Sono la mamma di Daniela, oggi 17enne; soffre di attacchi epilettici, ha la vista ridottissima e tanti altri problemi più o meno gravi.
Oggi Daniela frequenta il terzo anno di scuola professionale nei corsi speciali per ragazzi con problemi ed anche se so che non arriverà mai ad imparare una «professione» che la mantenga, lo scopo principale è quello di darle maggior «bagaglio» possibile per il suo futuro.
Daniela è subvedente dalla nascita, ha un’atrofia ai nervi ottici (occhio sinistro quasi zero, occhio destro 2/ 10); a causa di una lesione cerebrale (microcefalo) era spastica e tutta la parte sinistra piena di movimenti sbagliati.
Abbiamo passato degli anni molto duri, molto difficili, ma ciò nonostante ritengo una grande fortuna avere Daniela. È stata lei a insegnarmi una vita colma di gioie e delusioni, a spronarmi, a spingermi per difendere i suoi e i miei diritti.
Per me Daniela inizialmente non era handicappata, era semplicemente una bambina che aveva bisogno di più attenzioni; per il papà era più dura, come forse per ogni uomo è molto difficile accettare le imperfezioni dei propri figli. Con gli anni per fortuna, lui e Daniela hanno trovato un filo comune; litigano, si vogliono bene e per il papà non è più un grande dramma avere una figlia minorata.
Daniela ha una sorella, Claudia, oggi 12enne che accetta le difficoltà che crea Daniela talvolta con amore, talvolta con odio. È molto gelosa del tempo e delle attenzioni che bisogna dare a Daniela, ma anche qui con gli anni si impara a trovare dei compromessi, dei modi per non dare troppo, né far mancare troppo, all’una e all’altra figlia.
Ho già accennato che Daniela per me non era handicappata, nonostante abbia dovuto andare, dalla nascita in poi, da molti medici in Italia e all’estero. Per fortuna lavoravo in ufficio, quindi dovevo programmare molto attentamente le mie giornate tra casa-ufficio-terapie varie ecc. Dico per fortuna, perché così non ho mai trovato il tempo per commiserarmi. Ciò non vuol dire che non abbia pianto molto, anche passato dei momenti molto brutti. Brutti perché man mano che Daniela cresceva, mi rendevo conto che per gli altri lei non era una bimba normale. A due anni fu operata all’occhio sinistro che era molto strabico e quindi le avrebbe dato esteriormente un brutto aspetto. Poi un’operazione alle tonsille, ogni volta seguite da traumi e shock terribili per la separazione dalla mamma.
Sono di madrelingua tedesca e quindi mio marito ed io avevamo deciso che la bambina frequentasse le scuole tedesche. (Benché in quegli anni mio marito vivesse molto «distaccato» l’esistenza di Daniela ed io potevo/dovevo decidere e fare tutto da sola).
In quell’epoca in Alto Adige i bambini handicappati venivano iscritti in classi speciali, cosa che per me era assolutamente inconcepibile.
Due anni di scuola materna con grosse difficoltà, poi cinque anni di scuola elementare: un inferno! Tutto perché non accettavo la segregazione in strutture per me non adatte a favorire l’insegnamento e la crescita della mia bambina.
Per lunghi anni ho lottato con tutte le mie forze, ho litigato con direttori, insegnanti, genitori, psicologi — tante persone che volevano sempre farmi capire che Daniela non era all’altezza di una vita «normale».
Non so l’inferno che avrà passato la mia bambina, posso solo immaginarlo. A otto anni ha iniziato ad avere attacchi epilettici, tipo piccolo male; tante cadute improvvise, tante corse al pronto soccorso per far chiudere i vari buchi, tagli ecc. conseguenti alle sue cadute. Anche qui spesso incomprensione per la mia assoluta impostazione di «normalità».
