Tutto sgorga dall’amore
San Giovanni dice: Dio è amore. Non dice: Dio ama o Dio è misericordioso; va oltre, dice Dio è Amore, dunque Dio è misericordia. Tutto sgorga dalla misericordia che è Dio, là dove è Dio, c’è amore: Ubi caritas et amor Deus ibi est. Possiamo osannare la bontà di Dio nella creazione, questa meravigliosa unità che collega tutto. E all’apice della creazione, la parte più bella, ci sono l’uomo e la donna. Ognuno con un cuore, un’intelligenza, desiderosi di andare oltre i confini della corporeità, verso qualcosa di più grande, di meraviglioso, direi di infinito. Questo cuore, questa intelligenza dell’essere umano sono state fatte per vivere la vita stessa di Dio, per essere in relazione con Lui e diventare suoi amici. La misericordia si riconosce nel vivere la felicità e la creatività di Dio. Tuttavia questo amore, questa amicizia con Dio devono essere reciproci. La felicità e l’amore di Dio non sono imposti. L’amore implica una libertà, una scelta. Dio che è Amore, per bontà, ci propone il dono della vita, ce l’offre, ci invita a vivere questa amicizia.
Dio ha talmente amato il mondo che ci ha mandato il suo figlio amatissimo per essere il Suo volto e mostrarci il cammino verso l’accoglienza e l’amore. Gesù è il dono della misericordia del Padre, viene per rivelare, questo amore. Per attirarci verso di Lui verso suo Padre e vivere così la vera felicità. Il volto dell’essere umano è stato sfigurato dalla violenza degli uomini e delle donne, dal loro egoismo, dal loro desiderio di potere e dal loro desiderio di essere Dio. L’essere umano certe volte non ha l’umiltà di accettare che tutto viene da Dio, tutto viene dalla misericordia. La gente, a poco a poco, ha tagliato fuori Dio ma Gesù è sempre lì con il suo cuore pieno di amore e per amore ci chiama, attira gli amici, dà loro lo Spirito Santo affinché divengano sempre più come Lui perché essi stessi a loro volta rivelino, che Dio è amore, è bontà, compassione, misericordia.
Ma oggi rifiutiamo Gesù, molte persone cercano la felicità in loro stessi, nel potere e nel possesso, hanno chiuso il loro cuore all’amore.
Diventare come bambini
L’uomo e la donna, all’apice della creazione, sono invitati da Dio a vivere la beatitudine stessa di Dio, a vivere con Dio e in Dio. Accettare questa beatitudine implica una scelta per l’essere umano: accettare il dono di Dio come un bambino o, al contrario, mostrare la propria forza, le proprie capacità a realizzarsi da soli. È una vera lotta, una vera tentazione. Ma malgrado questo desiderio dell’adulto, Dio ha voluto lasciare la propria immagine nel cuore dell’umanità, nel volto dei bambini di tutte le religioni e di tutte le culture. Attraverso lo sguardo, la risata, la purezza e l’innocenza, ogni bambino è come un segno della presenza di Dio. Accanto al male che incita l’uomo a provare la sua superiorità, c’è lo sguardo del bambino, la tenerezza del bambino, raffigurato nella relazione di tenerezza che lo unisce alla sua mamma, una relazione fatta di gioia e di amore. Questa relazione è come un canto: ti voglio bene così come sei.
C’è sempre anche nel cuore dell’uomo contaminato dal male, un filo di bontà per i deboli che può portare verso un cammino di guarigione quando cerca di fare del bene agli affamati, ai poveri, ai carcerati, alle persone con handicap. Sì, c’è qualcosa di buono nascosto nel cuore dell’uomo. Se segue questa sua inclinazione a cercare di soccorrere, secondo la sua possibilità, i poveri e deboli, a sollevare un’anziana donna caduta per la strada o ad accogliere dei rifugiati, è l’inizio di un cammino verso Dio. Dio ci invita tutti ad andare oltre per incontrare coloro che sono in difficoltà o nella sofferenza, a guardarli con tenerezza ed entrare in relazione con essi.
La bontà spontanea in fondo al cuore umano, così fragile, diventa progressivamente, per grazia, un gesto di misericordia e di compassione ispirato da Dio. “Tutto ciò che farete ai più piccoli dei miei, l’avrete fatto a me, disse Gesù. (Mt. 25)
La misericordia, un incontro
Gesù è venuto per darci la vita liberandoci dal peccato che fa ripiegare su sé stessi. Intende riunire insieme tutti i figli di Dio dispersi. Amate i vostri nemici, fate del bene a tutti quelli che vi odiano. Vuole farci scoprire che ogni persona nella sua differenza è un fratello o una sorella nella grande famiglia umana. Ognuno è un figlio di Dio.
Nel Vangelo di Luca, Gesù risponde ad una domanda in merito, chi è il mio prossimo?, raccontando una emozionante parabola. Un Samaritano, lungo la strada tra Gerusalemme e Gerico, si imbatte in un Giudeo steso a terra sanguinante, malmenato dai banditi che lo avevano derubato di tutti i suoi beni. Il Samaritano si ferma, lo medica con cura e tenerezza e poi lo accompagna in un albergo. Andando via, il mattino dopo lascia del denaro all’albergatore per provvedere ad altre spese necessarie per il Giudeo.
Gesù ci fa vedere che il prossimo non è semplicemente quello che fa parte del mio gruppo o dei miei vicini di casa, ma è un fratello o una sorella nell’umanità, qualunque siano le differenze di cultura, di religione o delle proprie capacità o incapacità.
I giudei disprezzavano i samaritani, discendenti di un popolo lontano dai giudei, avevano una religione differente. In questa storia, Gesù mostra che il Samaritano vede nel Giudeo un vero fratello. Il muro del disprezzo cade, e scopre come il Samaritano sia un uomo buono. Adesso accetta e apprezza i Samaritani. Sono degli esseri umani, ma amare un nemico non è facile.
La misericordia verso colui che è a terra, non è inizialmente per dargli qualcosa e nemmeno per curarlo. È per rivelargli che è una persona preziosa, un figlio di Dio, un fratello, una sorella nella famiglia umana. È un incontro, un momento di comunione in cui il cuore di ognuno dei due è trasformato. La misericordia implica un rischio sul piano umano. Dove mi porterà questo incontro? Sarà lo Spirito Santo a mostrarlo. Colui che riceve la misericordia dà anche qualcosa di divino e di umano a colui che fa misericordia. Apre il cuore verso una dimensione nuova, lo apre a Dio.
Jean Vanier, 2016
Estratto da O&L n.210-211-212/2016
Questo articolo è tratto da
Ombre e Luci n.135