i fratellini si affezionarono a quei semplici riti serali e poi continuavano a pretenderli.
Prime comunioni e cresime le facciamo qui solo per i bambini che hanno difficoltà a essere accettati nelle loro parrocchie. Viene il nostro vescovo. Eugenio Ravignani: lo abbiamo visto fare gesti verso i nostri bambini che non è facile trovare. Quel giorno invitiamo anche i loro parroci, e molti vengono. Così anche loro possono vedere come questi bambini riescono, anche con gesti, a esprimere valori religiosi; ed è un messaggio affinché li tengano poi presenti nella loro comunità parrocchiale.
«Si rimane colpiti dal mistero. Si dà il sacramento con un atto di fede, sulla fede dei genitori. Però quel giorno si percepisce nei bambini, anche i più disturbati, un comportamento diverso, come una consapevolezza che quella è una giornata diversa. Soprattutto i genitori ne escono rasserenati. La cosa più bella è vedere dei papà e delle mamme che attraverso questa preparazione scoprono il valore dei loro bambini, sia per loro che per la gente intorno, per “vedere” questa realtà bisogna fare un cammino una esperienza che rimane dentro e poi dà segni».
Bernardina e Anna Maria descrivono il lavoro che concretamente viene fatto nell’istituto da ottobre a maggio e che sfocia nelle due sacre rappresentazioni. Le parole e la musica sono sostanzialmente le stesse, in buona parte già conosciute dai bambini che si fermano qui più anni e che hanno partecipato a più rappresentazioni. Ogni anno cambia il progetto, il percorso fatto di azioni, racconti, disegni, musica, che porta i ragazzi a «sentire», a «vivere» la parte che faranno.
Ecco, come esempio, una traccia del lavoro di quest’anno.
I bambini sono divisi in cinque gruppi di 8-10, secondo i problemi e le possibilità. Ogni gruppo ha un colore e si incontra nell’aula di quel colore.
Così il gruppo rosa è dei ragazzi con più di 10 anni e con più possibilità: faranno la parte maggiore nella rappresentazione. Le due «casette azzurre» sono dei più gravi. In ogni gruppo si approfondiranno i temi più o meno, secondo le attitudini.
Si parte dalla conoscenza del bambino: chi è? come è? che cosa gli piace? da dove viene? ha il papà e la mamma? come sono? Insomma è una specie di grande gioco che comincia col capire chi sono io e chi sono gli altri nel mondo.
Quest’anno il gioco è la ricerca di un tesoro volando su una mongolfiera. La mongolfiera è colorata, ci si sale sopra, ti porta in alto e va lenta facendoti scoprire le cose.
In volo scopriamo gli ambienti di cui abbiamo già qualche esperienza: il paese, la campagna, il mare, la montagna, la natura. Delle cose le ha fatte l’uomo, per esempio le case, altre le ha fatte Dio. Prima di partire insieme dobbiamo accettare di rispettare alcune regole di comportamento (non si urla, non si graffia, non si danno pugni…). Tutto questo lo disegniamo, lo recitiamo con gesti del corpo, lo esprimiamo con la musica, lo cantiamo…
Ora la mongolfiera ci porta in una terra lontana, la Palestina, diversa dalla nostra. Qui incontriamo delle persone «importanti», i profeti. Li interroghiamo per sapere chi sono, che fanno e che cosa ci dicono. Non è facile capire che sono vissuti prima di Cristo: i concetti di tempo sono sempre difficili. Puntiamo più sul fatto che sono importanti, stanno eretti, parlano bene, dicono cose importanti.
Tema di fondo è l’importanza di ognuno di noi. Già esistere vuol dire essere importanti perché Dio ci ha voluti. Si fa un cammino di conoscenza di sé e di fede. Se si arriva a capire che l’essere ha un valore, i ragazzini acquistano sicurezza nei gesti e nel produrre i suoni proposti. Questa sicurezza si riversa nella interiorità e porta sicurezza nel modo di vivere. Alla fine viene una consapevolezza di esistere e che tutte le creature che esistono sono opera di Dio. Il fine è dare ai ragazzi gli stimoli per accettarsi e comprendersi, da questo viene un benessere. Se c’è benessere, c’è comunicazione; se c’è comunicazione c’è socializzazione e quindi apprendimento. Lasciati i profeti che annunciano la nascita di Gesù si continua la ricerca nella storia. Ed ecco l’angelo Gabriele che entra nella casa di Maria. Naturalmente nel viaggio della mongolfiera ci sono incidenti. Per esempio non si trova la grotta. Prima si cerca un castello perché un Re nasce in un castello, ma li si trova Erode. Erode non è cattivo, è uno che tiene al suo posto comodo, come ognuno di noi che vuole comandare sugli altri. Allora discutiamo sul fatto che non può comandare sempre uno, che bisogna avere rispetto per gli altri. Naturalmente ci sono momenti di lotta in cui ognuno esprime la sua aggressività. Si arriva alla conclusione che bisogna rispettare la persona più importante che è Gesù ed è nato povero in una grotta.
Anche la ricerca del tesoro ha tappe successive: è un colore, poi una caramella buona da mangiare, poi è uno dei bambini, molto debole e caro, infine è Gesù.
Ma il tesoro più grande, .Gesù, è povero. Perché è povero? Anche noi siamo poveri. Possiamo portargli le nostre cose semplici, il pane, il latte, la camicia… E se non abbiamo cose da portargli? Gli diamo un bacio. Sarà contento lo stesso? Sì!
Dopo il Natale, sviluppiamo l’insegnamento di Gesù, sempre molto semplice. Di solito non parliamo dei miracoli, ma delle parabole: il Samaritano, il Buon Pastore, Zaccheo…, le recitiamo, le attualizziamo fra noi.
Il racconto evangelico è fantastico per i bambini, ma poi se ne impadroniscono creando tante situazioni di drammatizzazione, di musiche, di disegno… Alla fine, quando saranno in scena, saranno se stessi e non dei personaggi. Ed è naturale che la rappresentazione finisca con l’essere una grande preghiera che coinvolge l’istituto, e poi tutti quelli che vi assisteranno, anche se non potranno capire quanto sforzo e pazienza e inventiva e crescita umana c’è dietro ognuno di quei gesti, di quelle parole, di quei canti.
– Sergio Sciascia, 1993
Sergio Sciascia, nasce a Torino nel 1937 ma si trasferisce a Roma con la famiglia pochi anni dopo. Fin da piccolo manifesta una spiccata passione per lo scrivere e per il capire le cose che lo circondano, e di questi due aspetti farà il mestiere di una vita. Una collega, amica della primissima Fede e Luce romana, mette in contatto Sergio con Mariangela Bertolini e con l’idea di trasformare il ciclostilato “Insieme”che legava le poche comunità italiane di Fede e Luce in qualcosa di più. Era l’autunno del 1981. Nasceva Ombre e Luci e Sergio accettava di esserne il direttore responsabile.
Questo articolo è tratto da
Ombre e Luci n.44, 1993
Sommario
Editoriale
Segni di speranza di M. Bertolini
Speciale: Segni di speranza
Florent nella scuola italiana di M. C. Chivot
Costruire la capacità di sperare (in un ospedale psichiatrico) di N. Livi
Due piccole isole di luce di N. Schulthes
La fede si vive: così si impara di S. Sciascia
Dare loro una vita normale di A. Beretta
Imparando a vivere bene con Jimmy - 2° partedi M. S. Tomaro
Rubriche
Dialogo aperto
Vita Fede e Luce
Proviamo un'altra volta: Sesso e affetto
Libri
È nato un bambino Down
Appuntamento con maria maddalena, E. Marie