Primo allarme

Metà anni sessanta: in una famiglia unita da reciproco affetto, senza gravi problemi economici, sensibile al bene comune in una comunione di fede nel Signore, un figlio adolescente che chiameremo Enrico, comincia a presentare dei problemi.
Il sacerdote responsabile degli scout, dopo un primo campeggio, ci consiglia di non insistere nello scoutismo perché viene vissuto dal ragazzo con sofferenza, come un obbligo.Un altro sacerdote, nostro amico che lo prepara insieme alla sorella di poco maggiore al sacramento della Comunione,ci fa presente che Enrico si carica di scrupoli eccessivi e ci consiglia di consultare uno psicologo. Negli studi, pur essendo dotato di una buona intelligenza, si mostra privo di interesse e va sostenuto e incitato.

Prime cure

Cominciava, in quegli anni, a diffondersi in Italia la pratica della psicanalisi e della psicoterapia con qualche entusiasmo e ancora poco approfondimento. Un parente, convinto della bontà di tali approcci, ci consigliò di far seguire Enrico Da uno di questi esperti.
Iniziò così per lui un periodo di angosce, angosce che non aveva conosciuto in precedenza e che, in certe occasioni, lo spingevano a rompere degli oggetti.
Il padre cercò allora di entrare più in confidenza con lui dedicandogli più tempo e io, come madre, ritenni di mettermi un po’ in disparte per rispettare la crescita della sua autonomia. Così infatti ci veniva consigliato.
Ci si accorse però che Enrico, esperto ormai lui stesso in analisi, conoscendo bene le nostre incertezze e fragilità, manipolato a sua piacimento, non per ottenere qualcosa a suo vantaggio, ma forse solo per coinvolgermi nei suoi tormenti. Contemporaneamente, tra i suoi 16 e 19 anni, in grande amicizia con la sorella, partecipò con piacere a viaggi e a piccole feste di amici.
Sperando di uscire da queste laceranti contraddizioni, si fece ulteriormente ricorso a un terapeuta di provata fiducia. Questi cercò di dare una svolta alla sua vita, si propone di riportarlo alla realtà e a convincerlo a concludere gli studi liceali. Conclusione che Enrico, ormai ventunenne, ottenne con il massimo dei voti.
Si iscrisse alla facoltà di Lettere. Nelle Vacanze estive, di sua iniziativa, partecipò ad un convegno di Comunione e Liberazione, superando bene l’ansia di trovarsi lontano da casa. Il primo anno riuscì a dare tre esami con ottimi voti ma nel contempo si instaurano in lui forti lacerazioni che lo conducono a comportamenti manifestamente contraddittori. Riconosceva l’analisi come unica via per uscire dalla sua nevrosi ma finì col rifiutarla temendo grandi sofferenze. Adesso, adesso, comprendo come effettivamente Enrico abbia vissuto l’affidamento all’analista come un rifiuto o’una incapacità di noi genitori di accettarlo o di prenderlo in carico. Ci spiegarono in seguito che un’analisi in età giovanile può anticipare una manifestazione patologica.Privo del sostegno dell’analista, cercò di appoggiarsi al padre ma nel contempo rifiutava noi genitori perché temeva di subire la nostra forza e di esserne imprigionato come in una tela di ragno.
A nulla servirono i nostri tentativi di parlare a cuore aperto, di iniziare nuovi rapporti con rinnovata comprensione e anche la sorella gli offerse il massimo della collaborazione.
Un giorno, rimasto solo in casa, sfogò la sua rivolta distruggendo tutti gli oggetti che trovava a portata di mano e si allontanò da casa. Tornò dopo due giorni ma si chiuse in camera rifiutando di parlare e di prendere cibo.

