Chi è l’altro?
L’altro sei tu per me, ed io per te.
È ogni persona.
È colui che viene messo in mostra e colui che viene nascosto.
L’altro, non è chi mi attira, ma chi incontro e che mi salva, perché fa sorgere in me l’ascolto e la fiducia.
Alla radice di ogni razzismo, di ogni settarismo, di ogni odio e di ogni violenza, c’è il rifiuto dell’altro, diverso da me.
Per incontrare l’altro, bisogna rinunciare al comparativo. Finché io sono « superiore » o « normale », lascio capire che l’altro è « inferiore » o « anormale ». E se un giorno mi metto in testa che mi dà fastidio o che mi costa caro, sarò tentato di sopprimerlo.
Il più delle volte incontriamo persone che ci somigliano, che hanno le nostre idee, che ci fanno complimenti, (e per dar peso a questi complimenti diciamo che sono persone « intelligenti »).
Ci fabbrichiamo così un piccolo universo dove l’altro diventa uno specchio che riflette un’immagine lusinghiera di noi stessi. Se l’immagine che egli ci dà, non ci piace, lo allontaniamo dal nostro orizzonte. Il mondo viene così diviso in coloro che « incontriamo » e « gli altri ».
Chi di noi non ha mai provato una cosa simile?
A volte mi sono trovato completamente sprovveduto di fronte a persone che non aspettavo. La loro presenza mi faceva sentire a disagio e sembrava soffocare in me ogni capacità di incontro.
E poi, un giorno, mi sono accorto che qualcosa si sbloccava in me. Non parlavo più dell’altro in termini medici, politici o pastorali.
Poco a poco la paura faceva posto alla fiducia.
L’altro diveniva un fratello, una sorella.
Qualche anno fa mi trovavo in treno, diretto in Germania.
Accanto a me c’era una famiglia con un bambino piccolo. Avevo una grande voglia di giocare con lui e di prenderlo in braccio. Ma il treno arrivò a Strasburgo.
Scesi e mi avviai alla sala di attesa, perché avrei dovuto aspettare alcune ore ed era notte. Subito dopo, un uomo traballante entrò e sedette accanto a me. Era completamente ubriaco. Non so se in tempo normale l’avrei lasciato dormire sulle mie ginocchia (il tempo «normale» è spesso quello dell’egoismo e della paura). Ma quella sera, al di là di ciò che vedevo e respiravo di lui, sapevo che c’era in lui un bambino più vulnerabile di quello visto sul treno poco prima. Posò la testa sulle mie ginocchia e dormì in quella posizione fino all’alba.
Incontrare l’altro non significa sceglierlo, ma scegliere di lasciarsi scegliere da lui. Quando parliamo di povertà, pensiamo, nella maggior parte dei casi, a quella piccola povertà che ci permette di realizzarci senza dover rinascere. Nel momento in cui la povertà si rivela come è in realtà, ci stordisce e ci tiriamo indietro con le scuse migliori: «Tutto, ma non questo».
Il povero dà sempre fastidio perché scuote l’edificio delle certezze che abbiamo pazientemente accumulato e, per dirla tutta, ci apre la porta di una liberazione che ancora non vogliamo avere. Incontrarsi è scoprire che si è presenti l’uno all’altro, che si vive l’uno per l’altro. Non solo per guardarsi negli occhi e stare bene insieme, ma per guardare nella stessa direzione e avanzare insieme.
A Fede e Luce dobbiamo essere pronti a lasciarci mettere in discussione dalla presenza dei più poveri. A causa della loro sete di amore, come a Cana, essi ci condurranno al di là delle nostre riserve, al di là di ciò che avevamo previsto e programmato. Essi apriranno i nostri cuori all’imprevisto e alla festa.
Luis Sankalé
Questo articolo è tratto da:
Insieme – Speciale Fede e Luce 1981