Domani si parte, domani si torna a Roma. Non ne ho voglia assolutamente dopo questi giorni così belli…
È molto tardi. Prima di andare a dormire tuttavia esco in giardino a godermi il fresco della notte in campagna, con il suo silenzio, i suoi rumori, i suoi profumi.
I miei amici sono tutti a letto ora, ma so che in qualche stanza, sottovoce, si bisbigliano le ultime frasi, si trattengono le risate, cercando di restare svegli per non perdere neanche un momento di questa vacanza. I miei amici…
Mi siedo su una panchina, distendo le gambe e poggio la testa sul muro di pietre, che lentamente restituisce il calore della giornata di sole. Nella mia mente si compone un quadro, fatto di cento immagini, una vicina all’altra: tanti frammenti di quello che abbiamo vissuto durante questo campeggio.
Il giorno dell’arrivo, accaldati, dopo tre-quattro ore di viaggio, preoccupati di non vedere arrivare il pullmino, costretto a fermarsi sull’autostrada per un guasto.
Il primo cerchio, dopo la colazione: i libretti dei canti sono restati a Roma ma cantiamo benissimo anche senza: qualcuno conosceva i testi a memoria, qualcun altro si lanciava a ricopiarli su fogli volanti, i più spregiudicati tentavano di indovinare la parola successiva, tutti facevano i gesti. Col passare dei giorni si sceglievano sempre più canti mimati: Michelina, per altre cose fin troppo svelta, ha grandissima difficoltà di udito e durante i cerchi ha sempre rischiato di restare isolata: ma guardandoci in viso, aiutata dall’apparecchio, appoggiando la mano sulla cassa della chitarra e seguendo i gesti, alla fine canterellava piena d’allegria con noi. E poi le altre giornate.
I giochi con l’acqua per rinfrescarci e divertirci, ancora più belli quando Pablo e Annarita, scalzando le nostre preoccupazioni e le nostre riserve, ci hanno fatto capire che volevano essere coinvolti anche loro nella guerra di «gavettoni». La loro gioia meritava bene magliette e calzoncini fradici e la carrozzina al sole ad asciugare.
E Stefano, sempre preoccupato delle novità che venissero a turbare le sue abitudini, il quarto giorno ci ha dimostrato di sentirsi ormai a casa anche fra noi: è andato da solo in cucina a chiedere da bere.
Davide, col suo corpo che non vede, non cammina, non parla, è stato sempre sereno e sorridente e si è lasciato accarezzare e coccolare anche da amici che lo conoscevano appena, lui che aveva spesso difeso anche con aggressività la sua solitudine e la sua tranquillità. E invece, disteso sul suo materassino, l’ho visto giocare con Chiara e con Roberta, mentre Simone falliva anche l’ultimo tentativo di fargli assumere un’altra posizione perché non si abbronzasse solo da un lato.
E ancora Patrizia che si è meritata gli applausi di tutti per come sta in sella, e Michela impaziente di mettersi in cammino verso il fiume, per lanciare i sassi in acqua, ora con entrambe le mani a disposizione: si è infatti dimenticata da un pezzo di quella odiosa fotografia che teneva perennemente in mano e si ficcava in un occhio in un continuo gesto stereotipo.
E poi Flaminia, così silenziosa e discreta, ci ha spesso ospitato sul suo telo, offrendoci tutti i suoi giocattoli ed i suoi occhioni azzurri.
In queste giornate non abbiamo mai fatto cose straordinarie: qualche disegno, tanti canti, un tuffo nel fiume, qualche vasetto di creta un po’ stortignaccolo, la pizza col forno a legna, la visita alle cantine per vedere come si fa il vino, e poi, l’ultima sera, vestiti a festa, il gran ballo e poi la cena con i tavoli intorno al fuoco, sotto il cielo che diventava rosa, violetto e poi nero.
La sera e poi la notte, momenti forti anche questi.
Ricordo Vincenza che in cucina metteva del ghiaccio in un canovaccio per curarsi un bernoccolo: Michela, nell’andare a letto, aveva rovesciato l’armadio vuoto sulle compagne di stanza. Di sopra, invece, Patrizia e Annarita, uscite le amiche, chiacchieravano fra loro come vecchie conoscenti prima di addormentarsi. Intanto Michelina discuteva, a modo suo, con Serena perché si era scordata di telefonare alla mamma e non importava che fossero le undici passate da un pezzo, lei doveva telefonarle assolutamente.
In un’altra stanza Pablo, ben sapendo che noi non saremmo andati subito a dormire, ci augurava la buonanotte raccomandandoci di salutargli proprio tutti gli amici e poi, dal giardino, lo sentivamo fare il resoconto della giornata a Stefano, suo compagno di camera.
Ora devo proprio andare a dormire anch’io: domani sarà una giornata faticosa. Ringrazio Dio per questi dieci giorni e, spegnendo la torcia elettrica sotto il letto, mi addormento pensando a quando il fotografo mi restituirà le diapositive.
Non è solo questo un campeggio, ma è anche questo. Il più resta nel cuore e non si riesce a dire.
Di fatto è Fede e Luce, niente di più: vissuta giorno e notte.
– N.B., 1990
Questo articolo è tratto da
Ombre e Luci n.31, 1990
Sommario
Che cosa è Fede e Luce di M. Bertolini
La vocazione di Fede e Luce di J. Vanier
Cammino d'amore di Redazione
L’amicizia a Fede e Luce di A. Petri
Incontro di una comunità di Fede e Luce di C. Chatain
Il 4° momento: tra un incontro e l’altro di F.S.B.
Èquipe di coordinamento: come funziona di Redazione
I giorni del campo di Redazione
Fede e Luce giorno e notte di N. B.
Viaggio insieme per crescere tutti di M. Bertolini
Un nuovo modo di vedere la vita di F. Gammarelli
Vita e amore si erano spenti di R. Ozzimo
Sono anche figli di tutti di M.T.M.
Scendi ancora un po’ di L Sankalé
Incontro internazionale: Edimburgo 1-9 agosto 1990 di L. Bertolini
Fuori dalle catacombe – Fede e Luce in Europa Orientale di M. Przeciszewski
Per altri valori – Fede e Luce in Svizzera di Y. Bonvin
Nel Libano in guerra, Fede e Luce per sperare di R. Tamraz
Mirella, Pablo, Silvia, Claudia, Patrizia di Redazione
Una grande famiglia del mondo di Redazione
La persona fragile via verso l’unità di J. Vanier
Domande e risposte su Fede e Luce di Redazione