Chi, adulto, giovane o bambino di fronte ad un neonato non esclama: mio Dio com’è piccolo! E non è solo piccolo di proporzioni, è piccolo perché sembra impossibile che possa vivere, farsi avanti, crescere, riconoscere, sorridere… Ahimè la cosa che colpisce di più tutti è che sa piangere e bene anche!
C’è chi si commuove davanti a lui; c’è chi si intenerisce; c’è chi sbalordisce perché pochi minuti prima non c’era ed ora è qui…
Quale mistero che ci porta immancabilmente all’altro grande e sconvolgente: oggi era qui con me e ora… non c’è più, se n’è andato!
La nascita e la morte sono davvero i due momenti della vita che accomunano ogni donna, ogni uomo sulla terra. Sono momenti in cui avvertiamo, tocchiamo con mano, dobbiamo occuparci – volenti o nolenti – di questa immensa e preoccupante fragilità.
Bene o male, con esitazione e impegno, con l’aiuto di altri, ce la caviamo, quasi sempre.
Il bimbo cresce all’improvviso e si fa sempre più presente, mentre il morente, nonostante le nostre cure e attenzioni, ci lascia e si fa assente.
Il periodo della vita però che ci lascia oggi molto più di ieri smarriti, confusi e spesso impotenti è il tempo in cui il bambino si forma nel grembo materno.
Non posso accostarmi ai giorni di Natale senza meditare con insistenza sul grande mistero della discesa di Gesù in Maria, sua madre e – legata a questo – l’attesa dei tanti bambini che aspettano di affacciarsi a questo mondo.
Dicevo che oggi, più di ieri, l’attesa di un bimbo ci lascia smarriti. Eh sì! Perché quando io ero giovane (e con me tutti i miei coetanei) si aspettava e basta, facendo cura a preservarlo da traumi o pericoli. Ma tutto il resto planava nel silenzio, nell’ignoto, nella sorpresa.
Ora anche se la scienza medica ha apportato immensi benefici ai bimbi “in arrivo”, ha anche provocato dei “danni” non certo cercati ma arrivati insieme alla conoscenza: ed è così che si mettono in agitazione inutilmente o quasi, molti genitori, che si danno notizie premature e affrettate sulla sorte del bambino (a volte per cautelarsi dalla denuncia); soprattutto con un po’ di “sicumera” si annuncia che il bambino è malformato, ha una grave carenza, non arriverà sano alla nascita…
Ecco che allora comincia una delle terribili angosce per tanti genitori: che cosa fare? A chi dare retta? Come vivere tanti mesi in questa atroce attesa?
Non oso pronunciare il rimedio proposto troppo spesso come “male minore”. Non sa a me giudicare, proporre, suggerire.
Quello che io so ed è poco, è che è molto, molto difficile chiedere ad una mamma (a al papà) di portare avanti la gravidanza quanto tutto si fa buio. E quelli che riescono a farcela – e sono molti – meritano che noi tutti, per Natale, mentre adoriamo il mistero della Natività di Gesù, ci schieriamo col cuore e con la preghiera accanto a questi nuovi giovani eroi e non esistiamo ad essere accanto a quelli che non ce la fanno a portare un carico così grave.
Mariangela Bertolini, 2011
Nata a Treviso nel 1933, insegnante e mamma di tre figli tra cui Maria Francesca, Chicca, con una grave disabilità.
È stata fra le promotrici di Fede e Luce in Italia. Ha fondato e diretto Ombre e Luci dal 1983 fino al 2014.
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Questo articolo è tratto da
Ombre e Luci n.116