Il numero 25 di Insieme proponeva all’attenzione di tutti noi un argomento spesso trascurato. Questo argomento è la situazione particolare in cui si trovano a vivere, “senza alcuna scelta iniziale“(1) i fratelli e le sorelle di un ragazzo che un qualche tipo di handicap rende diverso dai suoi coetanei.
Sappiamo tutti che, anche nelle famiglie più fortunate, più aiutate o più coraggiose, si crea, almeno all’inizio, un’atmosfera di tensione e di angoscia ed ogni giorno si presentano nuovi, gravissimi problemi. Come reagisce un bambino o un ragazzo a questa situazione? Un essere ancora in crescita, non protagonista ma neppure semplice spettatore del dramma che si svolge sotto i suoi occhi?
La gente superficiale si interessa a questo problema quel tanto che gli permette di dare giudizi generici e superficiali del tipo “i ragazzi così sono rovinati” oppure al contrario “gli fa bene, crescono più responsabili, più buoni”… Ma la realtà vera qual è? Non è mai semplice e non si rivela di certo a persone frettolose e superficiali.
Insieme ha affrontato questo argomento, provocando l’attenzione dei suoi lettori con una serie di testimonianze personali, ha invitato i fratelli e le sorelle con analoghe esperienze a rispondere attraverso un questionario. Perché? Possiamo dire perché è importante conoscersi meglio per colmare un po’ le distanze che ci separano e per essere utili agli altri con questo tipo di scambio reciproco.
Le risposte, tutte preziose, non sono molte, e questo non permette di trarne motivo di commento o di conclusioni di carattere generale, è chiaro; però si può ugualmente fare qualche considerazione utile ed importante per tutti.
Sembra che il parlare, insieme ai genitori, di questo problema comune, aiuti molto. Là dove non si riesce a farlo è più difficile, a volte impossibile, vivere i rapporti sociali al di fuori della famiglia, come avere amici, invitarli a casa e così via.
Tutte le risposte, inoltre, dicono che la presenza di un ragazzo handicappato influisce sulla vita degli altri fratelli, solo uno parla di influenza totalmente negativa; le altre indicano tra le cose imparate o nel tipo di influenza subita una serie di atteggiamenti mentali e pratici che sono generalmente indice di maturità umana, direi anzi di vera saggezza. (Es: senso di responsabilità, ridimensionamento dei problemi, accettazione delle difficoltà proprie ed altrui, disponibilità agli altri, capacità di voler bene a chi ti sorride, il non voler sempre primeggiare…).
Questa maturità poi traspare anche in risposte ad altre domande. Voglio riportare, per dimostrarlo, la risposta di una bambina alla domanda “La sua presenza ti ha posto problemi per accogliere amici in casa?”, risponde: “Alcune volte sì, perché stupidamente mi vergogno di presentare un fratello così”. Dove c’è una onestà profonda nel cercare di essere esauriente e sincera, la consapevolezza che la vergogna, anche se viene naturale, è stupida, e la sicurezza di essere sulla buona strada riconoscendo che solo alcune volte questa stupida vergogna mette in difficoltà.
Ora però vorrei farvi una proposta: riprendete le testimonianze che il numero 25 di Insieme ci proponeva. Secondo me vanno riprese e rilette, con attenzione e con calma: ora questa, ora quella frase di volta in volta diranno di più, riveleranno un pò della loro ricchezza; non solo agli altri “fratelli” di famiglia e di sangue, ma a tutti noi che tante volte questa parola “fratelli” la diciamo e la sentiamo dire nelle nostre chiese. E’ una parola che in genere dà calore, tranquillizza, ma forse solo perché ha perso parecchio del suo profondo ed inquietante significato. Noi siamo posti nella condizione di poter essere come fratelli, ma dipende da noi trasformare in realtà operante la possibilità che ci viene data. E’ una realtà dura ed esigente: le testimonianze dei nostri amici ce lo ricordano.
Lucia Bertolini, 1980
Questo articolo è tratto da:
Insieme n.27, 1981