È l’ora del tramonto: varchiamo un cancello enorme, arrugginito, aperto. Un cortile ampio, disordinato, pieno di vita, animato da una musica jazz che proviene da due altoparlanti posti su due balconi del primo piano; sei giovani attorno ad un tavolo di ping pong; molti bambini di ogni età si rincorrono e giocano. E proprio una bimbetta ci fa strada verso la casa dei coniugi Volpi, che ci accolgono con una tazzina di caffè nella loro ampia e simpatica cucina.
Parliamo con loro come con degli amici di vecchia data, interrotti ogni tanto da un figlio piccolo che si avvicina alla mamma, da un giovane, da una ragazza, seduta a lavorare a ferri vicino a noi. Il tavolo intorno al quale siamo seduti è enorme: accoglie per i pranzi e le cene 13 persone: mamma e papà Volpi, i loro figli e gli altri loro figli, quelli che sono stati accolti in più. Le enormi pentole appese, brillano e lo testimoniano.
Questa è una delle famiglie della Comunità; ce ne sono altre, più o meno come questa. Insieme vivono a Villa Pizzone (Piazza Villa Pizzone 3 – 20156 Milano). Per darvi un’idea di questa iniziativa, preferiamo dare la parola a chi la vive.
La Comunità Villa Pizzone è una comunità di famiglie composta da una sessantina di persone, divise in sei nuclei famigliari, un gruppo di Padri Gesuiti e due anziani per i quali si sono ricavati, all’interno delle abitazioni, due miniappartamenti indipendenti. Abitiamo una vecchia villa-cascina in fase di ristrutturazione alle porte di Milano, in un quartiere popolare. Il complesso degli edifici, che comprende anche quelli che un tempo erano i fienili e le scuderie, era stato abbandonato da una quindicina d’anni; ora lo stiamo risistemando e rendendo abitabile in tutte le sue parti.
Questo lavoro vede impegnati tutti coloro che sono in grado di dare una mano e diventa un momento importante di aggregazione, in quanto «tirar fuori un’abitazione da un mucchio di macerie è un modo di avere fiducia nella vita, di ricavare il buono dalle nostra macerie interiori…», come dice uno degli adulti della comunità. Determinante nelle nostre scelte è stata l’esperienza nel Terzo Mondo che accomuna ben tre delle sei famiglie. Questa esperienza di volontariato, se ci ha permesso di dare qualcosa dal punto di vista tecnico ed umano, con intenti cristiani più o meno espliciti, di più ci ha permesso di ricevere valori inestimabili quali la semplicità dei rapporti umani, la solidarietà, la disponibilità, la sobrietà di vita ecc.
La coppia che ha iniziato è la coppia Volpi (otto anni in Africa) alla quale si sono aggiunti i Gesuiti che già stavano facendo un’esperienza di vita in appartamento e, via via che la ristrutturazione dell’edificio l’ha permesso, si sono aggiunte le altre famiglie. Come dicevamo, attualmente sono sei. E’ da sottolineare che un’altra coppia che è stata qui per un periodo, ora fa una esperienza di volontariato in Brasile; un’altra si è staccata per dare origine ad un’esperienza simile a Vercelli e una terza, formatasi all’interno della comunità stessa, è in procinto di partire per la Repubblica Centrafricana. All’interno della Villa-cascina, ogni nucleo famigliare occupa un proprio appartamento. Inoltre ci sono locali comuni per i momenti di vita insieme della comunità e che vengono utilizzati anche dai Gesuiti per gli incontri di pastorale, dagli Scout, dai movimenti di volontariato, dal quartiere per vari incontri, ecc. Ogni nucleo famigliare risulta composto dalla coppia, dai figli naturali, da minori in affido, da adulti in ricerca, da obiettori di coscienza e da altri volontari in appoggio. Ogni famiglia, in base alla propria disponibilità, decide a chi e quando fare accoglienza, in rapporto alla situazione generale all’interno della comunità. Non è stata una scelta specifica e studiata quella dell’accoglienza, soprattutto dei minori, ma è nata come conseguenza logica dello stile di vita all’interno della comunità formata da famiglie. Attualmente i minori che sono in affido sono una decina, altri sono ancora qui pur essendo diventati maggiorenni. Se vogliamo guardare con attenzione al problema di questi minori, vediamo che sono ragazzi e adolescenti provenienti da situazioni famigliari difficili, qualcuno con qualche handicap fisico e, a volte, con alle spalle esperienze di affido o addirittura di adozione fallite. Si può dire che qui approdano come all’ultima spiaggia e qui rimangono a lungo oltre la maggior età. La strada per questi ragazzi è ancora lunga e difficile da trovare.
