Entrai a far parte di un gruppo scout Agesci a 8 anni. Una delle primissime cerimonie a cui partecipai fu la consegna del fazzolettone con i colori del mio gruppo: il capo fece due nodini alle estremità di questo importante simbolo, promemoria visivo delle buone azioni che avrei dovuto compiere quotidianamente per dimostrare di essere un bravo lupetto. Questo ricordo mi aiuta a sintetizzare un concetto fondamentale: non si può parlare di scoutismo senza parlare di servizio.
Uno scout, infatti, sa che il proprio compito è «fare del proprio meglio, essere sempre pronti a servire»: non a caso questa frase è l’insieme di tutti i motti delle tre “branche” (gruppi di fasce di età) esistenti nello scoutismo. Nella sua ultima lettera agli scout il fondatore del movimento Baden Powell riassunse così il tutto: «il vero modo di essere felici è di procurare felicità agli altri». Quindi, quando dopo 10 anni di scoutismo mi approcciai per la prima volta a Fede e Luce, mi sentivo adeguatamente preparato al servizio. La prima attività a cui ricordo di aver partecipato nella mia comunità fu una pizza serale fuori al ristorante. Non dovetti organizzare niente, mi venne semplicemente chiesto di andare a prendere un ragazzo a casa sua e riaccompagnarlo poi, niente di faticoso (anzi, avevo appena preso la patente, ogni occasione era buona per guidare). La serata si svolse piacevolmente e pigramente, tra chiacchiere e risate. Tornai a casa pensieroso, con molti dubbi che in poco tempo portarono a una realizzazione: tutto sommato non ero poi così preparato. Qualcosa sul servizio la dovevo ancora imparare.
La mia precedente esperienza di servizio era stata di aiuto ai capi dei lupetti: un anno a organizzare giochi, uscite e campi di varia lunghezza per 30 bambini urlanti. Un servizio intenso e faticoso ma con il vantaggio di avere sempre delle istruzioni chiare: pensa a questo, organizza quello, occupati di quest’altra cosa. Insomma, ero chiamato a fare. A Fede e Luce per tanto tempo non capii qual era la chiamata. Mi parlarono di amicizia, costruire legami e stare insieme ma poi ogni volta le casette mi lasciavano un vago senso di frustrazione: che avevamo fatto di utile quel giorno? Quando le avevo fatte le mie due buone azioni in quella manciata di ore che avevo spensieratamente passato a mangiare e cantare?
A 20 anni conclusi il mio percorso scout con la cerimonia della Partenza: questa è sostanzialmente la presa di consapevolezza del singolo di essere in grado di proseguire il proprio cammino nella società da soli, manifestando nella vita di tutti i giorni lo stile maturato tramite l’esperienza scout. Fu il momento in cui smisi di fare gli scout e cominciai ad essere scout. Nel corso di quella cerimonia presentai alla comunità alcune scelte significative della mia vita effettuate alla luce degli insegnamenti della legge e promessa scout. Come scelta di servizio indicai Fede e Luce, perché è grazie a questa esperienza che scoprii la cosa più importante del servizio: è più importante esserci per qualcuno piuttosto che fare qualcosa per lui.
Non so dire di preciso quando e come sia arrivata questa svolta per me (a 20 anni quando presi la Partenza la intuivo ma non la capivo e accettavo fino in fondo). Non so se sia stato merito di una casetta particolarmente sentita o qualche ora illuminante passata insieme a qualche ragazzo, di parole sagge di un genitore o di discussioni accese con qualche amico. So solo che nel corso degli ultimi 15 anni di pizze, casette e pellegrinaggi ho cominciato a fare sempre di meno e ad essere sempre di più: essere amico, essere al servizio, esserci tutto quanto più possibile. Ogni tanto mi capita ancora di sentire quella vaga frustrazione che viscidamente si insinua tra i miei pensieri e mi sussurra all’orecchio: «non fai abbastanza». In quei momenti mi fermo un attimo e guardo i presenti: facendo questo mi tranquillizzo e mi ricordo che se io ci sono e gli altri ci sono, il più è fatto.
Questo articolo è tratto da
Ombre e Luci n.166