Non ho mai lasciato trattare Daniela come una povera malata, non mi sono mai lasciata sottomettere da medici, terapisti, psicologi, ecc. Anche se molto difficile perché mi è mancata la preparazione nel dialogo spesso molto scientifico, con la mia fermezza e sicurezza di «mamma» sono in tutti questi anni riuscita a convincere molte persone che la mamma, che i genitori sono i primi responsabili nella programmazione del futuro dei propri figli.
Come potete facilmente capire, non ho tenuto solamente per me questo grosso e prezioso bagaglio di esperienze.
Già nei primi anni di vita di Daniela mi ero inserita molto bene nelle attività dell’AIAS dove trovavo tanti genitori insicuri come me, impauriti, spesso esasperati. In città a Bolzano, era più facile incontrarci, discutere, programmare.
Ma sempre più mi accorgevo che le mamme provenienti dalle valli erano completamente segregate da tutte le nostre attività.
Molte di loro si vergognavano, non avevano assolutamente il coraggio che avevo io, di parlare, di difendere i diritti dei nostri figli.
Inizialmente cercavo di organizzare incontri tra i genitori per farli conoscere tra di loro e anche per far loro capire che non erano così soli, così incompresi. Con questi semplici incontri molte mamme e lentamente anche qualche papà impararono a sentirsi sempre più forti nel portare avanti le proprie richieste, le proposte e di lottare uniti per la cosa più importante: un’esistenza, un futuro «normale» per i propri figli.
Per far accettare e riconoscere queste nostre richieste anche da parte dei politici, dagli organi scolastici e dai vari enti, abbiamo fondato otto anni fa l’Associazione Genitori di Minorati (ora Associazione Genitori persone in situazione di handicap n.d.r.). Si sono uniti a noi in questi anni molti amici, molte persone che accettavano di mettersi assieme a noi, di unire le nostre forze alle loro, per meglio riuscire nella realizzazione dei diritti dei nostri figli e delle loro famiglie.
Penso a tanti insegnanti, medici, terapisti, presidi, assistenti, psicologi, educatori e tutte quelle persone che hanno accettato la critica, le contrarietà che tutto questo lavoro di sensibilizzazione, di normalizzazione ha portato con sé.
Lottando abbiamo ottenuto delle leggi provinciali che affrontano i problemi degli handicappati sotto i vari aspetti medici, scolastici, assistenziali, abbiamo creato e stiamo creando dei Centri Sociali decentrati su tutto il territorio e quello che più conta, grazie ai nostri figli stiamo creando una società umana, comprensiva e sensibile intorno a noi.
Noi non viviamo già in paradiso, la strada sarà ancora difficile, anche nel futuro.
Noi genitori — ed io per prima — vogliamo che ai nostri figli vengano concesse tutte le possibilità per realizzarsi meglio, per diventare il più possibile autonomi, per essere domani dei cittadini non dipendenti dall’assistenza e bontà altrui, ma semplicemente cittadini con diritti e doveri normali.
Ci serve assoluto accesso alle scuole professionali, creazioni di posti di lavoro adatti (laboratori protetti, cooperative, aziende, ecc.), realizzazione di tante comunità alloggio, tutto secondo le effettive capacità e necessità del singolo individuo. Sono sicura che genitori impegnati in prima persona riusciranno ad ottenere tutto quanto ci serve per un domani più sicuro, più tranquillo e più normale.
Per concludere posso semplicemente dirvi che la mia vita di mamma è stata ed è tuttora avvalorata ed arricchita immensamente dalla presenza di Daniela.
di Gertrude Calenzani, 1986
Questo articolo è tratto da
Ombre e Luci n.15, 1986
Sommario
Editoriale
Se loro non si muovono di Mariangela Bertolini
Articoli
La fortuna di avere Daniela di Gertrude Calenzani
Per un risveglio religioso dei più handicappati di Henri Bissonier
Casa Sacra Famiglia
Mary Mount: Settimana al Sole di Nicole Schulthes
Rubriche
Dialogo aperto
Vita Fede e Luce