Un’amica mi ha incoraggiata a raccontare la mia esperienza in questa rubrica dove si parla di provare, sperare, provare ancora e… riuscire. E proprio quello che è capitato nella mia famiglia. Mia sorella ha una figlia handicappata, Luisa, di 26 anni. Luisa ha un ritardo mentale lieve, ma sufficiente a produrre grosse difficoltà di tipo comportamentale e a metterla in situazioni pericolose.
Luisa ha una sorella maggiore e due fratelli gemelli di un anno minori di lei. Sono giovani vivaci, brillanti, pieni di amici e di attività. Per Luisa niente di tutto questo: non è riuscita a finire la scuola né ad inserirsi in un’attività lavorativa, e, fino a qualche tempo fa, non ha mai avuto amicizie vere. Anche se i fratelli e la sorella avevano provato a portarla con sé fra i loro amici, in realtà non era mai stata accettata, ma solo «sopportata». Effettivamente, per chi non la capiva in profondità, non era facile sopportarla: parlava senza mai interrompersi, metteva bastoni fra le ruote, improvvisamente si adombrava e si chiudeva in una stanza senza che nessuno potesse capirne la ragione. Ma la cosa più grave era il suo comportamento con i ragazzi: decideva via via che uno dovesse essere il suo «fidanzato», spesso più di uno alla volta, sia che fosse un amico di casa o una persona incontrata per caso, e lo tempestava letteralmente di richieste, lettere, bigliettini anonimi, telefonate, scherzi di pessimo gusto. E quante attese di risposta, quanta fatica per riuscire a sapere l’indirizzo di una certa persona, per percorrere a piedi la città, vedere la casa, parlare con il portiere, sperare che la persona uscisse!
Seppi di un gruppo di Fede e Luce. Fu facile accompagnarla lì: aveva una tale fame di rapporti umani! Fu accolta con grande calore, ma i primi mesi furono difficili. Si «innamorò» subito di uno degli amici e si ripresentò la situazione precedente: chiacchiera, telefonate insistenti, rifiuti, fughe e poi ritorni. Ma il miracolo fu questo: quegli amici, e quel ragazzo in particolare, le dimostrarono un vero affetto. Il ragazzo le spiegò che era sentimentalmente impegnato, ma che ci poteva essere ugualmente fra loro una buona e leale amicizia; gli altri la capirono nelle sue esigenze affettive, dove la sessualità non era così preponderante come appariva, ma dove lei chiedeva di essere capita e non «sopportata»; di essere riconosciuta per le sue qualità; di essere considerata alla pari e non come una persona da cui difendersi… . Un’amica, in mezzo ad altri amici. Felice. Da quando si è inserita in questo gruppo, malgrado tanti problemi che rimangono, Luisa non ha più parlato di un nuovo «fidanzato» irreale. Ora racconta di attività in comune, di domeniche passate con gli amici, di persone in difficoltà che la commuovono, di progetti di lavoro per il futuro.
Ha ragione Jean Vanier quando dice che la sessualità disturbata di una persona con handicap spesso può essere riequilibrata e pacificata da una buona relazione affettiva con chi la circonda.
Un’amica, 1993
Questo articolo è tratto da
Ombre e Luci n.44, 1993
Sommario
Editoriale
Segni di speranza di M. Bertolini
Speciale: Segni di speranza
Florent nella scuola italiana di M. C. Chivot
Costruire la capacità di sperare (in un ospedale psichiatrico) di N. Livi
Due piccole isole di luce di N. Schulthes
La fede si vive: così si impara di S. Sciascia
Dare loro una vita normale di A. Beretta
Imparando a vivere bene con Jimmy - 2° partedi M. S. Tomaro
Rubriche
Dialogo aperto
Vita Fede e Luce
Proviamo un'altra volta: Sesso e affetto
Libri
È nato un bambino Down
Appuntamento con maria maddalena, E. Marie