“Sia che mangiate, sia che beviate, fatelo nel nome del Signore.”
Nella casa del ricco Epulone c’era festa. Forse qualcuno suonava rallegrando gli invitati, i servi si davano da fare per servire il padrone e in cucina le donne non avevano tregua nel preparare le varie portate del ricco pasto. Ma nel cuore di Epulone non c’era spazio per il povero, non c’era attenzione per Lazzaro, nemmeno aveva parole di accoglienza e di umanità: solo le briciole vicino ai suoi piedi…
Nelle case dei poveri ci fu sempre un piatto vuoto riservato al più povero o al pellegrino o all’emarginato. perché i poveri hanno buona memoria e non dimenticano che un Dio, benchè grande e onnipotente, ha fatto spazio a ciascuno di loro nel suo cuore, accanto a suo Figlio e li ha per sempre voluti suoi commensali alla mensa della misericordia.
I poveri sono ubbidienti, essi realizzano nella loro vita quella parola di Paolo: “Sia che mangiate, sia che beviate fatelo nel nome del Signore”. Come a dire: fatelo come lui lo ha fatto, fatelo con il suo spirito, fatelo con lo stesso cuore.
Gesù pranza con i peccatori, i pubblicani, le prostitute.
Dio ama chi non lo ama,
Dio ama chi non sa amare,
Dio ama chi è povero nel cuore ed è senza forse
ed è incapace di guidare perfino se stesso.
Dio va in cerca di colui che non ha più strade su cui
camminare,
di colui che non ha più luce
con la quale rischiarare la notte,
di colui che non ha amore da cantare o da raccontare
ma solo tristezza e solitudine.
E Gesù siede a tavola con loro,
Compie con loro un gesto di fraternità,
Offre a loro un segno di fiducia,
Dona loro un sorriso e una parola come a dire:
“tu hai dentro una grande forza di amore,
non temere io te la voglio liberare.”
Gesù siede a tavola,
spezza il pane e lo offre a questa donna:
lei è sorpresa perché ha imparato
che da lei si vuol solo prendere e che a lei nessuno dà.
Ma Gesù dona il pane senza nulla pretendere, gratis.
Il cuore trasforma il pane in un segno di amore.
Piccole cose hanno la forza di mutare una vita.
Gesù va a mangiare da Matteo, il pubblicano.
Siamo su una piazza e un uomo riscuote le tasse. E’ un amico dei romani, e con il mestiere ruba alla gente arricchendosi alle spalle dei suoi compatrioti.
Gesù lo vede, lo chiama e lo invita: “Seguimi”. Poi soggiunge: “questa sera verrò da te a cena”.
Il cuore di Dio supera ogni barriera che gli uomini hanno fissato e il suo sguardo giunge diritto al cuore; l’uomo ne resta colpito, si alza, accetta, segue il maestro; e la cena diviene il segno di una comunione, di un rapporto intimo, di una fiducia in quell’uomo di Nazareth che ha saputo andare al di là delle apparenze e cogliere le aspirazioni del cuore.
La cena dei cristiani non potrà essere che la testimonianza di questa apertura e di questa presenza di Dio in ciascun fratello che incontriamo sulla nostra strada.
Gesù a casa di Simone, il fariseo
Questo pranzo è il segno della libertà di Gesù. Egli sa essere vero e sincero anche presso coloro che non capiscono. Forse Simone lo avrà invitato per farsi bello di fronte al popolo, ospitando Gesù; il Maestro, colui che faceva miracoli e insegnava con autorità; forse voleva studiarlo un pò da vicino così da poter renderlo innocuo.
Entra una donna, una peccatrice, si china ai piedi di Gesù, li lava con un profumo costoso, li asciuga con i suoi capelli e piange, il suo cuore scoppia della sofferenza degli uomini.
E Gesù lascia fare. Simone si scandalizza: come può un maestro e un signore lasciarsi avvicinare da simili persone?
Gesù lo fissa, forse un pò triste: “Simone, tu non hai conosciuto il cuore di Dio e ciò che il Padre cerca nell’uomo! Simone, tu hai sempre creduto che Dio lo si debba pagare come si fa con un padrone, mentre Dio cerca amore. Tu mi hai invitato a pranzo ma non mi hai accolto con i segni dell’amicizia e dell’amore, non così questa donna”.
Qualche tempo dopo, durante un pranzo, Gesù si alzò, si cinse il grembiule e lavò i piedi ai discepoli.
I poveri nella loro casa sempre fanno memoria di quel Dio che si è inchinato ai loro piedi, non hanno più barriere e solo il galateo dell’amore.
Gesù non mangia rifiutando la tentazione
Tutto nella vita è importante
Ma solo Dio è l’assoluto,
Solo Dio è necessario,
“Dio basta”.
Ogni volta che noi ascoltiamo la Parola,
Durante l’eucaristia
O durante una cena nelle nostre case,
Noi ripetiamo la nostra fede
In questa ultima verità:
Solo Tu Signore sei la vita
Il cibo,
L’acqua che disseta,
La forza che sostiene.
Gesù si fa pane e vino
E’ l’ora.
Questa notte lo arresteranno,
Poi lo picchieranno, lo giudicheranno
E infine lo condanneranno alla morte dei malfattori.
Gesù con i suoi vive insieme l’ultima cena.
Allora, in un clima di profonda commozione,
Prende il pane, lo spezza
E lo dà a ciascuno di loro e dice:
“Questo sono io che spezzo la mia vita per voi,
che la dono per voi,
perché non siate più soli
Ma perché Dio abiti dentro di voi”.
Così ripete il gesto con il calice del vino.
Poi soggiunge:
“Fate questo in memoria di me,
Vivete anche voi come io ho vissuto,
Fate anche voi della vostra vita
Una esistenza donata e spezzata dall’amore,
Vivete anche voi
Ubbidendo fino alla fine al cuore del Padre”.
Ogni volta che rifacciamo questo gesto
Noi ci disponiamo
Ad essere pane spezzato e vino versato,
Ad esistere come un cuore aperto ad ogni uomo.
Il banchetto celeste
Ogni pane è frutto della fatica e del lavoro ed intriso spesso di dolori e di speranze.
Ogni nostra comunione con gli altri fratelli è sempre vissuta nella ricerca di essere capaci dell’amore grande che Dio ci ha messo nel cuore come un seme e nell’attesa che fruttifichi alla primavera e porti frutto.
Nella speranza, noi attendiamo quel banchetto in cui ogni barriera sarà abbattuta ed ogni egoismo sconfitto, noi attendiamo quella pienezza che è la straordinaria presenza di Dio in tutto e in tutti.
E di questo ogni nostro incontro sia testimonianza.
Questo articolo è tratto da:
Insieme n.26, 1980