attesta, ama ricordare il padre Geffroy, così come la sua esperienza nei confronti delle persone di strada a
Parigi.
Sia sacerdoti che laici, abbiamo in comune il sacerdozio battesimale, fondamento di ogni sacerdozio la cui fonte è l’unico sacerdozio del Cristo, grande sacerdote, nella fragilità della sua Passione e nella potenza della sua Resurrezione.
Essere prete è voler amare come Cristo ha amato, entrare nella sua compassione e fare di tutto per assomigliargli.
È vederlo in ogni essere, soprattutto in quelli che hanno fame, negli stranieri, i malati, i prigionieri, i poveri,… (Mt. 25). Sacerdozio comune dei fedeli e sacerdozio ministeriale trovano la loro perfetta risonanza nella compassione che anch’essa trova la sua fonte nella compassione del Cristo.
Per il ministro ordinato, la compassione è in modo più diretto quella del Cristo nella sua missione, in persona Christi. È il suo rappresentante, cioè il Cristo reso presente nella persona del sacerdote che agisce nei gesti sacramentali e nei suoi compiti specifici (insegnamento, responsabilità e animazione della carità, legame ecclesiale).
Come comprendere ciò che spesso constatiamo: le persone di grande fragilità sono come dei rivelatori di questo sacerdozio ministeriale?
La mia vocazione sacerdotale parte dalla mia povertà. Preso da una profonda tristezza, or sono trent’anni, in un monastero, Cristo si è rivelato a me nel momento in cui il prete diceva: “Beati gli invitati alla cena del Signore”. Ho fatto allora l’esperienza della potenza di vita e di liberazione contenuta nell’Eucarestia. Le parole non rie— scono a dire ciò che provai… Sta di fatto che passai dall’ateismo alla fede. Il Signore ha iniziato allora la mia vocazione che ho ricevuto nel luogo stesso della mia povertà.
L’incontro di due povertà
Il ministro ordinato non deve riconciliarsi anche lui con il povero che, in lui, cerca di esistere? Ma l’immagine del prete così come egli immagina di dover essere può essere un handicap da viversi fragile e vulnerabile. Egli puo utilizzare il suo sacerdozio ministeriale come un vero bunker che lo protegge dalla sua povertà che egli nasconde proprio in nome del suo sacerdozio.
La persona fragile con grande spontaneità, senza inibizioni, con gesti semplici e veri può raggiungerlo al di là della sua corazza e fargli accettare quella parte di sé che egli pensa di poter nascondere. Il prete può allora accogliere il suo proprio essere ferito che non chiede se non di vivere in lui e di integrarsi alla sua vita interiore.
L’incontro della persona fragile e del sacerdote è l’incontro di due povertà, quella nascosta del prete e quella più visibile della persona handicappata, povertà capaci di parlarsi, di raggiungersi e di fecondarsi reciprocamente.
È il mistero di un incontro meraviglioso, una vera iniziazione reciproca alla compassione. Le persone in grandi fragilità sono le nostre sveglie e le nostre guide capaci di far “partorire” nei preti il loro sacerdozio ministeriale.
Un prete mi ha raccontato che ai funerali di una persona di strada, il compagno di prigione del defunto, Alberto, ubriaco fradicio, insultava a gran voce il parroco. Questi mandò il vicario padre Luca, a regolare la faccenda. Molto abituato a questo tipo di sofferenza, andando verso Alberto, Luca chiede al Signore di renderlo capace del suo sguardo. Dentro di sé, riceve dal Signore un monito interiore di profonda misericordia, così intensa che Alberto nel suo sconforto riceve di colpo questa misericordia e si placa. Al momento della comunione, Alberto non osando avanzarsi da solo, fa chiedere al P.Luca di portargli l’Eucarestia. A questo punto, una seconda unzione dello Spirito lo invade. Luca realizza che agli occhi di Dio quell’uomo non è un ubriaco disturbatore, ma un uomo sofferente amato infinitamente e infinitamente amabile, abitato dal Cristo stesso. Per grazia, quel prete era divenuto icona del Cristo e canale della sua compassione.
Lytta Basset (professoressa di teologia protestante) parlando della fragilità preferisce il termine fragilizzazione.
Capiamo meglio che non ci sono da una parte quelli che sono normali e dall’altra parte quelli il cui “mestiere” è di essere fragili. Fragilità permanente e visibile per alcuni, fragilità in divenire per altri, fragilità umane spesso molto visibili, una fragilità spirituale meno evidente, abbiamo tutti in comune questa fragilità dell’essere. Che risposta diamo a questa questione?
Signore, aumenta in noi la fede.
Mi hanno parlato di Cecilia, una ragazza disabile mentale che, con profonda perspicacia, capisce che un sacerdote ospite della famiglia non sta bene. Anziano, è stanco e un po’ distante.
Cecilia, cosa non abituale in lei, comincia ad occuparsi di quel prete pieno di sconforto, prodigandogli gesti d’affetto come se avesse capito che la sua missione era di renderlo a se stesso. Questa giovane non parla, o molto poco, ma visibilmente attirata verso di lui, cercava la sua compagnia.
All’inizio lui non osava, ma poco alla volta, davanti all’insistenza di Cecilia, si è instaurata tra loro una sorta di complicità: lei prendeva la sua mano per una passeggiata e lo ha convinto a ballare con lei!
La terapia diede il suo frutto e, ridato alla vita del sacerdozio, quel prete ripartì in missione confidando: “Lei mi ha consolato!”.
Attraverso la sua fragilità, da lei scaturiva una forza attinta nel cuore stesso di Dio. Ecco il vero sacerdozio comune dei fedeli sul quale i ministri del Cristo devono vegliare perché è il tesoro della Chiesa!
Père Bernard-Marie Geffroy, 2010
(parroco a Parigi)
Questo articolo è tratto da
Ombre e Luci n.111