«Vorremmo che a venirci a trovare al festival fosse chi non conosce l’autismo, coloro che non fanno parte di questo mondo così vario e così poco conosciuto… vorremmo incuriosirli. Per questo lasceremo le porte del teatro non aperte ma spalancate perché chi vuole si affacci ed entri in contatto con questa realtà, lasciandosene anche contaminare».
Paola Nicoletti presentava così la prima edizione di un festival che a Roma rappresenta una grande occasione per avvicinarsi al mondo autistico. E anche quest’anno le porte del Teatro degli Eroi si sono spalancate per la seconda edizione del festival che si è svolta nel settembre scorso. Un giorno in più rispetto a quella precedente ha reso ancora più denso il programma già molto vario e ricco, impostato su un format uguale per ogni giornata: tavole rotonde e dibattiti al mattino per l’aut meeting, sui temi importanti che riguardano chi vive questa condizione; presentazione di libri per riflettere insieme e «far circolare idee»; uno spazio pomeridiano dedicato all’arte come mezzo di espressione anche per coloro che non parlano; un talent non competitivo preserale e uno spettacolo serale.
I temi scelti rappresentano certamente il cuore delle questioni importanti per le famiglie e le persone autistiche: inventare il futuro pensando al domani, la salute fisica e mentale della persona autistica, la qualità della vita e il diritto alla ricerca della felicità, la rappresentazione dell’autismo nel mondo dell’informazione. Ogni tema è stato affrontato nel giusto tempo necessario (finalmente!) anche se non esaurito certamente, dando occasione di riflettere sulle questioni più significative per la crescita di consapevolezza intorno all’autismo.
Non trascurabile la presenza, oltre a quella di chi lavora nei vari ambiti del settore e di molti genitori quasi sempre accompagnati dai loro figli e dalle loro figlie, proprio quella di persone nello spettro autistico impegnate nella promozione della consapevolezza: un aspetto per nulla secondario se, come ha raccontato ancora Paola Nicoletti, la linea indicata fin dalla prima edizione del festival è stata «mai più parlare di loro senza di loro».
Il teatro degli Eroi è divenuto così un crocevia nel quale tanti linguaggi hanno potuto emergere ed esprimersi: non solo attraverso le parole e le riflessioni accennate prima ma anche tramite le passioni personali. Il canto, la recitazione, il disegno, la pittura, la musica sono divenute spiragli da cui osservare (consapevoli anche di lasciarsi osservare) un mondo davvero impossibile da semplificare o ridurre e riconoscere. Lo sottolinea Gianluca Nicoletti, «un padre alla ricerca di evanescenza» rispetto alla notorietà avuta finora per le battaglie comunicative che ha compiuto in quanto giornalista e padre di Tommy: «la dimensione dell’arte è importante per trovare un linguaggio comprensibile a interpretare una mente autistica, di un cervello che ha un diverso funzionamento».
Passioni normali che, più di tanto altro, raccontano quel pezzo di umanità che continua a rimanere ai margini dei nostri pensieri, progetti, politiche. Hanno brillato per la loro assenza, nonostante gli inviti accolti, la maggior parte dei referenti politici invitati («forse perché chiamati ad ascoltare più che a parlare?» si domanda Paola Nicoletti). Sarebbe stata invece una bella occasione potersi confrontare con voci diverse dalle solite alla ribalta mentre le correnti più seguite continuano a rappresentare l’autismo «a seconda della convenienza del momento». Sarà l’ora del papà supereroe, della coppia spezzata, del dramma familiare mal raccontato, del ragazzo o ragazza fenomeno: la strada più facilmente percorsa sarà quella che garantisce l’attenzione di chi guarda ma sarà anche quella meno corretta.
Una delle questioni trasversali più significative rimane proprio quella della grande diversità all’interno del mondo autistico: i bisogni di ogni persona, bambino o adulto che sia, nella condizione autistica sono così tanto specifici da rendere quasi utopica una comunicazione unitaria da parte del mondo associativo che, d’altronde, nel rimanere tanto frastagliato, perde di incisività nelle battaglie che combatte quotidianamente.
«Certo sintetizzare è difficile ― conferma il prof. Luigi Mazzoni, neuropsichiatra infantile a Tor Vergata ―ma lo sforzo dovrebbe esser perseguito». E sintetizza i cinque punti essenziali per una tavola comune di lavoro: la diagnosi precoce e la messa in atto di interventi evidence based; creare i presupposti affinché il percorso scolastico sia sostenuto da insegnanti di sostegno preparati; non lasciare le famiglie nel baratro in cui oggi vivono nella transizione dei figli all’età adulta; progettare convenzioni con aziende o sostegno alle famiglie a seconda del livello di autismo in età adulta; il dopo di noi. «Forse potrà sembrare una lista banale e sintetica visto che per ogni punto si potrebbe fare un libro… ma se occorre una sintesi questa è e dovrebbe essere tema centrale per un coordinamento nazionale con un coordinamento scientifico serio» conclude Mazzoni.
Una serietà che invece sembra mancare al nostro parlamento quando arriva a discutere, ad esempio, del finanziamento di programmi di mototerapia per l’autismo. Sembra poi che l’unico fronte «capace di metter d’accordo l’intero arco costituzionale, in diverse legislature» sia quello che definisce e sostiene la figura del caregiver. E andrebbe anche bene se non fosse, sottolinea un genitore sul palco, che «sembra automatica la rinunzia al contesto circostante e la delega pressoché totale ad un genitore del proprio figlio, considerato che il caregiver, in genere, è il familiare più stretto, il genitore. Con il rischio di finire letteralmente segregati… dei prigionieri in simbiosi». Parole che danno l’idea di quanto ascolto e confronto sia ancora necessario costruire intorno agli interventi necessari per una condizione così complessa che può comportare una disabilità comunicativa, relazionale e anche intellettiva.
Fin quando concedersi un periodo di vacanza senza doversi occupare del proprio figlio ormai grande sarà un lusso che in pochi possono permettersi se un operatore chiede il giusto stipendio e, spesso, neanche basta uno; fin quando un genitore sarà costretto a chiudersi in casa per alleviare le crisi violente che in adolescenza possono interessare più di altri chi è autistico. Fin quando ogni tipo di attività verrà proposta come terapia perdendo quella possibilità di essere semplicemente un tempo ludico e di intrattenimento nella pretesa disumanizzante di medicalizzare tutto ma mancheranno neuropsichiatri e terapisti per garantire livelli essenziali in tutto il territorio nazionale e bambini di 2-3 anni con una diagnosi dovranno aspettare altrettanti anni per essere presi in carico dal servizio pubblico per la loro terapia. Fin quando mancheranno concreti programmi di prevenzione di salute anche per chi ha una disabilità intellettiva, nonostante i progetti DAMA stiano diffondendosi, «perché tutti devono poter accedere ai programmi di screening nazionali»; fin quando la scuola, il lavoro, la società non compiranno scelte di lessico, scelte di apertura e confronto, scelte culturali… Una visita alla prossima edizione dell’AUT ART festival sarà uno di quei passi possibili a ciascuno di noi per conquistare una prospettiva degna della nostra umanità. (E Ombre e Luci sarà lì a raccontarlo).
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