Del caso non si è parlato molto forse perché un fatto doppiamente drammatico richiedeva rispettoso silenzio.
Noi non possiamo tacere.
Perché altri gesti di disperazione non accadano più, urge lanciare un appello che raggiunga più gente possibile e che si traduca in gesti concreti di aiuto. Apriamo gli occhi, apriamo il cuore e mettiamoci in ascolto di quanti vivono in situazioni di vita intollerabili che portano fatalmente a compiere gesti inconsulti.
Quante volte siamo venuti a conoscenza, ancora oggi, di genitori che si trovano a sopportare la vita tormentata del proprio figlio (colpito da psicosi, da autismo, da schizofrenia…), da soli, nel chiuso della propria casa.
Per amore di quel figlio, accettano il suo modo di vivere bizzarro, violento, incomprensibile. Per amore, si sottopongono a sforzi sovrumani, a nottate in bianco, a ricatti a non finire, per cercare di placare le sue furie, le sue grida…Per amore, non vogliono che altri si intromettano per dare un consiglio, perché, esasperati come sono, non si rendono più conto che il loro modo di volergli bene è un male per lui, per loro, per gli altri figli.
E quando questi poveri genitori cercano persone o enti che possano dar loro un aiuto o almeno il cambio, si mettono spesso in una posizione di critica esasperata: solo noi sappiamo come va trattato; noi non vogliamo che venga sedato con i calmanti; noi non vogliamo che sia allontanato da casa. E il cerchio si chiude. L’aiuto non viene dato perché, il più delle volte, sono proprio loro che fanno in modo di rifiutarlo.
Che cosa fare? Come aiutare? Come rompere questa situazione impossibile a viversi e impossibile ad essere trasformata?
Per prima cosa, mi pare di poter dire con forza una frase che un educatore mi disse tanti anni fa: “Bisogna che i genitori di figli, disabili o meno, prendano tutti coscienza che certi cambiamenti non avvengono tramite il papà o la mamma. Solo un estraneo può rompere certi meccanismi”. Il papà e la mamma sono indispensabili per la crescita armoniosa di ogni figlio, ma non possono arrivare a tutto.
Il secondo punto importante è che non bisogna mai chiedere a dei genitori di “fare” quello che non spetta a loro con la scusa che non c’è chi li può sostituire. Di fronte a casi difficili, è troppo comodo nascondersi dietro il “non abbiamo il personale competente” o il banalissimo “vedremo cosa si può fare” lasciando ai genitori il compito — come se non ne avessero abbastanza — di diventare loro dei competenti a tempo pieno.
Il terzo punto, il più importante, è togliere dalle spalle della famiglia il concetto che l’amore vince ogni cosa. L’amore per il bene del figlio impone che egli venga preso in carica, nel miglior modo possibile, da scuola, servizi, centri, cliniche, medici, educatori…
Solo con l’aiuto di altri si può evitare di distruggere la vita dei membri di una famiglia e solo con “gli altri” è possibile continuare ad amare e a volere il bene del proprio figlio.
Questo appello, che rivolgo ai lettori di Ombre e Luci perché lo trasmettano ad altri, vorrebbe far sì che non si senta mai più parlare di casi esasperati come quello dei genitori di Sergio. Da soli si può morire e far morire perché le forze a lungo andare se ne vanno e facilmente aprono la porta alla disperazione. Insieme, con gli altri che si fanno avanti senza bisogno di essere chiamati o invitati; insieme si possono trovare le strade e gli aiuti per venirne fuori, perché come dice Helder Camara
se un uomo sogna da solo, il sogno rimane solo un sogno, ma se molti uomini sognano la stessa cosa, i sogni possono diventare realtà.
Mariangela Bertolini, 2008
Nata a Treviso nel 1933, insegnante e mamma di tre figli tra cui Maria Francesca, Chicca, con una grave disabilità.
È stata fra le promotrici di Fede e Luce in Italia. Ha fondato e diretto Ombre e Luci dal 1983 fino al 2014.
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Questo articolo è tratto da
Ombre e Luci n.103