Durante questi anni, circa una trentina di persone in difficoltà hanno soggiornato presso la nostra comunità per periodi più o meno lunghi, rientrando nell’ambiente famigliare una volta normalizzata la situazione d’origine o trovando la soluzione per una propria vita indipendente. Molte di queste persone sono del quartiere. Una realtà come questa, perciò, funziona anche come centro di pronto intervento, senza che ci sia niente di precostituito.
E’ difficile parlare di linea educativa con persone che hanno alle spalle tristi e dolorose esperienze. Tanto si dà e tanto si riceve e in questo ci è maestra l’esperienza fatta nel Terzo Mondo. In comune mettiamo, oltre lo spazio fisico, anche i problemi, i momenti di gioia, di festa, lo scorrere del quotidiano… e, molto importante, il lavoro e i soldi.
Noi non vogliamo essere poveri, ma condurre uno stile di vita sobrio scartando il modello di consumismo che la società con i suoi vari mezzi di comunicazione ci propina. Non vogliamo lavorare per arricchirci, accumulare, garantirci il domani, ma per vivere con dignità e autosufficienza il quotidiano. La nostra fonte di sostentamento è data dalla città che ci permette di vivere con quei lavori marginali che, normalmente, più nessuno fa: sgomberi, pulizie di solai e cantine, piccoli trasporti o traslochi, lavori di manutenzione, ecc. Per questo nostro lavoro disponiamo di un camioncino e due furgoni e tante braccia.
Tutto il ricavato del lavoro viene messo in comune e ognuno attinge secondo le proprie necessità famigliari. All’inizio del mese, ogni famiglia riceve un assegno in bianco sul quale scrive la cifra prevista per il mese: il tutto è basato sulla fiducia. Accanto al lavoro esterno che vede impegnate tutte le persone abili, c’è anche un’attività interna. Oltre alla ristrutturazione dell’abitato, sono in funzione una falegnameria, un’officina meccanica per piccoli lavori esterni e per manutenzione della casa. Attorno alla cascina c’è un buon appezzamento di terreno che viene coltivato ad orto e arricchito pian pianino da qualche albero da frutta. I prodotti dell’orto sono quasi sufficienti ai bisogni dell’intera Comunità. In tutto questo ognuno trova un suo spazio nel quale esprimersi meglio. A chi vive con noi si chiede di condividere se stesso, il quotidiano, il lavoro, di stare con i bambini, i ragazzi, gli adulti, di fare compiti, chiacchierare, scherzare, ecc. Ognuno di noi è in ricerca e ci si aiuta reciprocamente vivendo assieme. A tal proposito, la presenza dei Gesuiti garantisce, a chi è interessato, varie proposte per un cammino spirituale. All’esterno, condividiamo le amicizie che i nostri ragazzi hanno stabilito tramite la scuola, l’oratorio, gli Scout. Si stanno intensificando i legami con la Parrocchia tramite un reciproco scambio di servizi. Molto spesso i gruppi parrocchiali utilizzano la Cappella e le sale comuni per gli incontri; qualche coppia della nostra comunità partecipa ai corsi per fidanzati e al gruppo di spiritualità famigliare. Più concreti e positivi si stanno facendo i rapporti con il quartiere e il Consiglio di zona. Un dato positivo, in questo senso, è l’impegno con cui gli abitanti del nostro quartiere si stanno battendo perché la struttura della villa cascina non subisca alterazioni con il nuovo piano regolatore. Riteniamo la nostra esperienza buona e positiva, anche se non priva di difficoltà. La struttura che ci siamo dati è nata dall’esperienza quotidiana, quindi la riteniamo proponibile a coloro che sono in ricerca. Proprio per questo, da diverso tempo, siamo alla ricerca di altre cascine che ci permettano di allargare la possibilità di un’esperienza simile ad altre coppie che lo richiedono.
–Redazione, 1986
Questo articolo è tratto da:
Ombre e Luci n.11, 1985
Sommario
Editoriale
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