Quando venni a Fede e Luce le prime volte ciò che mi colpì di più fu l’immagine di tanti ragazzi gravi che vi erano, con la loro totale o quasi totale dipendenza da noi amici. Le loro necessità, il loro dover essere nutriti, cambiati, corretti, portati, ci si imponevano, ci venivano incontro spontaneamente: era un mondo di necessità e di abitudini nuove per noi “normali”, ed era naturale che ci colpisse.
Col passare del tempo nei gruppi ti accorgi però di un’altra realtà, della realtà di ragazzi e adulti con esigenze profondamente diverse da queste. Ti accorgi di quel ragazzo seduto in disparte, o di quell’altro che tira svogliato quattro calci al pallone, ragazzi autosufficienti che spesso studiano e lavorano, apparentemente fortunati rispetto a chi deve stare seduto in carrozzella o a chi deve essere imboccato ogni volta. Proprio loro invece sono quelli che spesso restano insoddisfatti delle nostre brevi feste o delle domeniche al Nazareth perché sentono come molto vuote tutto sia inadeguato alle loro esigenze. I giochi o i canti li possono sì divertire e soddisfare momentaneamente, ma essi cercano qualcosa di più, un’amicizia vera, profonda, che vada al di là delle poche ore passate insieme nei gruppi: e difatti le parole amico, amicizia, risuonano sempre nei loro discorsi.
Malgrado molti di essi, come ho già detto, abbiano la possibilità di lavorare e di andare a scuola (la mentalità della gente sta, per fortuna, a poco a poco cambiando riguardo a questi inserimenti), vivono a volte come in un limbo: hanno l’affetto dei familiari e dei parenti, ma essendo anche adulti e quasi autosufficienti, tutto ciò non basta loro più.
Cercano così amici con i quali vedersi, uscire, scherzare, con i quali condurre una vita come gli altri e senza cui l’inserimento nella scuola e nel lavoro perderebbe quasi ogni significato. Di qui il senso delle domande che noi amici ci sentiamo tante volte rivolgere: “Vuoi venire a trovarmi?”, “Quando andiamo a prendere una pizza?” dietro cui spesso non ci rendiamo conto di quali amare storie esistano.
Carlo Colosimo, 1979
Questo articolo è tratto da:
Insieme n.23, 1979