Mi avete chiesto di scrivere un episodio della mia fanciullezza vissuto con i miei due fratelli non udenti. Mi spiace, non sono riuscita a farlo; eccovi, comunque qualche pensiero… è sempre qualcosa che ho vissuto intensamente e mi è piaciuto trasmetterlo. Gli anni della mia infanzia sono stati i più belli, come sorella, come figlia e come bambina.
Ho un fratello e una sorella, Michele e Francesca, che non sentono; ambedue diplomati in ragioneria, lavorano, sono sposati e hanno tre bimbe: Giovanna e Giuseppina sono le piccole di Michele, Liliana è di Francesca.
Ricordo spesso quando eravamo bambini: cinque pesti che inventavano giochi in casa, tra i quali quello della famiglia, Michele ed io eravamo i capofamiglia; oppure il gioco del castello magico che costruivamo con coperte e servendoci di letti, sedie e ogni sorta di oggetti.
Ricordo ancora, ma con amarezza, le volte in cui accompagnavo mio padre a Moffetta, dove c’è un istituto, l’Apicella, che, a quei tempi, era riservato ai non udenti. In principio ci recavamo tutti, solo in visita, la domenica; poi ci permisero di portare a casa i miei fratelli per il fine settimana. Dunque il sabato, dopo la scuola, mio padre ed io partivamo e giunti all’Apicella, sentivo un gran peso sul cuore perché sapevo che mio padre mi avrebbe mandata in avanguardia a cercare i miei fratelli. Nella corsia maschile tutti i ragazzini mi circondavano e mi osservavano: mi ritenevo fortunata se erano impegnati a fare una partita di pallone. Nel reparto femminile, invece, erano tutte piuttosto timide e si limitavano a scrutarmi dai loro nascondigli, tranne qualcuna che sembrava più decisa a conoscermi.
Comunque ero felice di tornare a casa con Michele e Francesca. Francesca conservava a casa le stesse abitudini che aveva in collegio e guai se Cristina, l’altra sorella o io, toccavamo qualcosa di suo. Spesso si innervosiva, più lei di Michele, il quale, al contrario, era un bonaccione. Francesca ci domandava il perché della sua sordità e così ci ritrovavamo a spiegarle l’assurdità — tuttora un mistero — che i medici avevano raccontato ai miei genitori. Perché lei sì e noi no?
Pur essendo più grande di me, quando non era in istituto, era la più viziata, anche da noi sorelline più piccole che pure ci spazientivamo quando c’era da spiegarle ciò che gli altri dicevano e soprattutto quello che veniva detto alla televisione. Ora penso a quei momenti con molta nostalgia e se potessi far girare il tempo all’indietro, tornerei a quegli anni per non rifare gli stessi errori.
Le mie nipotine, che hanno entrambi i genitori non udenti, sono anch’esse portatrici di questo handicap. Giuseppina sente un po’. Oggi i miei fratelli sanno che hanno un 25% di probabilità di avere figli udenti, ma Francesca si è fermata a Liliana!
Sono delle bambine meravigliose, belle, intelligenti. L’équipe che le segue dice che potrebbero fare progressi anche grazie ai nuovi mezzi che esistono, progressi non nel senso dell’udito, ma nella comunicazione con gli altri; tutto dipende da noi, parenti, amici, conoscenti, dalla gente…
Sono sicura che oggi e ancora meglio nel futuro, non sentirò più maltrattare persone come i miei fratelli nell’ambiente di lavoro solo perché non ci sentono ed è difficile capirli; né sentirò bambini ignari chiedere: «Sono stranieri? parlano tedesco? ma sono anche muti?…»
– Nicoletta Amato, 1989
Questo articolo è tratto da
Ombre e Luci n.27, 1989
Sommario
Editoriale
Anche se non ho voce, anche se non sento... di Mariangela Bertolini
Articoli
Come ascoltare veramente di M.H. Mathieu
Storia di Angelica di Maria Monica Rossi
Dal silenzio alla comunicazione di Amneris Bellucci
Da quali segni riconoscere la sordità infantile
A tavola con una persona sorda di Michel e Laure Morice
Come parlare a una persona sorda
Ho un fratello e sorella non udenti di Nicoletta Amato
Cooperativa spazio aperto di L. Brambilla e A. De Rino
Rubriche
Dialogo aperto
Vita di Fede e Luce
Libri
L’altra gente. Convivere con l’handicap di Antonio Guidi
Il bambino con epilessia di Ch. Dravet/P. Jallon