Da veterano pedagogista, amico e fratello nelle comunità partenopee di Fede e Luce, Bruno Galante sapeva quanto efficace potesse essere un mimo del vangelo, un’azione di catechesi alla portata di tutti. Chissà che gioia, quindi, al vedere membri delle comunità campane essere invitati a realizzare quella proposta, da lui tanto a lungo richiesta, in occasione della messa conclusiva per il convegno organizzato dall’Ufficio per la Pastorale delle Persone con disabilità della Cei lo scorso aprile. Una gioia pienamente condivisa.

Il convegno è stato curato con dedizione e rigore da suor Veronica Amata Donatello fin dalla scelta del luogo, Scampia, nella nuova sede dell’Università Federico II. Ai tanti interventi sul tema delle Stagioni della Vita sono seguite esperienze artistiche inclusive (attraverso l’installazione de La Bandiera del Mondo e la visita guidata dai ragazzi del laboratorio La Scintilla, alla scoperta di Caravaggio e del Tesoro di san Gennaro) insieme a momenti di cura spirituale.

Una cura che, nei momenti conclusivi dell’incontro in duomo, lasciava intravedere il Regno tra noi attraverso le semplici e incisive attenzioni messe in pratica perché ognuno potesse dare il suo contributo: nelle letture, tramite il messale in braille e un sintetizzatore vocale per un lettore della diocesi che non può muovere alcun muscolo; nel vangelo, reso vivo nelle parole proclamate e nell’azione dei corpi.

Nella maggior parte delle occasioni fedelucine in cui viene proposto, il testo evangelico viene mimato durante la proclamazione del vangelo. Questa volta, invece – ed è pratica comune in Campania – è stato proposto prima dell’omelia: la lettura ha potuto così adeguarsi alla rappresentazione, semplificando il testo e moderando la velocità quanto necessario. Il doppio ascolto, inoltre, ha sollecitato memoria e sensi in maniera complementare. «Un vangelo tradotto in carezze», lo ha definito poi monsignor Battaglia, don Mimmo per tutti.

Il mimo ha trasmesso, nella sua semplicità, una preparazione del gruppo coinvolto molto approfondita: gli atteggiamenti pienamente incarnati, i gesti solenni e gli oggetti scelti hanno consentito di meditare sul nostro pastore mentre riceve la vita dal padre, nel segno di un drappo rosso, che poi spende sulla croce, in piena volontà, per la salvezza delle sue pecore. Gesti come l’abbraccio con il padre, il farsi scudo del figlio e pastore per le pecore – contraddistinte da semplici copricapi e carta crespa bianca – hanno fatto emergere, in pienezza, la fragilità e la preziosità di ciascuno di noi. Una grazia per entrare ancora una volta nel mistero che contraddistingue la nostra umanità, voluta e amata dal padre.

Forse dovremmo imparare a chiedere di non applaudire al termine di ogni mimo? Il dubbio sorge, anche se sempre più frequentemente capita di sentir battiti di mani durante le celebrazioni. Ma la sua natura, mi sembra, è ben lontana da quella di essere uno spettacolo, una recita… Si medita il vangelo, entrando tra le pieghe della parola con tutto se stessi.

La gioia poi trova sempre i suoi tempi e modi per esplodere: scelto a chiudere quella celebrazione è stato il Canto della Comunità, tanto facile quanto contagioso e denso di significato. Tra rotolar di mani, inchini e richiami a sé, agli altri, all’amore e a Dio, prende vita quel solo corpo descritto da san Paolo: tutte le membra hanno saputo aver cura le une delle altre, nella gioia, ognuno secondo la propria parte in Cristo.

Questo articolo è tratto da
Ombre e Luci n.166

Copertina di Ombre e Luci n. 166 (2024)

La Parola prende vita ultima modifica: 2024-08-26T17:53:24+00:00 da Cristina Tersigni

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