Incontro comunità F.L. d’Italia
Lucia Bertolini nuova responsabile, P. Giuseppe Serighelli nuovo assistente
Dal 7 al 10 dicembre 1989 si è tenuto rincontro nazionale delle comunità Fede e Luce d’Italia. Durante rincontro è avvenuta 1’elezione del nuovo responsabile nazionale; la scelta è andata a Lucia Bertolini, sposa e mamma di cinque figli, da tempo impegnata nel movimento. A lei e al nuovo assistente nazionale, P. Giuseppe Serighelli, un augurio di cuore.
All’incontro era stato invitato il vice coordinatore internazionale, Marcin Przeciszewski, polacco. Riportiamo un estratto del suo resoconto sulla visita in Italia, dove parla dell’impressione ricevuta da Fede e Luce:
«Ho avuto l’impressione che FL in Italia rappresenta uno dei migliori modelli nel mondo: nelle comunità ci sono moltissimi giovani; allo stesso tempo molti genitori hanno trovato nelle comunità il loro posto. La maggior parte delle persone che ho incontrato e con le quali ho parlato, mi sembra impegnata a FL in modo molto profondo; molti di loro si chiedono come poter vivere la loro vocazione di FL nella vita quotidiana, privata e professionale.
Una caratteristica che ho notato è la buona animazione, nel vero spirito di Fede e Luce. Gli italiani hanno un’immaginazione molto ricca, ma ogni dettaglio è adatto alle persone con handicap.
Durante una sera, in una veglia c’era un mimo che doveva introdurre la preghiera.
È stato, per me, ottimo: un giovane cerca il suo posto nella vita che gli sembra assurda e scopre pian piano la verità dell’amore. Tutto era molto semplice e accessibile alle persone con handicap e nello stesso tempo a un alto livello di arte drammatica. Gli Italiani hanno dei doni tipici quali la facilità dei contatti, una grande apertura, un senso forte dell’umorismo e prima di ogni cosa, molta gioia naturale. Questa gioia traspare dalle loro comunità.
«Quel pane fino fino…»
Dal gruppo «Camminiamo Insieme» di Marzocca
Il cammino di una comunità è fatto di tanti piccoli passi quotidiani; così piccoli, a volte, che quasi non ci accorgiamo della strada che stiamo facendo finché non raggiungiamo cose più grandi di noi, di fronte alle quali possiamo solo meravigliarci e dire grazie al Signore.
Noi di «Camminiamo insieme» abbiamo vissuto uno di questi momenti speciali il 24 settembre scorso: in quella domenica, Paolo e Gianfranco — due fratelli adulti della nostra comunità — erano in mezzo ai ragazzi della parrocchia di Marzocca, felicissimi di ricevere il sacramento della Cresima. Nello stesso giorno, Lucia, una bimba che tutti amiamo molto, ha ricevuto la prima Comunione. P. Danilo mi aveva chiesto di seguirla un pochino nei giorni precedenti e di esserle vicina anche durante la cerimonia.
Grazie a Lucia, ho scoperto ancora una volta la profonda bellezza dei sacramenti, forse nella loro più intima essenza: la bellezza di «chiedere scusa a Gesù» per come siamo, di attendere con trepida gioia quel «pane fino fino che è Gesù».
Qualcuno crede ancora che alcune persone non possono ricevere i sacramenti perché non sono in grado di «capirli». Io mi chiedo se ci sia da capire molto più di quello che ha capito Lucia o vita di Fede e Luce se non si tratti, piuttosto, di «vivere» i sacramenti.
Lucia ha vissuto con tutta se stessa la gioia del perdono e della Comunione. E Paolo e Gianfranco parlano ancora spesso della loro Cresima: come potranno non essere nel mondo testimoni di Cristo coloro ai quali sono state rivelate grandi cose?
Stefania
Quanto poco basta!
Chiara Frassineti, responsabile della Comunità di S. Silvia a Roma, è stata tre mesi in una casa Arche in Honduras. Ci racconta la sua esperienza.
