Solo con il cuore si comprende e si accompagna bene qualcuno. Mio nipote a causa del suo handicap è rigido e poco capace di adattarsi agli altri. Tuttavia questa rigidità non gli ha impedito di sentire ciò di cui aveva bisogno una signora che conosceva che era malata e sola all’ospedale. A causa del suo stato di salute a questa donna erano state vietate tutte le visite. Una volta dimessa dall’ospedale, ha raccontato che mio nipote era entrato nella sua camera, si era seduto vicino a lei e le aveva detto: “Non avere paura, io sono qui.” Ed è rimasto così per ore, senza spostarsi. “Mi sono sentita al sicuro” – ha riferito questa donna molto ansiosa- “nessun altro aveva fatto questo per me”.
Essere presenti non è dettato dall’emozione, ma dal desiderio di voler essere vicino all’altro in modo che egli possa sentirsi importante solo perché è lui e per nessun’altra ragione.
Questo”lui” unico può contare solo se è una parte della nostra vita, se ci prendiamo cura di lui come carne della nostra carne.
Ama il prossimo tuo come te stesso
Come accompagnare l’altro? Imparando a voler bene a noi stessi, altrimenti l’altro ci apparirà sempre, come qualcuno che ci ruba un po’ della nostra vita, al quale dobbiamo sacrificarci. Scegliere tra l’altro e se stessi è impossibile perché siamo entrambi importanti.
Volersi bene è avere nei nostri confronti una tenera compassione, non giudicarsi su quanto mostriamo di noi, desiderare ciò che fa vivere, credere in questo mistero di bontà e di bellezza che abbiamo in fondo a noi. Se imparo, piano piano, a volermi bene, il mio orizzonte non smetterà di ampliarsi e “ogni altro” diventerà parte di me. Amarsi con le proprie debolezze, amare l’altro con le sue debolezze, diventeranno un tutt’uno.
Quando si tratta di fragilità, quale priorità dare tra ciò che ci piace di più e ciò che ci piace di meno? Ci piace ciò che si accetta, non ciò a cui ci si rassegna. Non si può negare l’handicap; c’è e può essere estenuante, tuttavia non è ciò che definisce la persona che non può essere identificata con il suo handicap, ma che nasconde sempre un mistero. Emmanuel Mounier
Cerchiamo di sentire il bisogno di stare insieme
L’altro, malato o handicappato, ha bisogno di noi per necessità e nello stesso tempo per il piacere di stare insieme. È spesso l’isolamento a rendere la sofferenza portatrice di morte. Stare insieme cambia tutto. Non basta che l’altro conti per noi. Ho avuto modo di verificarlo stando vicino ad una vecchia zia in fin di vita: era importante per me, ma non le volevo così bene da avere bisogno di lei.
Qualunque essere umano ha qualcosa da dare… se stesso, prima di ogni altra cosa. Si può essere respinti nella solitudine e morire perché non si ha nessuno che accolga il dono del proprio essere.
Le persone malate o disabili hanno talmente l’impressione di non servire a niente che debbono sentire che siamo poveri perché possano farci dono, a volte anche senza saperlo, di ciò che desiderano ardentemente offrirci.
Ma noi abbiamo veramente fiducia nell’altro, specialmente quando l’immagine che ci offre di sé non è quella della forza? Se sì, allora non
cercheremo più il suo bene in ciò che noi riteniamo essere il suo bene, ma piuttosto in ciò di cui egli ha bisogno.
Che cosa vogliamo?
La scelta che ci viene continuamente proposta è quella tra le forze della vita e quelle della morte. Non possiamo arrivare a tutto, ma abbiamo la possibilità di scegliere la vita. Scegliere la vita, “è andare dove non si sa, per una strada che non si conosce”. Scegliere la vita, è stare insieme. Il “noi” che formiamo insieme, con tutte le nostre miserie e le nostre ricchezze riunite, è fonte di vita rinnovata, a tempo indefinito.
Nicolle Carré , 2012
Ombres et Lumére n. 185
(1) Filosofo, 1905 – 1950. Fondatore della rivista “Esprit” nel 1932, avviò il movimento del personalismo comunitario.
Questo articolo è tratto da
Ombre e Luci n.119