Ricoveri

Il medico di famiglia riuscì a fargli accettare il ricovero in una clinica privata. Fu il primo impatto con la psichiatria. Trovò un medico preparato e aperto ai nuovi indirizzi. Enrico si era chiuso in uno stato catatonico, trasformato in una statua di sale. I Monologhi quotidiani che con costanza lo psichiatra offerse al giovane e l’uso di farmaci specifici mai usati in precedenza produssero l’effetto sperato: dopo diversi giorni si avviò un dialogo. Sempre seguito da questo psichiatra, nel giro di due mesi tornò a casa, riprese a studiare e dette altri esami.
Trascorse un anno e mezzo di insperata tranquillità.
Per motivi non precisati, Enrico all’inizio dell’estate ’75. Si chiuse nuovamente in un mutismo, rifiutò i farmaci e progressivamente il cibo. Lo psichiatra che l’aveva in cura comprese di essere stato rifiutato e confessò di aver trovato in Enrico uno dei casi più difficili, perché non vi era patologia così grave da poter affrontare con i soli farmaci né così leggera da risolvere con terapia ambientale: Penso che quel giudizio sia tuttora valido.
Trascorsero altri quattro anni con varie crisi, necessità di brevi ricoveri, tentativi di trovare una soluzione in ambienti fuori della famiglia, tipo casa per studenti tenuta da religiosi, piccole attività nella redazione di una rivista e altro. Queste ricerche di emancipazione dopo breve tempo terminavano con il ritorno a casa percepito come una sconfitta. Forse, disperato per non riuscire a liberarsi della sua angoscia, ebbe manifestazioni violente nei confronti dello psichiatra che lo seguiva periodicamente e che Enrico aveva ben accettato in precedenza. Ne seguì un ulteriore ricovero in ospedale psichiatrico. Durante tale permanenza fu prospettato a lui e a noi la possibilità di venir accolto in una cooperativa agricola costituita da volontari che si proponevano il recupero di persone problematiche attraverso il lavoro. Seguendo le istanze ideali del 1968 i soci ricercavano alternative cui informare la loro vita.

Cooperativa agricola

Dopo le prime difficoltà di inserimento,sembrava che Enrico avesse trovato la soluzione ai suoi problemi. Fu inserito come socio e il partecipare alle attività insieme a tanti giovani motivati lo liberava dalla sua solitudine e mitigava le sue angosce. Non si doveva più parlare né di malattia né di farmaci. Gli. psichiatri ai quali avevamo chiesto consiglio, constatando la poca efficacia ottenuta nel passato, accettarono la sospensione dei farmaci.
Sopraggiunse la morte di mio marito,conclusione di pochi mesi di malattia. Prima della sua morte, vi furono momenti significativi di vicinanza fra Enrico e noi genitori.
Per la cooperativa , il caso di Enrico era diventato il fiore all’occhiello: dimostrava quanto l’accoglienza, la solidarietà, la novità di vita potessero risolvere anche i problemi più difficili. Dopo alcuni anni, Enrico Cominciò a chiudersi in se stesso e a somatizzare disagi psicologici. Fu accusato di ingratitudine, di opposizione giustificata se non di vera e propria cattiveria nei riguardi dei soci. Fu predisposta una vacanza al mare in mia compagnia; la sorella si era nel frattempo sposata, il fratello minore faceva il servizio militare. Enrico appariva frastornato, probabilmente percepiva il rapporto con me inadeguato e incrinato quello con la cooperativa. Nel passato aveva sempre provato un senso di vero terrore davanti a una decisione da prendere.
Successe, che improvvisamente ruppe la porta a vetri e inghiottì frammenti di vetro, rendendo necessario il ricorso al pronto soccorso e il successivo ricovero persistendo il suo stato di agitazione.

Ancora di salvezza

La cooperativa rifiutò di riprendere,i medici mi consigliano vivamente di tenerlo in casa con me senza un progetto e una prospettiva. Mi sentii molto sola, mi rivolsi a tutte le mie conoscenze, consulta l’elenco telefonico di tutta Italia per trovare un’accoglienza adatta a questo mio figlio così disperato. Mi presentarono una piccola comunità dove tre anziani sacerdoti conducono un’azienda agricola coadiuvati da ospiti con problemi di vario tipo.Enrico lo accettò come un’ancora di salvezza e realmente vi trovò una vera accoglienza. Tutti gli ospiti erano pienamente riconosciuti nella loro dignità; i sacerdoti con sapienza evangelica sapevano valorizzare ciascuno secondo le singole capacità e davano ad esse il giusto apprezzamento.Enrico realizzò di non essere il solo ad aver incontrato grosse difficoltà nella vita e seppe dare e ricevere amicizia. Imparò ad apprezzare le piccole soddisfazioni e poco per volta ritrovò la fede e la speranza. A Contatto con i giovani e bravi obiettori ci collaborano con i sacerdoti, si riattivano le sue facoltà intellettuali; riprese a leggere con interesse e avendo conosciuto,per mio interessamento, la rivista “Ombre E Luci”, mandò alla redazione qualche recensione di libri. La stessa redazione ebbe l’occasione di visitare la comunità e di incontrare Enrico.

