“I figli più amati”
di Carla Gallo Barbisio; edizione Einaudi
I figli più amati, come dice l’ultima pagina di copertina, sono i bambini “diversi”, i bambini ammalati di mente, gli handicappati. I fatti raccontati nel libro, le varie situazioni, danno un preciso significato al titolo, perché le venti storie sono raccontate in prima persona da chi vive giorno per giorno questo amore difficile, dilatato, provato fino al limite dell’esperienza umana. Esse sono l’esito dei colloqui avuti da genitori o fratelli di bambini “diversi” con una psicologa, Carla Gallo Barbisio, che lavora da anni nella provincia di Torino. Ora sono pubblicate senza introduzioni, senza commenti, perché servano da riflessione, perché favoriscano una crescita di coscienza, perché siano utili non solo ai genitori, ma anche a tecnici e a politici. Questi obiettivi è la stessa Gallo Barbisio che li accenna nella sua introduzione, breve e concisa, ma sufficiente a farcela conoscere, a farcela mettere senz’altro, nel nostro bisogno di catalogare le persone, insieme, vicina, completamente dalla parte dei protagonisti delle storie.
Vorrei essere anche io di poche parole, mentre vi consiglio di leggerlo; (ogni gruppo non potrebbe avere un certo numero di libri da far circolare e su cui eventualmente discutere insieme?) non è un libro che parla di handicappati; è un libro che ci permette di conoscere, almeno un pò, persone vere, nelle situazioni concrete di ogni giorno: queste situazioni sono particolarmente gravose, a volte drammatiche e senza soluzioni, sempre molto difficili.
Dopo averlo letto rimane un senso di gratitudine per chi ci ha permesso questa conoscenza nuova e insieme la sensazione di un vuoto, di una assenza che pesa. Ci si domanda: perché le situazioni sociali più gravose e difficili, come la disoccupazione, l’ignoranza e la miseria, in genere la società se le assume e, concretamente, con una infinità di atti cerca di sanarle in un crescendo di approssimazioni, mentre le situazioni dei figli “diversi” sono così lontane, così escluse si può dire, da questo disegno globale di civiltà?
Forse la ragione è la mancanza di conoscenza da parte della “gente”; non basta che conoscano le situazioni tecnici e politici: né la scienza, né la politica fino ad ora si sono potute assumere il compito di alleggerirle né di risolverle. Penso che la “gente” debba conoscere; conoscere vuol dire essere vicini, sentire, vedere, partecipare.
Quando la gente pensa alle grida, o alle violenze di un malato mentale, rabbrividisce ed ha paura, perché non conosce, anche se ha letto libri o visto servizi televisivi. Ma quando una persona sente il grido di M. o lo strillo di E. (cioè conosce M. ed E.) non solo non ha paura, ma quei segnali diventano comunicazione e colloquio, rafforzano la conoscenza, stimolano la partecipazione. E’ solo la conoscenza diretta che favorisce la crescita di coscienza collettiva, che può aiutare l’umanità a fare dei passi avanti. Forse dovevo solo segnalare il libro ed invece vi sto comunicando anche le riflessioni che ha suscitato in me. Non so se i genitori che hanno figli con problemi analoghi a quelli vissuti dai protagonisti del libro, possano provare motivo di interesse o di conforto, forse no; anche se vi sono elementi di forza, di serenità, di spinta a lottare, a resistere, che sono di per sé belli, e che possono aiutare moltissimo. Forse il libro va consigliato a chi non vive in prima persona le stesse situazioni, ma che tende ad uscire dalla stretta, a volte soffocante, dei suoi unici privati problemi.
Per tutti noi che in Fede e Luce abbiamo almeno qualcosa in comune, penso si possa trasformare in incoraggiamento ad allargare sempre più l’ambiente nel quale operiamo, con gli incontri, le feste, le liturgie, le gite, perché tutti abbiano la possibilità di “conoscere” senza esclusioni gli amici, i fratelli, i compagni (che importa come esprimiamo il nostro desiderio di unione?) che fanno la stessa strada, fino al momento in cui un grido gutturale si rivelerà amichevole ed uno spintone darà una scossa salutare all’automatismo della stretta di mano.
Lucia Bertolini, 1980
“Vita di bernadette”
R. Laurentin, “Vita di Bernadette” – Roma-Borla 1978 – Lire 3.500
“Quest’opera la dobbiamo ad uno tra i più qualificati esperti contemporanei della storia di Lourdes. Lo scritto non si presenta come storia romanzata: i nomi, i fatti, i dialoghi sono scrupolosamente tratti dai documenti sottoposti dall’autore ad uno studio critico. In sintesi un libro da leggere per incontrare Bernadette nella sua verità, nei suoi gesti e nelle sue parole autentiche, e per accogliere la lezione della sua vita (35 anni) intieramente animata, fino al giorno della sua morte, dal messaggio ricevuto dalla Vergine.” (Monsignor Donze, Vescovo di Tarbes e Lourdes)
“Gli scritti più semplici saranno i migliori. Si snaturano le cose a forza di volerle adornare.” (S. Bernadette sul letto di morte)
Questo articolo è tratto da:
Insieme n.26, 1980