L’Honduras è uno dei paesi dell’America centrale, situata tra il Nicaragua, il Salvador e il Guatemala.
Tredici anni or sono, è cominciata anche qui l’avventura dell’Arche.
Oggi sono tre i foyers in Honduras, due nella periferia della capitale, Tegucigaplupa, ed uno nel sud del paese, a Cheluteca. Qui nella casa di S. José ho vissuto da agosto a novembre dello scorso anno.
La comunità è molto giovane e non è ancora ben strutturata come le case della capitale. Quattro anni fa, il Vescovo di Cheluteca segnalò la difficile situazione di Sulema, una ragazza molto disturbata nella mente, che aveva allora tredici anni. In seguito alla morte della mamma, l’unica che si occupava di lei, Sulema cominciò a vivere per la strada, schernita ed oltraggiata da alcuni vicini, sia per il suo aspetto un po’ goffo, sia per i suoi modi un po’ aggressivi di relazionarsi, che spesso intimorivano, finché venne internata in un ospedale psichiatrico della capitale.
Pilar, una giovane, accolse l’invito del vescovo; venne cercata una casa, in un quartiere vicino a quello dove aveva vissuto Sulema; una casa semplice, come tutte le altre, con le mura di fango e rami, il tetto a tegole.
Pilar è stata affiancata per due anni da Melba, una ragazza honduregna; accolsero Sulema, Mela e due fratelli, Felipe e Santos. Questi, durante la mia permanenza erano assenti, essendo ospitati in due altre comunità.
Una signora, che vive con la sua famiglia a pochi isolati dalla casa, veniva tutti i giorni a condividere la nostra giornata; con grande disponibilità, voleva bene a ciascuno come fosse un figlio; tutti la chiamavano mamita Andrea. C’è poi Chema, un ragazzo di una trentina d’anni, i cui genitori sono parecchio anziani, che viveva parte della giornata vagabondando ed elemosinando. È molto esile, avanza incerto con l’aiuto di un bastone e i bambini si divertono a fargli perdere l’equilibrio. Da un anno Chema raggiunge la comunità ogni mattina, trattenendosi fin dopo il pranzo, rendendosi utile nel taglio della legna.
La vita della casa S. José è molto semplice. Al mattino presto, mi ritrovavo con Pilar e Melba nella cappellina per un momento di adorazione; poi una di noi svegliava le ragazze e le aiutava a prepararsi, un’altra preparava la colazione, un’altra riordinava la casa.
A colazione avevamo sempre qualche ospite di passaggio (così come a pranzo) e condividevamo con lui quello che c’era. Spesso era nostra ospite Lupita, con uno dei suoi quattro bambini. La famiglia di Lupita è la famiglia più vicina alla casa e fin dall’inizio è stata vicina, solidale e disponibile. Le sue bambine giocano volentieri con Mela o Sulema; se manca qualcosa in cucina, basta dare una voce, e se qualcuno di noi andava al mercato, era l’occasione per ricambiare il favore.
Durante il giorno ognuno ha il suo lavoro nella casa. Mela lavora in cucina con mamita Andrea e aiuta a preparare prenzo e le tortillas per la cena. Chema taglia la legna che serve per cucinare; Sulema si occupa di trasportare i pezzi di legna da fuori in cucina. Gli altri hanno lavori che variano a seconda delle esigenze: un giorno c’è il tetto da riparare per evitare che la cucina si allaghi quando piove. Un giorno si ricavano cuscini da un vecchio materasso di gomma piuma; un giorno si imbianca una parete, un altro si ricompone una parete che per il caldo e il secco si è tutta scrostata. Ovviamente non manca mai la roba da lavare, raccomodare, la spesa da fare in città e resta sempre poi il tempo per stare con la gente. Qui, vicini alla campagna, la gente vive prevalentemente fuori dalle case; per le strade sono rare le macchine; la strada non è asfaltata. In casa poi, di solito piccola e buia, non c’è un gran che da fare. Una sedia, due amache, un tavolinetto in un angolo, una cassa dove tenere i vestiti di tutta la famiglia; questo è in media lo scarno arredamento (c’è qualcuno che ha di più, ma parecchi non hanno nemmeno questo).