Una famiglia d’appoggio

Compresi in seguito che l’ambiente sia pur positivo risultava un po’ ristretto ad Enrico; mi parlarono di una famiglia che era molto attiva nella diocesi e nel volontariato. Dalla prima volta che mi presentai a loro, mi accolsero come una sorella. Si resero subito conto della situazione e in breve tempo fecero amicizia con Enrico.In accordo con i sacerdoti della comunità, fecero partecipare Enrico a varie attività nella loro parrocchia.
Contemporaneamente, come avveniva per altri ospiti,veniva periodicamente seguito da un medico del reparto di psichiatria. Si stabilì con questo medico di straordinaria intelligenza e disponibilità umana, un ottimo rapporto e nelle brevi crisi che poté avere in quel periodo fu validamente sostenuto ed ebbe anche la collaborazione dei compagni di comunità con sincera amicizia. Si era, nel tempo, ulteriormente approfondito il rapporto con gli amici che ho prima descritto tanto che loro tuttora considerano Enrico come uno della famiglia. Le circostanze così favorevoli permisero di offrire ad Enrico l’occasione di una vita autonoma.

Vita autonoma

Il parroco mise a disposizione un bilocale adiacente alla parrocchia; lo psichiatra gli propose un lavoro convenzionato per alcune ore giornaliere presso la biblioteca comunale degli amici e la loro disponibilità in qualunque momento di bisogno. Enrico trascorse così alcuni anni sereni e pieni di interessi. Con il trascorrere degli anni si rendeva conto che non poteva raggiungere le prospettive degli altri suoi coetanei e si allontanava la speranza di liberarsi completamente dalle sue angosce, dalle voci come lui le definisce.
L’abilità del terapeuta, la forza costante dell’amicizia l’hanno portato all’accettazione dei suoi disturbi, a convivere con essi alla pari con tante altre persone che convivono con i loro limiti.
Purtroppo un esempio significativo glielo ha offerto proprio il suo psichiatra perché, colpito da anni da sclerosi multipla ha sempre affrontato con tanto coraggio la sua malattia. Probabilmente dovrà presto abbandonare il lavoro con grande dolore e sgomento di Enrico. L’équipe molto preparata sarà certamente capace di sostenerlo nel futuro.
Tra me e mio figlio siamo riusciti a costruire un rapporto positivo. Nella disponibilità ad accettare il passato, ci siamo perdonati a vicenda per le sofferenze reciprocamente inferte, involontariamente, per ignoranza, debolezza, inadeguatezza.

La mamma, 2008

Questo articolo è tratto da
Ombre e Luci n.105

Sommario

Editoriale

Lettera aperta ad una maestra, di M. Bertolini

Scout e disabilità

Un buon modo per crescere di Benedetta
Un ambiente educativo anche per Maria di M. Fanti
Per me lo scoutismo di Alice
Un incontro tra capi di R. Dinale
Lettera ai compagni di Matteo di M. e L. Ferrini

Disturbi delllapprendimento

Una bambina “disprattica” di Luisa
Etichettato “idiota” di Arnaud Franc
Ho scoperto la sofferenza dei miei figli di S. Franc
Qual è il vero Marco, di un'insegnante
La difficile storia di Enrico di una mamma

Altri articoli

Verso sera di Pennablù
Fede e Luce: si cambia! di C. Tersigni

Libri

La vita come è per noi, M. Bérubé
Mamme che amano troppo, O. Poli

La difficile storia di Enrico ultima modifica: 2009-09-10T11:08:39+00:00 da Redazione

Ogni mese inviamo una newsletter

Ci trovi storie, spunti e riflessioni per provare a cambiare il modo di vedere e vivere la disabilità.

Se prima vuoi farti un'idea qui trovi l'archivio di quelle passate.

Ti sei iscritto. Grazie e a presto... anzi alla prossima newsletter ;) Se ti va, quando la ricevi, facci sapere che ne pensi. Ci farebbe molto piacere.