Ricordo che un giorno dicevo a Bruno le parole di una canzone di Ligabue «L’amore conta, l’amore conta, conosci un altro modo per fregar la morte?». Lui sorridendomi rispose «ripetile, ripetile lentamente». Con amore e per amore Bruno ha vissuto le comunità di Fede e Luce. Un amore reso tangibile anche dalle parole di Andrea Cervo, una persona con disabilità della sua comunità: «Bruno caro, non ti vedo con gli occhi ma ti sento sempre nel mio cuore come sento mio padre. Ricordo tante cose belle vissute con te! Resti il “mio professore” e il “mio maestro” di vita. Non ti potrò mai dimenticare perché quello che mi hai insegnato e donato sta tutto dentro di me come in una cassaforte, come un tesoro da custodire».
«Papà arrivò a Fede e Luce nell’inverno 1987-1988», ricorda la figlia Marina. «Da poco era morta sua madre, stravolgendo la vita sua e quella dei suoi due fratelli, di tutta la nostra famiglia. Venne a sapere che al Seminario di Villa San Luigi, periodicamente, si incontravano famiglie con persone disabili (era la comunità Roveto Ardente) con il buon padre Enrico Cattaneo. Cominciò così una nuova vita. Fede e Luce è stata un’ancora di salvezza in un momento difficilissimo e doloroso. E come ha fatto sempre per ogni cosa in cui credeva ed a cui teneva, papà si è dedicato a Fede e Luce appieno (salvo il periodo di declino della vita dei due fratelli) perché, diceva, aveva avuto un Vero Dono e che doveva ricambiare».
Prima di molti di noi, Bruno era capace di capire quali esigenze nascevano in comunità: il bisogno di aprirsi al mondo esterno, il confronto, i giovani, la loro formazione, gli incontri con le scuole, la necessità di essere visibili fuori e dentro la Chiesa. Tutto questo lo ha detto talvolta con forza, altre volte con infinita dolcezza; ha dato consigli ma li ha anche accolti, ascoltando tutti.
«Papà – continua Marina – non aveva un carattere semplice e non era sempre facile avere a che fare con lui, a volte era proprio impossibile! Diceva sempre che fare le cose tanto per farle, non serviva a niente. Questo, unito al suo lato artistico, esuberante e perfezionista, alla sua preparazione di docente e formatore, alla sua radicata e solida fede, gli ha permesso di fare a Fede e Luce, con Fede e Luce e per Fede e Luce tante cose belle».
Spesso l’ho visto tornare sui suoi passi, ragionando e scegliendo quello che era meglio per la comunità. L’ho visto commuoversi, pregare, sentirsi inadeguato e fragile dinanzi alle sfide che le comunità gli presentavano ma l’ho visto anche ridere, ballare, fare festa.
«Le esperienze della vita – scrive ancora la figlia – lo avevano reso capace di un’attenzione speciale nei confronti degli altri: con gesti anche piccoli, come il messaggio quotidiano di un frammento dalla Parola del giorno, faceva capire che c’era e ti aveva pensato».
Il suo è stato un amore appassionato. Gli sono grato per aver mostrato a tutti noi che sulla barca ci sali così come sei e navighi al di là delle tue paure e dei tuoi limiti, amando chi ti sta vicino. E, scrive Marina, «non ha mai obbligato noi figlie a frequentare la comunità ma ce l’ha sempre proposto come una cosa naturale perché aveva capito il vero carisma di Fede e Luce: un modo di vivere, di vivere cristianamente, dedicandosi agli altri nella consapevolezza ed accettazione delle debolezze ed imperfezioni non solo dei ragazzi, ma anche dei genitori, degli amici e di noi stessi».
C’è una lettera di Bruno a me molto cara il cui filo conduttore è sempre l’amore: l’amore per gli amici fuori e dentro Fede e Luce, per la sua bellissima famiglia. Mi raccontava di sentirsi grato a Dio per la vita vissuta: «Non so se ci sarà tempo per passeggiare insieme, per confrontarsi. Forse, se arriveremo in cielo, lì avremo uno spazio e un tempo per godere della nostra amicizia. Abbi cura di te e della tua parte più bella». Grazie Bruno, per esserti preso cura di me.