Quando è nata Paola avevo 8 anni. Ricordo bene l’insieme di tesioni e la sensazione che le cose non fossero andate come avrebbero dovuto. Oltre a esser mongoloide, Paola stava molto male e si temeva addirittura che non si salvasse. Ricordo bene il pianto ininterrotto della mamma ed il silenzio pesante del babbo. I miei fratelli a quell’epoca avevano 10 e 11 anni, quindi eravamo ancora troppo piccoli tutti, anche solo per farci coraggio e affrontare le cose.
Le persone di casa, una donna che era con noi da sempre e la nonna ci dicevano sempre di pregare, ma noi non capivamo. Del resto non capiva nemmeno la mamma, che di mongolismo aveva sempre solo sentito parlare “da lontano”.
Per fortuna i nostri problemi non erano poi tanto gravi, dato che nel giro di pochi anni, forse già dopo il primo anno, la nostra era una vita normale di una famiglia con un componente in difficoltà.
La mamma è stata molto buona con noi e con Paola. Direi proprio una bugia se affermassi di aver avuto difficoltà nell’infanzia, nell’adolescenza o dopo.
No, perché?
Paola ha sempre frequentato i nostri amici: del resto ha sempre avuto una carica di simpatia e di affettività tale che era difficile che anche gli estranei non le rivolgessero la parola.
L’abbiamo sempre seguita nello sviluppo, trattandola normalmente e non ponendoci problemi particolari.
Con la maturità è subentrato un senso di “protezione” che forse prima non c’era. Forse è l’istinto materno, non so. Ma è quella voglia di fare capire agli altri, a tutti, che il mongolismo non è contagioso.
Ricordo che quando una signora ad una stazione ferroviaria cercò di “fregare” Paola alla fila della biglietteria (passandole avanti) fui molto aggressiva e ne discussi poi con mia madre.
Lei giustamente afferma che tanto la “gente” non cambia, ed è vero. Ma perché non dobbiamo avere il coraggio di difendere magari chi lo saprebbe fare (Paola sapeva bene come stavano le cose!) ma non viene ascoltato? Io non so accettare passivamente, con la rassegnazione della mamma che forse ne ha già passate talmente tante e non ha voglia di lottare. Adesso sono sposata, ho un figlio e mi chiedo come sarebbe se… mancassero i miei genitori?
Mio marito, così insofferente a tutto, che è arrivato a dire di volere più bene al nostro bambino perché è bello, accetterebbe Paola?
Io capisco che lui non possa avere la sensibilità mia e di chi è vissuto a contatto stretto con questi problemi. Sà che è disposto a dare aiuto: ma non è qui il problema.
Non voglio che Paola (o gli altri) sia solo accettata, è questione di DISPONIBILITA’, che è un’altra cosa.
Io stessa ho dei problemi, come potrebbe non averne lui? Adesso Paola ha 21 anni, io 29, mi sembra ancora tanto presto per pensarci, ma forse è solo il modo per non affrontare un problema che non so risolvere.
M.Angela, 1980
Questo articolo è tratto da:
Insieme n.26, 1980