Tre domande sul ruolo specifico del padre nella famiglia, a Maria Odile Réthoré, medico con un ‘ampia esperienza di famiglia con persone con handicap mentale.

Come può un papà che vive molto tempo fuori casa aiutate sua moglie?
Molto spesso la madre è tutto il giorno sola con il suo figliolo. E’ preoccupata per lui… lotta per trovare una soluzione…piange forse.
Se, rientrando dal lavoro, il papà si rivolge alla moglie solo in funzione di quel figlio, la famiglia è in pericolo.
L’uomo che va fuori a lavorare, non deve avere dei «complessi» perché è a casa solo raramente — è il suo dovere di capo famiglia. Non è centrando l’interesse unicamente sul figlio handicappato che può sperare di compensare il tempo in cui è assente da casa. Pur rispettando le preoccupazioni e la fatica di sua moglie e prestandole attento ascolto, l’uomo, rientrando a casa, deve saper portare una boccata d’aria fresca. Tocca a lui proporre — con insistenza se ce n’è bisogno — di affidare il figlio ad un parente o a un amico, per uscire qualche ora tutti e due insieme o per partire qualche giorno; al ritorno si ritrova il figlio con maggior tenerezza. Sento ancora nelle orecchie la riflessione di un papà che mi portava il figlio già adulto per la prima volta allo studio:«Siamo gli ostaggi di nostro figlio». Marito e moglie erano arrivati a detestarsi…

Fin dall’inizio il padre deve vegliare affinché la famiglia viva una vita normale.

Un figlio non chiede che i suoi genitori diventino i suoi schiavi. Ha bisogno di un papà e di una mamma che l’amano e che si amano.Fin dall’inizio il padre deve vegliare affinché l’insieme della famiglia viva una vita normale. E’ a lui di proporre alla moglie una cena al ristorante o una sera al cinema. Occasione per lei di prendere appuntamento dal parrucchiere per «farsi bella».

Come un papà può partecipare all’educazione di un figlio handicappato ?
Ecco quanto mi scrive un papà: “Lo sguardo del padre sul figlio handicappato è spesso più puro perché non vi mette i progetti umani come mette sugli altri figli. Non bisogna esitare a manifestare fisicamente la propria tenerezza a questo figlio. La renderà al centuplo: Posso assicurare che il «papà!» di questo figlio mi tocca almeno tanto quanto il «buongiorno papà!» degli altri miei figli. Gesù non ci ha forse detto di chiamare suo Padre «Abba», noi che siamo deboli e a volte miserabili”.
Ma tenerezza non vuol dire capitolazione dell’autorità. Giorgio mi diceva l’altro giorno «Non è un vero papà: non dà mai uno sculaccione!»
L’amore dei papà deve essere abbastanza forte per prendere dei provvedimenti quando sono necessari anche a rischio di non essere capito dagli altri.

Qual è il ruolo del padre accanto al bambino che cresce?
Il padre diventa il modello del figlio che cresce accanto a lui e il suo ruolo diventa preponderante. E’ lui che dovrà insegnare a questo grande ragazzo quello che si fa e quello che non si fa, come un uomo deve comportarsi. E’ lui che deve sorvegliare la toilette… e non più sua moglie, quando si tratta di un maschio. Deve essere in combutta con questo grande figliolo.
Nei confronti di quella che sta diventando una «signorina», il padre deve entrare nel gioco. Non deve più accettare certi atteggiamenti che potrebbero essere mal interpretati, che non vuol dire sopprimere le manifestazioni di tenerezza. Deve rimanere il confidente, quello su cui si può sempre contare soprattutto quando si è in pena… e si è litigato con la mamma!
Una parola per terminare — quando ci vorrebbe un intero libro — a riguardo del padre che non ha sopportato la presenza di un bambino handicappato. Non ritorna più a casa oppure lo si vede solo di rado… C’è un’enorme sofferenza in questi papà. Dopo il primo consulto fatto senza la loro presenza, scrivo loro sempre per dire come mancano e come sono attesi… a braccia aperte nella loro casa.

articolo tratto da Ombres et Lumiére, n. 76, 1987

Atteso a braccia aperte ultima modifica: 1987-12-29T11:54:17+00:00 da Redazione

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