Non è facile far capire, a chi non ha conoscenza diretta, quali siano i problemi che quotidianamente si debbano affrontare con ragazzi che contrappongono ad una apparente “normalità” d’aspetto — spesso si rimarca quanto siano tutti belli una così grave compromissione delle facoltà relazionali.

Può sembrare ovvio, ma quando si vive in condizioni di difficoltà come accade per le famiglie con ragazzi autistici, anche i piccoli intoppi di procedure e di burocrazia minano la condizione di equilibrio difficilmente raggiunta: occorrerebbe grande sensibilità e grande senso di responsabilità da parte di tutti gli operatori coinvolti nei servizi sociali, nei centri di diagnosi, nelle strutture sanitarie di base, nel mondo della scuola, mentre invece troppo spesso si trattano i “casi” alla stregua di pratiche catastali.

Tanto è stato fatto nella direzione dell’integrazione, soprattutto nella scuola, ma il cammino è ancora lungo, quando ci si ritrova quotidianamente davanti a pregiudizi, ignoranza, paura del diverso. È necessario un ulteriore passo: dall’atteggiamento di pietismo occorre arrivare alla cultura dei diritti, al riconoscimento delle singole individualità, alla pienezza delle possibilità offerte a ciascuno dei ragazzi per affermarsi. Occorre lavorare per offrire a tutti la possibilità di “comunicare”, ciascuno a suo modo e secondo le proprie capacità.

È stridente infatti la condizione del soggetto autistico, con inabilità nel campo della comunicazione, laddove oggi la “comunicazione” è qualcosa che pervade la società in ogni aspetto: si vive assediati da comunicatori che troppo spesso con i propri messaggi non trasmettono contenuti. I ragazzi e i soggetti autistici hanno invece grandi ricchezze e grandi “contenuti” da offrire in termini di emozioni, sentimenti, amicizia: essi stessi sono una ricchezza di umanità che possono offrire agli altri e alla società, purché sussista una costante attitudine all’ascolto, e la capacità di porsi in discussione.

I ragazzi, ancora in fase di crescita, e tutti i soggetti autistici in generale, hanno ampie possibilità e risorse per migliorare e migliorarsi: occorre soltanto credere in loro e nelle loro capacità di testimoniare i propri valori di straordinaria umanità, sensibilità e gioia di vivere. Vivono in un proprio mondo complesso di emozioni e stati d’animo: non chiedono altro che di essere accettati e condividere i propri sentimenti.

Non esiste a tutt’oggi una “cura” dell’autismo; esistono però strategie complesse di intervento educativo e comportamentale che, particolarmente se intraprese in età precoce, possono essere di grande aiuto. I genitori che si trovano a dover iniziare il percorso della “abilitazione” del ragazzo devono però fare attenzione a non credere in programmi miracolosi (e chissà perché assai costosi) di intervento: ciascuno necessita di un personale cammino di sviluppo per la individuazione del quale purtroppo i genitori sono ancora una volta lasciati soli in tutte le fasi di scelta. Ecco che allora diventa importante il momento di scambio e di confronto tra famiglie che si sono trovate ad affrontare le medesime problematiche e che possono sostenersi reciprocamente.

Parlando di approcci terapeutici all’autismo in Italia, la prima cosa da sottolineare è che molti professionisti operanti nelle strutture pubbliche si sono formati in scuole di tipo psicologico, fondate sulle teorie di Bettelheim delle madri “frigorifero”, modello questo che oggi appare del tutto infondato. Chiunque navighi in Internet può, con una semplice ricerca sui principali siti accademici americani, constatare che sono ormai unanimemente riconosciuti quale causa dell’autismo i fattori genetici e/o metabolici complessi, in buona parte tuttora da indagare.

