Non una santa, ma una donna “vendicativa”, “collerica” e “un po’ femminista”. Così si definì un giorno Suor Emmanuelle, stanca di sentirsi paragonare a Madre Teresa di Calcutta e desiderosa di far capire alle “coscienze dell’opulento Occidente” che tutti potevano seguire il suo esempio: nessun miracolo nella sua opera, ma solo la forza e il coraggio dell’amore. “Basta smettere di preoccuparsi per se stessi — diceva — e dedicarsi agli altri, sorridendo e donando loro gioia”.

Ha sempre vissuto così, la piccola suora in grigio, spentasi lo scorso 19 ottobre a meno di un mese dal suo centesimo compleanno: più come una guerriera che come una santa. La sua battaglia contro fame, povertà e ingiustizia, è stata combattuta senza tregua sino alla fine e, soprattutto, è stata portata avanti, in fasi successive della sua lunga esistenza, su molteplici fronti, tre in particolare: formazione, condivisione, comunicazione. Abilati(‘monaca mia”) per i diseredati delle bidonville del Cairo, e “un abbé Pierre al femminile” per i media francesi che hanno alimentato la sua popolarità, Emmanuelle ha saputo ritagliarsi ruoli nuovi a seconda del contesto in cui operava e degli ordini che riceveva dalle sue superiore. Con una creatività e una capacità di anticipare i tempi sorprendenti. Nata nel 1908 a Bruxelles da una famiglia franco-belga — cristiana la madre, ebreo il padre —Madeleine Cinquin divenne Soeur Emmanuelle a 22 anni, quando prese i voti nella congregazione di Nostra Signora di Sion. Il suo destino, come ha raccontato più volte, si decise però molto tempo prima, nel giorno in cui, ancora bambina, vide il padre annegare in mare e comprese “la fragilità della nostra gioia sulla terra”, la sua “natura effimera, simile alla schiuma”. Per “colmare il vuoto che azzannava la mia giovinezza — spiegava la religiosa — molto presto ho cercato in Dio un amore duraturo e senza limiti. Ho cercato l’assoluto, non l’effimero”.

Per gran parte della vita, Emmanuelle porta avanti questa ricerca tra i giovani. Donna colta e carismatica, viene destinata all’insegnamento e prima a Istanbul, poi in Tunisia, infine in Egitto, dalla cattedra di lettere riesce a trasmettere alle nuove generazioni delle classi più agiate, l’amore per il prossimo e il dovere cristiano della solidarietà. Gli eserciti di volontari che negli anni a venire invadono le sue missioni e le tante associazioni di supporto alla propria azione che fonda in tutto il mondo, si devono anche al lungo periodo dedicato alla formazione dei giovani e alla creazione di una fitta rete di contatti e amicizie. Fin da allora, Emmanuele, anche attraverso i suoi scritti, matura la convinzione che la vera carità cristiana non conosce frontiere e supera le differenze di nazionalità, razza e confessione religiosa.

È solo con la pensione, tuttavia, all’età di 63 anni, che Suor Emmanuelle realizza il suo sogno e, trasferitasi a Ezbet el-Nakhl, periferia del Cairo, trova il “paradiso in terra”. Per i quindicimila zaballin, “uomini della spazzatura”, che vivono in questa immensa discarica a cielo aperto, come per gli altri disperati che incontrerà nelle bidonville del Sudan, del Libano e delle Filippine, “suor coraggio” lavora incessantemente per oltre 22 anni. Allestisce ambulatori e dispensari medici, fonda case di accoglienza per anziani e per bambini, avvia corsi di igiene e scuole professionali e si batte per i diritti delle donne. Sono “gli anni più felici” della sua vita, “anni di condivisione e di giustizia”, in cui, nonostante la sofferenza che la circonda, non smette mai di sperare: “Nei Paesi devastati dalla guerra, dalla fame, dalla violenza, dalla prostituzione — ha scritto di recente — ho incontrato donne e uomini capaci di lavorare per la pace e l’amore, malgrado tutto. Dovunque imperversasse la violenza, ho assistito alla fioritura della vita. Persino negli angoli più bui non mancavano oasi di Paradiso”. Paradisi interreligiosi e multietnici, dai quali spesso suor Emmanuelle lancia provocazioni scomode, per la Chiesa e per i politici: famosa la lettera indirizzata a Giovanni Paolo II in cui chiede di autorizzare la distribuzione di anticoncezionali nelle aree del pianeta devastate dall’ AIDS ed eclatante l’iniziativa con cui sostiene, attraverso una colletta, l’edificazione di una minareto per una piccola comunità musulmana.

