Annick con questa lettera dà inizio alla raccolta che speriamo sarà copiosa e variegata.
Roma 23 Maggio 2010, Pentecoste.
Carissimo Jean,
è da tempo che desideravo scriverti una lettera. Tu nemmeno mi conosci, anche se ci siamo incontrati qualche volta ma io conosco la tua storia, ti ho ascoltato in assemblee diverse volte e una volta ti ho baciato sulle guance, perciò permettimi di darti del “tu”. Nel 1993 ho sentito parlare per la prima volta di te ed ho partecipato ad una vacanza con alcuni ragazzi handicappati ed alcuni amici di Fede e Luce: avevo 18 anni.
Vorrei, con questa lettera, ringraziarti della tua testimonianza e renderti partecipe di come Fede e Luce ha trasformato la mia vita e continua a darmi spunti per vivere meglio anche oggi. Ho molti ricordi, tanti episodi vissuti mi hanno donato qualcosa, mi hanno fatta riflettere, hanno agito nel mio intimo. Proverò a raccontarti una cosa; ci tengo perché spero e penso che ti faccia piacere, a questo punto della tua vita, poter conoscere i frutti del tuo lavoro, del tuo impegno, anche se tutto poi ti verrà rivelato
Ho sempre frequentato gruppi parrocchiali; prima di entrare in Fede e Luce facevo parte di un gruppo post-cresima.
La mia catechista un giorno disse che era giunto il momento di mettere in pratica la Parola così il gruppo si sciolse e
io, su invito di un amico che già era in Fede e Luce decisi di entrare in questo gruppo. Il mio intento era quello di “fare del bene a persone più sfortunate di me”. Avevo poi una particolare predilezione per le persone “più difficili”. Dopo non molto tempo però mi accorsi di come era faticoso, impegnativo e, a volte, non lo nascondo, fastidioso dover aiutare i ragazzi disabili a mangiare, a cambiarsi, asciugargli la bocca, accompagnarli nel camminare, insomma ben presto era divenuto proprio un sacrificio nonostante i canti, la festa Non ero capace di guardare alle persone disabili come a persone con cui entrare in una vera relazione, da cui poter ricevere qualcosa. Da questa “attività” ricevevo la gratificazione di aver fatto “una buona azione”, ma qualcosa stonava…
Poi un giorno, eravamo fuori per un week-end ed era inverno, faceva freddo. Accompagnavo una ragazza, Silvia, con la tetraparesi spastica, in carrozzina ed avevo appena finito di vestirla con un po’ di fatica. Era ancora sdraiata sul letto e mi disse “lo ho freddo, vorrei anche la calzamaglia sotto i pantaloni”; le risposi “Ma ora ti ho già vestita, tutti gli altri sono già pronti per fare la colazione, te le metterò dopo, ora andiamo”. Silvia ripeté mestamente “ma io ho freddo”, “su, su, andiamo” tagliai corto mentre già la stavo mettendo nella sua carrozzina. Poi, mentre facevamo colazione vidi che una ragazza del gruppo portava fuori Silvia. Incuriosita, dopo un po’ le seguii e le trovai in bagno mentre questa ragazza stava mettendo le calze a Silvia. Offesa nell’orgoglio esclamai “Ti avevo detto che te le avrei messe io dopo!” E lei candidamente rispose “Ma io ho freddo adesso”. In quell’istante ho capito; ho capito che mi chiedeva di entrare in relazione con lei, di ascoltarla veramente. Da quest’episodio ho capito che tutte le persone hanno bisogno di entrare in una relazione autentica di accoglienza, di ascolto reciproco, di condivisione: il mio modo di stare a Fede e Luce piano piano è cambiato.
Ma anche con gli altri, nella mia vita di tutti i giorni qualcosa è cambiato e continua a cambiare ogni giorno un pochettino. Certo, l’egoismo è sempre in agguato, ma cerco di tenerlo sotto controllo perché so che mi può far perdere il senso più importante del mio agire.
Ho letto alcuni dei tuoi libri: “Ogni uomo è una storia sacra”, “La Comunità”, “La sorgente delle lacrime” ed altri. Ho lentamente, in diverse occasioni, sperimentato quel che vuol dire il mistero e la sacralità di ogni persona; per quanto handicappata possa essere, sono riuscita a vedere, in alcuni momenti privilegiati, il volto trasfigurato e luminoso di Gesù in Lei: come se la persona handicappata avesse gli occhi in una dimensione in cui potesse vedere Gesù a faccia a faccia e ne riflettesse la bellezza e la gioia di sentirsi amato da Lui. Sento e credo che Gesù parla al cuore dei ragazzi disabili in modo specialissimo.
Ho anche imparato dagli amici handicappati e dai loro genitori, a ridimensionare le mie ambizioni, i miei desideri di riconoscimento da parte degli altri, di realizzazione professionale, personale, cose che alimentavano le mie ansie, mi provocavano delle sofferenze. Ho scoperto da alcuni di loro come bastava poco per vivere nella gioia. Nel vivere insieme con loro gli eventi quotidiani della mia e della loro vita, ho provato tanta gioia sentendomi amata per la mia sola disponibilità ad essere “vicina”, e leggendo negli occhi dei ragazzi la gioia di avermi vicina. È stato bello, in qualche modo, anche condividere le sofferenze, le preoccupazioni, le scelte. Questo mi ha cambiata, ci tengo a dirlo, anche nel lavoro, nelle relazioni con le persone al di tuori di Fede e Luce, con mio marito, i miei genitori. Ad esempio, per il momento, non riesco ad avere bambini, ma questo non è più un problema così grave per me.
Karl Kéning diceva “È possibile che i portatori di handicap mentale portino il germe della guarigione nella vita sociale odierna”. Penso che ognuno ha un posto nel mondo e una missione nella famiglia, nella società in cui nasce e vive, tutti siamo parte di questa missione. Io lo credo, credo che siamo parte di quest’unico corpo che Gesù ci chiama a formare. Ma questo è possibile solo attraverso Gesù, che piano piano con il Suo Spirito ci guarisce e c’insegna le cose più importanti, ci parla attraverso persone come i nostri fratelli handicappati, e persone come te, Jean che hanno dato testimonianza di queste cose con la loro vita. Imparare ad amarci, donarsi gli uni gli altri con semplicità e pazienza giorno per giorno, come ha detto Gesù, sapendo che Lui ci ama e che potremo vivere nel suo amore per sempre; questo è quello che conta di più per me.
Mi scuso se queste parole possono sembrare degli sproloqui ma oggi è la festa della Pentecoste e sento questa grande gioia dentro e tanta gratitudine. Iò ti ringrazio Jean per aver condiviso con noi questi “segreti” che Gesù ti ha rivelato così bene, ti ringrazio per le tue parole, per la tua vita. Desidero dirti: “Benedetto colui che viene nel nome del Signore!” Davvero tu sia benedetto.
Annich, 2010
Questo articolo è tratto da
Ombre e Luci n.111