Diverse volte nelle parrocchie in quegli anni ero stato “consigliato” di non disturbare le funzioni pertanto non capivo ancora lo spirito di Fede e Luce. Ricordo che Mariangela mi si avvicinò insieme a due mamme e cominciò con molta discrezione ad interessarsi di Elena e a coinvolgere piano piano anche me.
Sì perché, come fratello, non vivevo bene la mia situazione,non accettavo l’handicap di Elena. Prima di tutto aiutò mia madre a trovare una scuola per Elena. Poi partecipai ad uno dei primi Campi Fede e Luce ad Alfedena, ai katimavik con Jean Vanier, ai pellerinaggi a Lourdes e in rappresentanza dell’Italia a Czestochowa. Ma, probabilmente, portandomi a visitare le prime case-famiglia magari con la scusa di un servizio fotografico, mi stava preparando alla difficile decisione di trovare un futuro dignitoso per Elena.
E credo che questo sia il regalo più bello ricevuto da Mariangela: di avermi preparato con grande pazienza e delicatezza, consigliandomi e sanando le mie ferite, e, non da poco, facendomi riavvicinare alla Chiesa. Fino al giorno in cui mi disse: c’è una signora che intende mettere in piedi una casa-famiglia, vedi un po’ quello che puoi fare! A Mariangela non si riusciva a dire di no, anche quando pochi avrebbero scommesso sulla fattibilità di ciò che proponeva. Adesso dico: ringrazio Dio!
Paolo Nardini, 2014
È vero: la sofferenza ci divide dagli altri, ce ne allontana in modo quasi naturale. Più si è colpiti, più si tende a raggomitolarsi, a stringersi in se stessi, a chiudersi e a chiudere porte e finestre, convinti che la solitudine sia quello che ci vuole per sopportare meglio un peso che schiaccia o che travolge.
Ma nel caso di un figlio con handicap, non finiamo spesso per allontanare lui dagli altri che vorremmo invece vicini, partecipi, solidali?
Il soffrire da soli non serve a nessuno, è atteggiamento sterile. Il “farsi prossimo”, di cui tanto si parla, esige da ambedue le parti ci sia volontà di comunicare, per portare insieme quello che sembra un peso insopportabile e che può, proprio perchè condiviso, trasformarsi per lo meno in peso più leggero.
Non è forse questo l’insegnamento più imporante che ogni anno ci ripropone la Luce di Betlemme? M.B.
Questo articolo è tratto da
Ombre e Luci n.128