Quando il gruppo S.Silvia chiese a Francesco di organizzare una gita per il 1979 nessuno immaginava quale sarebbe stato il risultato di questo incarico. Eravamo tutti invitati ad una piccola riunione a casa di Lucia senza sapere di cosa si trattasse.
Erano presenti poche persone fra le più attive. Noi non avevamo, allora, alcuna responsabilità in “Fede e Luce”; anzi eravamo abbastanza nuovi e restammo un po’ sorpresi dinnanzi a questa proposta del tutto inaspettata.
Né Francesco né io avevamo alcuna esperienza in questo campo. Eravamo stati tra i presenti al pellegrinaggio di Assisi lo scorso anno; ma piuttosto come ospiti e osservatori.
Tornati a casa dissi a Francesco: “Organizza una specie di pic-nic ai Castelli con pochi ragazzi. Sarà una cosa abbastanza semplice, un gesto. Qualcosa bisogna fare: ormai hai accettato l’incarico, ma se cerchi di fare qualcosa di troppo complicato sarà un disastro e faremo una brutta figura”.
Francesco era molto indeciso. Eravamo in autunno. Le giornate erano corte e spesso pioveva. Ai Castelli è umido e non era il caso di portare i ragazzi, alcuni con salute fragile, nei boschi.
Così decidemmo di aspettare la primavera. In quel periodo, dovevamo andare a Loreto con tutta la famiglia. Mons. Capovilla ci accolse con molta ospitalità e Francesco approfittò di questa occasione per parlare di Fede e Luce.
Il vescovo rimase molto interessato di ciò che Fede e Luce faceva e forse proprio in quel momento nacque l’idea del pellegrinaggio a Loreto.
In seguito abbiamo parlato con i responsabili del gruppo del progetto del Pellegrinaggio, ed abbiamo cominciato a discutere dei vari dettagli: quante persone sarebbero state disposte ad andare, dove alloggiare, e così via.
Piano piano abbiamo cominciato a dividere le varie responsabilità. Non avevo alcuna idea di quanto lavoro ci sarebbe stato da fare, e quante persone dovevano impegnarsi per la buona riuscita del pellegrinaggio sia prima che durante, da chi doveva far conoscere l’iniziativa, a chi doveva preparare il programma organizzare i giochi… fino al responsabile dei 150 vasetti da dipingere per dare un ricordo ai partecipanti.
Eravamo in tutto 135 persone: 50 provenienti da Parma, 7 dalla Francia, 2 dall’Inghilterra e gli altri da Roma. Circa un terzo erano handicappati e molti di questi erano casi gravi, alcuni eccezionalmente gravi e ne parlerò in seguito.
Avevamo prenotato l’intero albergo “Casa S.Francesco” e bisogna dire che tutto il personale ci ha accolto con una gentilezza ed una pazienza unica.
Siamo partiti da Roma venerdì pomeriggio l’8 Maggio e siamo ritornati la domenica sera. Due bellissimi giorni interi di sole, giochi, canti, passeggiate, preghiere ed incontri con carissimi amici, alcuni nuovi.
Penso che tutti noi conosciamo Don Francesco di Parma, ma io, almeno, non avevo ancora incontrato sua sorella Vittoria. Hanno portato con loro – e siamo contenti e fieri di averla conosciuta – Gabriella con sua mamma e tre sorelle. Gabriella stava sulla sua barella, dove giace da due anni, perché Gabriella sta in coma. Sua mamma e le sue sorelle non perdono mai la loro speranza.
Stanno sempre appresso a lei giorno e notte, i loro visi sereni e pieni di fiducia.
Chi sa se Gabriella capisce la forza dell’amore che la circonda?
Maureen è venuta invece dall’Inghilterra con la sua bambina Lynn. Veramente non proprio sua. Lynn è stata adottata. Veramente non proprio adottata; in quanto la situazione non è stata mai legalizzata. Sentiamo il racconto di Maureen. Infatti era stata invitata dall’Inghilterra per raccontare la sua storia ai genitori durante il pellegrinaggio e dare così testimonianza d’amore.
Lynn è nata in Inghilterra 18 anni fa da genitori Giamaicani. Era l’ultima di 10 figli. È stata riportata in Jamaica e lì messa in un Istituto. In seguito la mamma è andata a vivere negli Stati Uniti ma la bambina non poteva seguirla per qualche motivo burocratico. Come è stata coinvolta Maureen in questa faccenda? Maureen era già un membro attivo di Fede e Luce in Inghilterra e una vicina di casa sapendo questo le raccontò la storia di Lynn, sembrava che la bambina non fosse ben seguita in Jamaica e non aveva nessun controllo da parte della famiglia che nel frattempo era scomparsa.
Maureen sentì una profonda pena per la bambina abbandonata dalla propria famiglia e suggerì alla vicina di casa di farla tornare in Inghilterra dove era nata.
“Troveremo un collegio o una casa-famiglia con un po’ di calore umano e potremo andarla a trovare di tanto in tanto.”
Maureen scrisse alla mamma di Lynn e la bambina ritornò in Inghilterra a 11 anni. Era una bambina grave. Maureen capì subito che non era facile trovare un collegio od una scuola che l’avrebbero accolta volentieri. La bambina sembrava leggermente mongoloide. Spesso aveva delle forti crisi, durante le quali poteva essere pericolose per sé o per gli altri.
L’unico modo di poterla controllare sarebbe stato quello di darle dei tranquillanti e di metterle una camicia di forza. Maureen, essendo infermiera di professione, intuì che questa sarebbe stata la sua sorte se fosse stata messa in una casa di cura o in un collegio, perché anche in un paese sviluppato come l’Inghilterra si ricorre a questi mezzi.
