Viola si stupisce: del concerto dell’orchestra Sinamune, ha trovato traccia solo sull’Osservatore. Eppure in televisione ha seguito con attenzione il lungo viaggio del Papa in Sud America, una sorta di viaggio a casa per quest’uomo che, venuto a Roma per una “riunione”, non è più tornato nella sua città. Quando ci pensa, a Viola vengono i brividi. Per questo la bambina ha deciso di seguire il viaggio tappa dopo tappa sulla cartina geografica che le ha regalato la mamma: voleva vedere se la gioia di sentirsi di nuovo tra la sua gente, nella sua lingua, trasparisse dal volto di Papa Francesco.
È la sera di martedì 7 luglio – racconta il quotidiano – quando a Quito, capitale dell’Equador, nella chiesa di San Francisco (parte dell’ammirevole insieme architettonico chiamato Escorial de los Andes, frutto del sudore di tanti lavoratori che innalzarono qui l’edificio religioso più antico dell’America latina), Francesco ha ascoltato il concerto eseguito da un gruppo formato da giovani musicisti con la sindrome di Down.
Ci sono esperimenti diversi nel mondo che partono dall’idea che la musica sia uno strumento fondamentale per lo sviluppo intellettuale e umano. E il progetto realizzato in Ecuador – ormai da venti anni – sembra particolarmente riuscito: l’orchestra Sinamune, che suona in tutto il Paese e anche all’estero, ha una impronta caratteristica, emozionante e informale, nei modi e nello stile musicale. L’idea fondante dell’orchestra, infatti, è quella di procedere senza rigidità, superando le barriere culturali prima ancora delle difficoltà dovute alla sindrome di Down o alla cecità. Si suona, si fa musica insieme e si fa bene. Ma se si vuole ridere si ride e se qualche passaggio non raggiunge la perfezione si va avanti lo stesso. L’importante è sperimentare, prima, e trasmettere, poi, le emozioni che la musica suscita.
Nel tempo il repertorio si è arricchito di melodie ecuadoriane, come la Farrita quiteña o La morista, Ángel de luz o Ñuca llacta o Culla quiteño.
Ma senza rinunciare a brani classici, come le Rapsodie ungheresi di Brahms. La guida, ferma e sicura, è quella di un musicista collaudato: Edgar Palacios, classe 1940, compositore e direttore nato in Ecuador che ha scritto più di 150 canzoni, molte delle quali a sfondo sociale. Un’attività intensissima che lo ha portato a incidere più di 40 album e a dirigere oltre di 2000 concerti. Anche per questo nel 2006 gli è stato assegnato il Premio Eugenio Espejo per il suo contributo al patrimonio culturale dell’Ecuador.
“Il lavoro è tanto – conclude l’Osservatore – e l’obiettivo è chiaro: creare un gruppo che lavori su un progetto specifico con un’aspirazione universale. Riconoscere il talento, ovunque si trovi”.
Giulia Galeotti, 2015
Questo articolo è tratto da
Ombre e Luci n.130