Negli anni Settanta in Italia la malattia mentale è stata oggetto di un’accanita discussione, di un confronto politico e quindi di una riforma, definiti sinteticamente con il numero della legge che ne codificò i risultati: la Legge 180.
Il confronto era su due opposte concezioni del malato mentale e della cura. Riducendola all’osso si può dire che secondo la vecchia concezione il malato mentale grave veniva separato dalla società, chiuso in manicomio: era considerato inguaribile e non si pensava che potesse essere reinserito nel suo ambiente. In pratica non era più considerato una persona. Secondo la nuova concezione il malato mentale può essere guarito purché inserito in un ambiente adatto, in una società che lo accolga. Il manicomio al contrario, non solo non curava, ma produceva pazzia, perciò doveva essere abolito.
Nello scontro accanito, come spesso accade, le due opposte concezione si confrontavano nei termin più estremi. Prevalse la seconda e i manicomi furono ufficialmente chiusi. In realtà molti malati mentali gravi non possono vivere in famiglia, nella normale società. Per questi si aprì un vuoto angoscioso, riempito di volta in volta di randagismo, di silenziosa pena familiare, di interventi della polizia, di «tragedie della follia», di periodi in ospedale (che però non è fatto per soggiorni di malati cronici), e infine anche di rifugi nei vecchi manicomi, che secondo perfetta ipocrisia ideologica e politica non esistono. In questi manicomi inesistenti vivono circa 30mila malati.
Perciò, con la legge 180 si è chiuso l’errore e l’orrore dei manicomi e si è aperto il caos per molti malati mentali gravi.
In alcuni pochi luoghi però, grazie a diverse circostanze propizie, sono nati centri, strutture, iniziative dove il problema del malato mentale è stato affrontato, con umanità, con realismo, con efficacia, con spirito cristiano; vincendo il semplicismo, l’ottuso scontro ideologico, l’ipocrisia. Questi centri, pochi purtroppo, indicano la via per una soluzione umana e realistica della tragedia dei malati mentali.
Siamo andati a visitare uno di questi centri a Pergine in Valsugana, di cui a vevamo sentito giudizi particolarmente favorevoli. Si chiama Comunità Maso S. Pietro, ed è diretta da padre Beppino Tau fer, camilliano.
– Sergio Sciascia, 1990
Sergio Sciascia, nasce a Torino nel 1937 ma si trasferisce a Roma con la famiglia pochi anni dopo. Fin da piccolo manifesta una spiccata passione per lo scrivere e per il capire le cose che lo circondano, e di questi due aspetti farà il mestiere di una vita. Una collega, amica della primissima Fede e Luce romana, mette in contatto Sergio con Mariangela Bertolini e con l’idea di trasformare il ciclostilato “Insieme”che legava le poche comunità italiane di Fede e Luce in qualcosa di più. Era l’autunno del 1981. Nasceva Ombre e Luci e Sergio accettava di esserne il direttore responsabile.
Questo articolo è tratto da
Ombre e Luci n.32, 1990
Sommario
Lezione di danza insieme di Mariangela Bertolini
Abib, Mohamed, Naima
Accogliere un bambino autistico di Beatrice Frank
Io sono una come voi: una mamma
Preghiera della malattia
Una passegiata in campagna di Gilberte Roger
Chi ha avuto paura fa gratis un altro giro di Riccardo Guglielmin
Ma non sono sola di Gaia Valmarin
Malattia mentale e legge di Sergio Sciascia
Malattia mentale - Una soluzione giusta di Sergio Sciascia
Rubriche
Libri
Il tuo nome è Olga di J. M. Espinàs
Il corpo spezzato di J. Vanier
Bibliografia italiana sui disturbi dell'Udito, della Vista e del Linguaggio di S. Legati