D’altra parte la bambina non aveva mai avuto una casa, non era mai stata amata da nessuno.
In un primo momento Lynn fu affidata ad un assistente sociale, che avrebbe dovuto occuparsi di lei per pochi giorni, giusto il tempo di trovare una sistemazione definitiva.
Nel frattempo Maureen si dava da fare per trovare una soluzione. Parlava con chiunque avesse potuto aiutarla e anche con il vescovo che promise di studiare il caso e disse che avrebbe pregato Dio per far trovare a Lynn una casa.
Nel frattempo l’assistente sociale non ce la faceva più a tenere Lynn a telefonava a Maureen varie volte al giorno. Maureen era ormai troppo coinvolta por tirarsi indietro. Aveva quattro figlie, la più piccola di 8 anni, tre meno di Lynn, e lavorava di notte, come infermiera. Dopo un po’ di tempo Maureen incontrò per caso il Vescovo che le chiese subito notizie di Lynn.
“Mi dica, cara Signora, sono state esaudite le mie preghiere? Lynn ha trovato una casa?”.
“Sì, Eccellenza” rispose “Ha trovato una casa. Sta a casa mia.” E così è rimasta. Sono passati 7 anni e Lynn sta ancora a casa con Maureen, che séguita ad assistere i malati di notte per aumentare le modeste entrate del marito e durante il giorno, quando dovrebbe riposare, sta appresso a Lynn che non è mai andata a scuola e che non ha mai avuto sedativi o cose del genere. A parte qualche occasionale cartolina per Natale, la madre di Lynn non si è fatta più viva.
Tutti a casa di Maureen hanno insistito affinché la bambina restasse con loro a costo di qualsiasi sacrificio. Una delle figlie divide la stanza con Lynn e durante la notte Maureen fa un salto a casa fra un’assistenza e l’altra quando si trova nelle vicinanze, in modo che la famiglia possa dormire con più tranquillità.
È una vita dura ma, in qualche modo, Maureen ha trovato la forza di andare avanti. Continua a portare la bambina all’estero in pellegrinaggi perché sente di avere ormai una missione da compiere.
Storie come queste lasciano senza parole. Se Mariangela od io avessimo saputo quanto era difficile Lynn, forse non avremmo mai avuto il coraggio di chiederle di affrontare questo viaggio per noi, ma siano molto contenti che lo abbia fatto, in quanto è stata una lezione di Fede e di Amore a tutti noi genitori.
Per anni io ero convinta di avere una croce troppo pesante da sopportare, ma da quando frequento Fede e Luce ho cominciato a capire che la mia croce è molto più leggera di tanti altri. Adesso, dopo questo pellegrinaggio, mi pare di non avere più alcuna croce.
Se qualche adulto era rimasto forse un po’ imbarazzato dalla visita che il vescovo ci ha voluto fare, qualsiasi imbarazzo è scomparso subito. Ci ha pennate Giorgio, uno dei nostri ragazzi, simpaticissimo.
Appena Giorgio ha visto il vescovo entrare nella sala da pranzo dell’albergo è corso subito da lui e, presolo per mano, lo ha trascinato sorridente in mezzo a noi, dove è stato immediatamente circondato da ragazzi di tutte le età.
La loro felicità è stata grande quando a ciascuno di loro Mons. Capovilla ha regalato una medaglia di Papa Giovanni.
La mia storia non sarebbe completa senza parlare di Jean. Nessuno di noi lo conosceva. Veniva dalla Francia con la mamma, un sacerdote (il caro Louis) ed un amico di Fede e Luce.
È stato Louis a convincere la mamma di Jean a portarlo in chiesa e quindi in pellegrinaggio. Jean era un bellissimo ragazzo biondo, occhi azzurri, fine e delicato.
La mamma non aveva mai avuto il coraggio di portare Jean in giro, neanche in Chiesa, perché era convinta, e non senza ragione, che suo figlio non sarebbe stato ben visto per via del suo strano comportamento, imprevedibile, tipico del ragazzo autistico.
La brava gente va in Chiesa per pregare in silenzio per il prossimo, ma quando il prossimo diventa troppo prossimo, dà fastidio. È più facile pregare per gli altri, fare qualche elemosina, però senza essere personalmente coinvolti.
Così gli anni sono passati e la mamma di Jean è rimasta sempre più sola e Jean senza amici.
Per due giorni Jean è stato felice e la sua mamma spensierata.
Per due giorni Jean ha giocato, strillato, corso qua e là con gli altri, ha fatto quello che voleva senza che nessuno cercasse di impedirglielo.
Ha giocato con l’acqua, con la terra, e ha trovato tanti, tanti amici, forse più in questi due giorni che non nella sua intera vita, quella vita, quella vita che poi si è spenta.
Sì perché Jean sono tre giorni dopo il suo ritorno in Francia è morto.
Forse era destino che Jean cantasse il suo ultimo canto di gioia prima di morire.
Valeva la pena tutto questo trambusto, tutto questo lavoro, denari spesi, viaggi faticosi e difficoltà?
Penso proprio di sì.
Olga Gammarelli, 1979
Jean
Oggi, se penso a Loreto, vedo solo Jean, il suo ciuffo biondo, il suo sguardo, quel suo modo di giocare con la terra…
Lo rivedo specialmente durante la messa di Domenica nel giardino seduto per terra in grembo a Mariangela; con le batteva le mani mentre tutti cantavano “Alleluia”: lo guardavo e pensavo a come diventava importante il nostro povero canto per quel suo battere di mani.
Così rivedo Jean e penso che ora canta per tutti noi,
Carla Magnarini
Questo articolo è tratto da:
Insieme n.22, 1979