Talvolta vedendo giovani ridere in gruppo per la strada, presi dai nostri pensieri e dalle nostre preoccupazioni ci troviamo a pensare: ma che avranno da ridere?!
Più recentemente però il riso sta diventando molto popolare e sono sempre di più le trasmissioni radiofoniche e televisive con nuovi comici e cabarettisti… Ma anche studi “seri” dicono che ridere fa bene, fa bene all’umore ma anche alla salute fisica fino ad alleviare letteralmente il dolore fisico! Allora se ridere fa bene si riesce a farlo anche nelle difficoltà? Anche nella sofferenza? È possibile riuscire a ridere anche di noi stessi o delle persone a noi care? Veramente ridere ci può aiutare a sopportare meglio le prove che la vita ci mette davanti?
Donata Francescato nel suo libro “Ridere è una cosa seria”, scrive che nel sorriso è insito un messaggio verbale che implica la disponibilità di chi sorride ad instaurare un rapporto amichevole, paritario. Il sorriso è una comunicazione non verbale molto forte che attende un sorriso di risposta. Diversi studiosi affermano inoltre che l’umorismo e il sorriso sono i modi migliori per entrare in relazione con persone che non conosciamo, aiutano infatti a creare un clima più disteso e un senso di unione.
Anche l’autoironia ha una funzione sociale, infatti chi ammette i propri limiti o i propri problemi, riduce l’aggressività negli altri, guadagnandone anche maggiore stima e il desiderio di venirsi incontro; scherzare insieme talvolta aiuta a sentirsi uguali.
Ridere è come prendersi una breve vacanza rispetto alla vita, ma solo entro certi limiti possiamo scherzare sulle incongruenze insite nella vita stessa dell’uomo.
Come fare dell’ironia o dell’umorismo di fronte alle difficoltà, senza varcare il limite, senza mancare di rispetto? L’umorismo aiuta la relazione, rafforza i legami tra le persone, quando chi scherza ha un intento amichevole, quando si prende in giro un comportamento, ma non si tende a squalificare l’altro e può anche aiutare a superare insieme una situazione problematica. Se invece chi ironizza non si preoccupa dell’effetto che può avere sull’altro, anzi tende con il suo “scherzo” a screditarlo allora l’umorismo diventa dannoso, confonde e ritarda la comunicazione.
In sintesi si può affermare che si può sorridere, ridere o scherzare con l’altro, ma non dell’altro.
Su questo argomento vi proponiamo le esperienze di una mamma con un figlio con handicap, di un clown che coniuga comicità ed esperienza cristiana e nel riquadro verde a seguire, una moderna forma di terapia basata sulla risata.
Rita Massi, 2014
Questo articolo è tratto da
Ombre e Luci n.127