Lo attaccai al seno, succhiava forte ma non deglutiva, me ne accorsi dopo qualche giorno pesandolo.
Iniziammo così i vari pellegrinaggi negli ospedali. Nel primo, restammo per ben sei mesi a causa dell’alimentazione. Veniva nutrito tramite sondino naso gastrico, con il mio latte. All’epoca potevano restare in ospedale solo le mamme che allattavano.
Gli vennero fatte svariate analisi, per capire il perché della corta statura, la stentata crescita, il non dormire per le apnee, la lingua grossa. Le storie di quei mesi di ricovero sono tante e angoscianti. L’ospedale rappresentava però sicurezza, il ritorno a casa preoccupazione e insicurezza.
Imparai a farlo mangiare con la sonda (all’epoca si metteva a ogni pasto) e questo durò per ben 18 mesi. Alla fine decidemmo io e mio marito di lasciargli mangiare quel che voleva: solo un poco di sostanze nella notte, durante il dormiveglia (da sveglio non si alimentava).
Non smettemmo mai di girare per centri di ricerca all’epoca in voga, senza venire mai a capo di nulla.
L’inserimento nell’asilo e nelle scuole dell’obbligo fu traumatico. All’epoca i ragazzi con handicap andavano in scuole apposite. Alessandro però non lo voleva nessuno, non riusciva a camminare ed a mangiare da solo, ma parlava e capiva. Le scuole per handicappati dicevano che sarebbe stato meglio in scuole normali; le scuole normali non lo volevano perché camminava con deambulatore.
Furono quelli gli anni (1970-76) in cui si combatteva per inserire gli handicappati nella scuola dell’obbligo e lui fu uno dei primi, se non il primo a Roma. Riuscì presto a mangiare e a camminare da solo. Anche se, indietro con l’apprendimento, cercò di farsi ben volere grazie alla sua simpatica ironia e minuta statura.
Gli furono fatte nel frattempo varie operazioni ai piedi. Le anche sublussate si riuscì a rimetterle a posto con il divaricatore di Putty. Gli venne riscontrata una lieve cardiomiopatia.
Passarono gli anni delle elementari e delle medie senza profitto tranne il modo di socializzare con grandi e piccini.
Terminate le scuole dell’obbligo fu mandato ad un centro fisioterapico. Durò solo due anni perché l’istituto avendo avuta una grossa eredità pensò bene di farne un centro informatico per ragazzi. Alessandro non essendo in grado di usare un computer fu sbattuto fuori.
A quel punto, avendo oramai 19 anni, non ci restò che provare a sentire i vari centri per invalidi gestiti da enti pubblici e privati.
Sia io che mio marito lavoravamo ed almeno la mattina Alessandro aveva bisogno di restare con ragazzi o con persone che lo aiutassero a passare un poco di tempo.
La nonna (mia madre) era morta, mio padre avendo avuto un ictus cerebrale era venuto ad abitare con noi. Trovammo con gran rammarico solo un posto al Don Guanella, dove vi erano solo persone adulte con gravi handicap. Anche se era solo per poche ore la mattina Sandrino incominciò a divenire più irritabile. Quando verso le 14,30 lo andavamo a prendere, lo trovavamo sempre in piedi pronto per venire via.
Quell’estate andò al mare, in un centro ricreativo, insieme a tanti ragazzi. Era felicissimo di ritrovarsi insieme ad amici. Una sera, dopo cena, venne ricoverato al pronto soccorso di Civitavecchia. Chiamati dall’assistente di Alessandro ci precipitammo in ospedale. Lo trovammo in coma, sia io che mio marito capimmo che la situazione era grave, aveva avuto un collasso.
Avrebbero voluto fargli una TAC cerebrale ma in quel pronto soccorso non sarebbe stato possibile. Immediatamente decidemmo di portarlo al Gemelli di Roma, nonostante il medico del pronto soccorso ci dicesse: “lasciatelo dormire oramai…”. Cercammo un’ambulanza privata e corremmo via.
Fattagli la TAC, al Gemelli si resero conto che Alessandro aveva il liquido al cervello (siringomielia). Anche se in coma, venne operato.
Gli misero una derivazione ed in più gli fu fatta una tracheotomia per via della cattiva respirazione. Rimanemmo in ospedale cinque lunghi mesi, aveva tanta voglia di vivere nonostante le molteplici traversie: sospettato di AIDS si trattava invece di setticemia vasodilatatoria, cardiomiopatia ipertrofica, costole rotte dovute alle diverse rianimazioni manuali. Il tutto senza riuscire a sapere di che sindrome si trattasse, nonostante le frequenti visite mediche.
Finalmente arrivò anche il giorno del ritorno a casa, eravamo tutti sfiniti perché dovevamo vigilare, curare e accudire, ma anche lavorare.
Riprovammo a mettere Alessandro al Don Guanella ma fu inutile, con la tracheotomia non venne accettato. Facemmo il giro di altri istituti per handicappati gravi, tutto fu inutile. Sandro restò a casa con il vecchio nonno anche lui con handicap e una serie più disparata di ragazzi del servizio civile. Fu un vero disastro, Alessandro era abituato a socializzare con molte persone, ci chiedevamo a cosa fosse servito renderlo così socievole quando poi lo dovevamo tenere solo a casa con un vecchio nonno handicappato.
La sera naturalmente appena si poteva si portava con noi, a cantare in un coro di musica polifonica, a fare la spesa, a cena con amici, appena mi vedeva arrivare mi diceva:” via…andiamo”. Non sapeva nemmeno dove, l’importante era andare.
Dopo due anni il continuo martellamento ai medici con dati, foto, analisi, ecc. al Gemelli mi venne fatta vedere la foto di una bambina descritta dal prof. Costello. Scoprimmo che era simile a Sandrino. Pubblicato un articolo, in poco tempo, da tutto il mondo incominciammo ad avere notizie di bambini simili. Così nacque la Sindrome di Costello. La speranza fu tanta, ma vana. Gli venivano fatti molti prelievi, di pelle, di ossa, di midollo. Il cuore cominciò ad aggravarsi, a non camminare, stava oramai in carrozzina. Camminava per casa con il deambulatore, come il nonno. Dopo varie polmoniti a causa di una grave infezione morì. Aveva 33 anni, era il 2001.
Se il giorno della nascita fu il più bello, anche se con una stretta al cuore, quello della morte inspiegabilmente non fu un giorno triste. Alessandro non soffriva più, non doveva più essere aspirato, guardato con pena e ribrezzo per via della tracheotomia. Dal giorno della nascita solo una sensazione non mi ha più abbandonato: la rabbia.
Nel 2005 venimmo a sapere che questa sindrome era stata causata da una mutazione de novo del gene HRAS a causa di un accumulo di una proteina, la tirosina.
Sono passati 10 anni ed insieme ad altre mamme nel 2006 fondammo l’Associazione Italiana Sindromi Costello e CFC che, comprende mutazioni denominate RASopathie, dalla cascata genetica RAS. Attualmente ne sono la presidente, questo mi permette di aiutare i genitori che si trovano a combattere con le problematiche di questa drammatica sindrome. Lavoriamo con i ricercatori e speriamo di essere vicini ad una cura.
Maria Grazia , 2012
Questo articolo è tratto da
Ombre e Luci n.118