Se tale fatto influenza profondamente le potenzialità diagnostiche delle nostre strutture pubbliche a maggior ragione, a causa della cronica mancanza di fondi, praticamente ne annulla le capacità di cura. I principali approcci terapeutici prevedono infatti un lavoro molto intenso sul bambino (parecchie ore al giorno) a partire dai primi anni di età, cosa che in Italia nessuna struttura pubblica è in grado di fornire. Solo pochi genitori, ben informati e con notevoli risorse economiche, possono permettersi a proprie spese un intervento di questo tipo. Persino la diagnosi dell’autismo, che sarebbe indispensabile fosse il più possibile precoce, raramente avviene prima dei 45 anni.

Alcuni dei più diffusi metodi di intervento in Italia sono:

T.E.A.C.C.H.

Questo approccio (di matrice cognitivo-comportamentale) è stato messo a punto nelle scuole statali per autistici della Carolina del Nord (USA) da E. Schopler. È un approccio complesso che pone le basi per tutta la vita dell’individuo autistico, puntando sia ad aumentarne le capacità che ad adattare l’ambiente in cui vive, soprattutto a scuola e a casa, alle sue capacità ed ai suoi mezzi. Obiettivo primario è, nella consapevolezza dei diversi mezzi a disposizione dell’autistico, il raggiungi mento del massimo grado possibile di indipendenza e partecipazione alla vita sociale.

A.B.A.

Anche Ivaar Lovaas ha applicato con successo le teorie della psicologia comportamentale al mondo dell’autismo. Studi statistici dimostrano che questo metodo educativo, se applicato intensivamente (40 ore la settimana) e precocemente (entro i primi tre anni di età) ha una percentuale di successo molto alta sia in valore assoluto che in confronto ad altri approcci. Anche studi sul follow-up dimostrano che i risultati ottenuti si sono mantenuti nel tempo.
Purtroppo per questo metodo è difficile trovare operatori specializzati.

Trattamento farmacologico

Il trattamento farmacologico può servire, ed in alcuni casi è indispensabile, per mitigare alcuni effetti collaterali dell’autismo come iperattività ed aggressività. Non è invece dimostrato a tutt’oggi che abbia una qualche efficacia rispetto al problema primario dell’autismo.

Approcci alternativi: comunicazione facilitata

È un approccio definito alternativo perché sono molti i detrattori, anche illustri, che ne negano la validità. Di contro sono molti i genitori di bambini autistici che affermano di aver trovato nella comunicazione facilitata uno strumento insostituibile per comunicare con i propri figli e per permettergli di esprimersi. La facilitazione avviene perlopiù attraverso l’uso del computer.

Laparolachemanca

L’Associazione di volontariato “Laparolachemanca” a Roma e provincia (vedi su internet il sito http://www.laparolachemanca.org) nasce per dare visibilità e maggior forza ad un gruppo di genitori di giovani soggetti autistici che da anni si confrontano individualmente con le istituzioni (Provveditorato agli Studi, Circoscrizioni, Aziende Sanitarie Locali) per la difesa dei diritti e affinché la disabilità dei propri figli sia il più possibile alleviata e l’integrazione possa diventare una effettiva condizione di vita. L’Associazione è senza fini di lucro.

“Laparolachemanca”, nata nel 2002 e cresciuta con il tempo grazie al contributo di genitori il percorso dei quali si è trovato a coincidere, si è costituita per condividere le problematiche dei ragazzi autisti ci e per cercare di mettere in comune le esperienze di ciascuno: la condivisione ha recato con sé segnali incoraggianti di solidarietà e di crescita.

Tra gli scopi statutari dell’Associazione vi è quello di programmare la crescita di questi ragazzi e pensare al loro domani: i bambini e gli adolescenti autistici di oggi si trovano, pur tra mille difficoltà, comunque inseriti nella comunità scolastica; è necessario pensare per tempo ad un futuro da adulti, visto che esperienze internazionali e alcuni tentativi in Italia hanno condotto con buoni risultati alla costituzione di comunità protette nelle quali, con un rapporto adeguato di operatori specializzati e volontari, si è riusciti a realizzare una qualità della vita finalmente soddisfacente.

Autismo: che fare per questi figli? ultima modifica: 2005-03-16T08:03:57+00:00 da Sergio Sciascia

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