Per i 30 anni di Ombre e Luci e in occasione dell’Anno della Fede dedichiamo questo numero al tema dell’accoglienza delle persone disabili nelle nostre parrocchie.
Nel 1971 a Lourdes, dove si trovavano insieme per la prima volta ragazzi con handicap mentale, i loro genitori e amici, future comunità di Fede e Luce, Jean Vanier rispondeva così alla loro domanda su come dare un senso a quell’esperienza: “continuare fino a che ogni persona con handicap non avrà incontrato una comunità dove -senza essere specialisti ma semplicemente cristiani – si impari a scoprire e a vivere insieme la straordinaria Buona Novella di Gesù”.
Dopo quarant’anni queste parole continuano a sollecitarci, insieme a quelle più recenti del Cardinale Vallini che esorta, in quest’Anno della Fede, a rinnovare e rendere straordinaria la nostra fede e la nostra vita cristiana soprattutto nella dimensione dell’ordinario.
Ne abbiamo parlato con Monsignor Andrea Lonardo, responsabile dell’Ufficio Catechistico del Vicariato di Roma, consapevoli che la sua esperienza è riferita alla realtà romana, non generalizzabile ma significativa per l’ampiezza e la peculiarità del suo territorio. Nello svolgimento del suo incarico, ha guidato l’avvio di un percorso per offrire alle parrocchie l’opportunità di scambiare esperienze e riflessioni su questo argomento.
Con lui riflettiamo su quanto oggi si fa per l’accoglienza dei disabili “nell’ordinario” di una parrocchia: la Messa domenicale e la catechesi per i sacramenti dell’iniziazione cristiana.
“Per un cristiano la partecipazione all’Eucaristia dovrebbe rappresentare il più potente ed efficace mezzo di conoscenza di Gesù. È il punto di partenza per tutto il resto. Quando avviene all’interno di una messa domenicale comunitaria, da tutti condivisa, declina al meglio il suo valore di incontro, condivisione e scambio. In un contesto come questo, la presenza costante della persona disabile, con le sue difficoltà, particolarità e pregi, riesce a superare ostacoli come il suo possibile disturbo per gli altri (questa, purtroppo, è una delle argomentazioni più frequenti e non solo per alcuni portatori di handicap: pensiamo ai bambini, vivaci e rumorosi a volte, anche durante le messe loro dedicate…) ma se facciamo mancar loro l’esperienza e la bellezza del “rito” nel suo valore formativo e non puramente formale togliamo loro un’occasione d’esperienza vera che vale più di tante parole.
È necessario che questo incontro non sia sporadico ma divenga un’abitudine. La persona disabile sarà allora riconosciuta, accolta e lei stessa riconoscerà le persone vicine e sentirà di appartenere a quella comunità”. Non possiamo nascondere l’importanza della parrocchia di appartenenza per chiunque voglia compiere un cammino cristiano di conoscenza di Gesù e la possibilità di trovare in essa un luogo accogliente. “Attualmente è davvero inconsueto che qualcuno lasci fuori una famiglia che chieda per il proprio figlio disabile un cammino di catechesi. Ma appare più difficile che qualcuno provi a cercare altre famiglie nella stessa situazione”. Probabilmente noi stessi non ci accorgiamo dell’assenza di molti disabili durante le funzioni domenicali (e non possiamo non estendere il pensiero anche ai portatori di solo handicap fisico).
“In questa direzione lavora un gruppo di persone, laici e consacrati che hanno a cuore la questione come ad esempio suor Veronica che si occupa di organizzare Messe con un traduttore nel linguaggio LIS in alcune parrocchie romane; don Andrea Carlevale che ha promosso un corso di formazione per i seminaristi per l’apprendimento del LIS. Due parroci romani che, con discrezione, si preoccupano di avvicinare famiglie che vivono questa difficoltà. Ed alcuni laici che hanno a cuore la possibilità di realizzare una formazione per quei catechisti che vogliano seguire chiunque chieda la preparazione per i sacramenti nella propria parrocchia. Esiste inoltre una realtà sommersa che sarebbe bene scoprire e condividere.”
Siamo infatti certi che in molte parrocchie italiane l’ostacolo è stato superato e le persone disabili trovano il loro spazio di crescita. Sappiamo anche che molti gruppi, associazioni o catechisti hanno già intrapreso e documentato singoli percorsi di catechesi speciale e inclusiva, reperibili attraverso il lavoro importante dell’Ufficio Catechistico Nazionale Settore Disabili, che promuove anche convegni e giornate di studio su questo argomento.
La sfida urgente ai nostri occhi è quella di risvegliare l’attenzione in tante altre comunità parrocchiali sulla mancanza in chiesa di molte persone e famiglie che vivono questa difficoltà e cercarli affinché non rimangano soli. Gruppi ristretti o piccole comunità, a volte inserite nelle parrocchie, che hanno il loro cuore nella persona con disabilità, sono molto importanti per la creazione di legami profondi e per mediare alcune difficoltà: la persona con handicap ha bisogno di essere ben conosciuta nei suoi bisogni e nelle sue modalità comunicative. Ma ciò non toglie che sia poi la comunità intera a poter (dover?) partecipare e beneficiare della presenza di tutti i suoi membri.
Il cammino non è scontato né facile ma dobbiamo intraprenderlo se vogliamo che, come dice Jean Vanier, la Chiesa riveli il suo volto profetico, il volto di Gesù.
a cura di Rita Massi e Cristina Tersigni, 2013
Questo articolo è tratto da
Ombre e Luci n.121