Così le donne si incontrano fuori, magari andando al mulino: parlano tra loro del prezzo del mais che è salito alle stelle; del precario lavoro dei mariti o dei figli. Il sud è la regione più povera del paese, in parte per le instabili condizioni del clima subtropicale che alterna piogge diluviali a siccità estreme; in parte perché la terra è in mano di pochi latifondisti.
Il pomeriggio è il momento delle visite. Diverse persone venivano a trovarci per sapere come stavamo, per aiutarci in quello che potevano, per condividere qualche momento della vita della comunità.
Spesso eravamo noi ad andare in visita. Il martedì, ad esempio, si andava con Sulema da Clorinda e Luis: hanno sei figli, di cui tre handicappati. Ricordo la prima volta — era il secondo giorno che mi trovavo a Cheluteca — in cui entrai nella loro casa.
Mi sentivo a disagio, ingombrante, mi sentivo «gringa» (termine popolare per indicare uno straniero); straniero per loro è sinonimo di opulenza. Un odore pesante impregnava l’aria: in una delle due amache, avvolta in poveri panni, c’era Sandrita, una piccola bimba di 15 anni; il suo sguardo in cerca di qualcosa, si muoveva lento per scorgere i nuovi ospiti. Letizia correva per la casa passando dalla stanza alla cucina e facendo poi il giro dall’esterno per poi ritornare, una risatina e via di nuovo; Naum anche lui come la sorella correva senza requie, rifiutando ogni tipo di indumento, in cerca convulsa di una manciata di pasta di mais o di capelli di Letizia. Alexi e Luisito giocavano con trottole di legno e Antonia, la maggiore, al lavatoio era intenta a lavare, con un minuscolo pezzo di sapone, un monte di panni in un’acqua riempita di terra e altro da Naum. Luis era fuori per il lavoro.
Clorinda ci accolse con un grande sorriso cordiale. Le ho sempre visto questo sorriso, anche quando, al momento della mia partenza, era molto malata. Ci invitò a sederci sull’amaca libera, riesumò una sedia, che, appoggiata ad una parete, poteva andare. Tutto quello che c’era nella sua casa era a nostra disposizione. Scomparve in cucina e riapparve con due piatti con tortillas calde e fagioli. I piatti eano solo per noi ospiti. Mi sentivo veramente di troppo; avevo visto che in cucina esisteva una sola pentola con dentro un po’ di fagioli.
I poveri mancano spesso dall’essenziale ma sono pronti altrettanto spesso a condividere quello che hanno. Dovevo imparare a saper ricevere. In quei pochi mesi mi son dovuta confrontare con quelli che sono i bisogni fondamentali dell’uomo, con l’essenzialità. Come sono poche le cose che bastano ad una donna, ad un uomo, ad un bambino per vivere ed essere sereni.
Come pensare allo spreco, al consumismo, al benessere, all’individualismo del nostro NORD che da troppo tempo vive nella sola ricerca del dominio. Come non riconoscere che il mondo è crudelmente e pericolosamente lacerato da divisioni. Credo che ogni essere umano è prediletto da Dio, che ogni essere umano ha la stessa dignità di fronte a Lui. Allora credo che dobbiamo uscire dal mondo dell’indifferenza e lasciarci interrogare profondamente dal mistero delle beatitudini.
Questo articolo è tratto da Ombre e Luci n.29, 1990
Sommario
Sorelle e fratelli
Forse è per mia sorella che sono «così» di T.M.
Non carichiamoli di un peso eccessivo di M. Bertolini
Sentivo crescere la mia responsabilità di P. Mazzocchi
Radiografia Ombre e Luci
Chi siamo di Redazione
Case famiglia, iniziative e centri di accoglienza per disabili presentati dal 1983 al 1989 di Redazione
Rubriche
Libri
Bambini autistici a scuola Pascal Neau
Jean Vanier – Un profeta del nostro tempodi Gilles Lavarrière
Corso per corrispondenza per genitori di bambini Down di Salvatore Lagati