Ne abbiamo letto tanto, lo abbiamo visto e ascoltato – parole sue o su di lui; documentari in bianco e nero della Rai, registrazioni audio della sua voce, speciali e sceneggiati a puntate che ne hanno ripercorso la vita. Ma se anche dalle pagine di questa rivista dedicata a fragilità e disabilità abbiamo deciso di parlare di Franco Basaglia, cogliendo l’occasione del centenario dalla nascita che cade in questo complicato 2024, è perché il medico italiano è riuscito in un’impresa veramente storica: smettere di tenere «i matti» – categoria eterogenea per definizione, per stereotipo e per ignoranza – separati e lontani dalla vista dei «sani».

Le prime cose da fare sono due: «Ascoltare e parlare». La chiave per l’incontro, per il rispetto e, addirittura, per lo scambio e l’arricchimento reciproco è una sola: la conoscenza. E attraverso l’emanazione della legge 180 che ha portato alla chiusura dei manicomi in Italia, esattamente questo Basaglia ha permesso: che le persone con disturbi mentali, con forme diverse e articolate di disabilità, persone scomode, difficili o caotiche, venissero finalmente viste. E quindi pensate, ascoltate, accompagnate. Un percorso difficile e accidentato che le ha portate dalla condizione di indesiderati a quella di cittadini.
Basaglia si sofferma sul controllo che la psichiatria esercita sulla popolazione, soprattutto su quella povera, sulle masse di “indesiderabili” dal punto di vista economico, sociale e politico, in quanto non producono, non seguono l’ordine sociale, non obbediscono.

Le prime cose da fare sono due: «Ascoltare e parlare».
La chiave per l’incontro, per il rispetto e addirittura per lo scambio e l’arricchimento reciproco è una sola: la conoscenza.

Ne La meglio gioventù (Marco Tullio Giordana, 2003) Matteo chiede a suo fratello Nicola, psichiatra negli anni Settanta, chi sia l’uomo nella foto. «Il mio maestro, Franco Basaglia!» è la risposta. «Ah, quello che vuole liberare tutti i matti». Allora Nicola gli racconta di quel dottore per cui «i malati non sono detenuti, ma persone, e la malattia mentale non è una colpa da espiare».
Con questo focus, cerchiamo di capire chi fu Franco Basaglia, cosa immaginò e cosa volle, e quale dovrebbe essere il nostro compito oggi. Perché ancora la fragilità, la salute mentale e la disabilità rimangono un problema solo di alcuni. Invece sofferenze, bisogni e richieste, uscendo dai confini di una casa, di un territorio, riguardano tutti. Ci riguardano tutti. Una svolta culturale, sociale e politica può avere il suo fulcro solo in una nuova coscienza di comunità. Una comunità che sappia aver cura della persona che si ha davanti in quanto soggetto concreto. È pensare a una comunità che cura, a una comunità come luogo di ascolto, accoglimento e possibile reinserimento: il grimaldello è partire dalla relazione, coinvolgendo il singolo e la sua rete familiare. Perché solo insieme si vince. Altrimenti a perdere siamo tutti, ancora e sempre.

Nei mesi successivi all’approvazione della legge 180, Franco Basaglia noleggia un aereo per permettere agli ex internati del manicomio un breve volo sopra Trieste: «il grande traghettatore» (come lo definì Alda Merini) vuole che vedano dall’alto la città che per decenni non hanno potuto abitare perché reclusi. «Quel volo, quella visione, quella capacità di osare l’impossibile – ha scritto Franco Lorenzoni – è ciò di cui abbiamo bisogno per poi tornare a terra e nel nostro quotidiano assumerci in prima persona le nostre responsabilità. Trasformare le nostre pratiche educative è urgente e necessario (…) perché il sapere di cui abbiamo bisogno ancora non c’è e va elaborato in più contesti possibili». Ombre e Luci vuole iniziare proprio da qui.

Questo articolo è tratto da
Ombre e Luci n.167

Copertina_OeL_167_2024

Trasformare le pratiche ultima modifica: 2024-11-26T13:07:59+00:00 da Giulia Galeotti

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