Ormai da poco più di undici anni, in questa casa siamo rimasti solo noi tre. Dopo la morte della mamma tutto è più vuoto, non solo perché lei non c’è, ma anche perché non c’è più nessuno che viene a prendere un caffè e fare una chiacchierata. Mia mamma, una donna molto aperta, vivace, allegra, di compagnia non perdeva occasione per dire agli altri: «vieni a bere un caffè, vieni a trovarmi!». E c’era un piccolo gruppo di persone che veniva, e se passava troppo tempo, si attaccava al telefono e chiamava il mondo.
Lei non c’è più, e io posso contare sulle dita di una mano le persone che vengono a trovarmi o, meglio ancora, a trovarci e stare un po’ di tempo con noi.
«Vieni a bere un caffè?». La caffettiera è fredda e il gusto del berlo in compagnia, seduta, non c’è più. Giorgio e Cristina non bevono il caffè; sì, parlo con loro e dico “facciamo un caffè”, ma in realtà è solo per me; a volte in questi ultimi anni, quando Giorgio è molto assopito nel pomeriggio, gli do il caffè per la PEG con la speranza che si svegli un po’!
Piuttosto mi capita di ricevere degli inviti ad andare a mangiare da un paio di coppie, oppure una pizza, mentre è molto più raro che qualcuno ci pensi e venga a casa nostra con la pizza per consumarla insieme, anche se ho detto a costoro più volte che vengano loro, così ci si può trovare prima e io posso stare anche più tranquilla per il fatto che i fratelli sono con me, e non da soli. Anche questo era molto più frequente ai tempi della mamma, ma non solo la pizza, pranzi o cene, perché lei aveva la passione di cucinare.
A me manca questo bere un caffè in compagnia, mangiare qualcosa qui a casa; manca il sentire che qualcuno venga a trovarci per stare un po’ con noi tre; manca una chiamata che dica: «siete a casa? Tra poco arrivo con la pizza!». Ho condiviso poco tempo fa con una amica questo pensiero: »sì, se ricevo degli inviti, sono sempre io che devo andare dagli altri e non viceversa, e così per non rifiutare l’invito esco, dopo aver fatto ogni cosa, aver messo a letto Giorgio e Cristina, e chiuso tutto. Ma non sono contenta!»
Questa amica mi ha detto di guardare il positivo della cosa, il fatto che io sono stata invitata e ho la possibilità di uscire (come se io aspettassi solo queste occasioni per uscire). Sono d’accordo, sì e anche no, perché ciò che desidero di più è che gli altri vengano e stiano con noi e non con me. E nel momento in cui vengono accettano me, e in qualche modo accettano anche Giorgio e Cristina; accettano e condividono. Io sento la solitudine perché gli amici di un tempo, con i quali abbiamo condiviso molto, non ci sono più, anche se abitano ancora nello stesso paese; neppure telefonicamente. Anche quelle persone amiche della mamma raramente si fanno sentire, eppure se c’era lei c’ero anch’io, dove andava lei andavo anch’io perché ero io a portarla. Anche se è una immagine sbagliata, la sua morte ha portato via tutte le relazioni.
Per Giorgio e Cristina, per me, per noi, ci sono sempre quei pochi che si possono contare nelle dita della mano. E così quasi tutte le sere alle 21 circa siamo tutti e tre a letto, perché già ci siamo detti tutto tra noi (loro non parlano). Giorgio, che dei due era quello più attivo, ora con il passare del tempo prende sonno presto e comincia a russare in carrozzina. Io stanca della giornata, dei pensieri, delle preoccupazioni mi fermo, leggo, scrivo, prego.
So che non faccio una scoperta o dico una cosa nuova… purtroppo, il mondo della disabilità ha in se stesso tanta solitudine, isolamento sociale perché i ritmi di gestione che ci sono in famiglia non sono paragonabili alla società. Io oggi a 60 anni, da sola con due persone da curare, mi sento fuori completamente. «Vieni a bere un caffè?» che può anche significare «vieni a vederci, a sentire come stiamo!», «vieni, stiamo in compagnia».
E voi preferite essere invitati a bere un caffè o sapere che arriva qualcuno a prenderlo da voi?
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