Oratrice d’effetto e scrittrice pungente, Emmanuelle intensificherà la sua opera di sensibilizzazione verso le ferite del sud del mondo, soprattutto negli ultimi quindici anni. Nel 1993, infatti, ubbidendo alle sue superiore, la religiosa, ormai 85nne, lascia l’Egitto e si trasferisce in Provenza. La sua battaglia per la solidarietà cambia nuovamente strategia: pubblica numerosi libri, partecipa ad incontri e conferenze in tutti i continenti, diventa un volto noto della televisione e una voce autorevole del dibattito pubblico francese e non solo. “Come è possibile — continuava a chiedere all’Occidente — dirsi cristiani e mettersi a posto la coscienza andando a messa la domenica, davanti ai problemi del Terzo mondo?” E ancora: “A un politico chiedo il coraggio di avere come slogan ‘Morte alla povertà’”. Il suo linguaggio schietto e semplice riesce a raggiungere molti cuori, anche ai vertici della politica, e ASMAE, l’associazione a lei intitolata, nata nel 1980, riceve il sostegno necessario a espandersi in otto Paesi, dove oggi si occupa di oltre 70 mila bambini. Riconoscimenti e premi, intanto, si moltiplicano, e per due anni di seguito un sondaggio proclama Emmanuelle la donna più amata del Paese.

A oltre sessant’anni dall’inizio della sua avventura, tuttavia, i primi destinatari del messaggio di Emmanuelle sono sempre gli stessi: i giovani. È in loro che “la grande vecchia” ripone le speranze più profonde. E a loro, la generazione “zaino in spalla”, pronta a partire e a mettersi in gioco, “generazione migliore di tante che l’hanno preceduta”, suor coraggio chiede: “andate in Africa, almeno una volta!”. “Donna di cuore e di azione”, come l’ha definita l’arcivescovo di Parigi, ma soprattutto donna di fede, Emmanuelle ha chiuso gli occhi, sicura che in tanti avrebbero accolto il suo appello e portato avanti la sua battaglia per e con i poveri. Perché , disse un giorno, “l’amore è più forte della morte e porta in sé un seme di eternità”.

Silvia Gusmano, 2008

Questo articolo è tratto da
Ombre e Luci n.104

Sommario

Editoriale

Philippine di M.Bertolini

Presenza Reale di P. Roberti

Articoli

Il paese delle meraviglie di V. Giannulo
Sono un pellegrino di J. Vanier
Quel tesoro nascosto di B. Bertolini
Una grande sorpresa di Maria
Un luogo dove è bello vivere di T. Cabras
Carugate: a catechismo con gli amici disabili di B. Arrigoni
Non una santa di S. Gusmano
Tanti volti, tante lingue… un solo cuore di Enza Gucciardo
I fraticelli di Pennablu

Libri

Vegliate con me, C. Saunders
La vita è una sfida, C. Lejeune
Più forte della malattia, B. Kullmann
Eloì. Eloì, A.Custovic
Sessualità – Come viverla con la propria disabilità, K. M. Schweir e D. Hingsburger
Eros e Disabili, R. Gay e M. Di Bona
Gli errori di mamma e Papà: Guida pratica per non sbagliare più

Rubriche

Dialogo aperto

Non una santa ultima modifica: 2008-12-07T19:12:07+00:00 da Silvia Gusmano

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