Sebbene cambino secolo, tecnologia, regimi, strumenti di comunicazione (meno quelli di oppressione…), la richiesta dei prigionieri è sempre la stessa. «Carta e penna. Non più di questo. Non meno di questo. Nell’era egemonizzata da Internet e dalla dimensione virtuale, un informatico, un attivista digitale, un dissidente che ha segnato l’opposizione egiziana nel decennio precedente alla rivoluzione di piazza Tahrir del 2011, chiede ai magistrati e ai suoi carcerieri carta e penna. Lo chiede con costanza. Non si dimentica mai di chiedere carta e penna mentre pretende verità e giustizia, dignità, fine delle torture e delle umiliazioni per tutti i prigionieri egiziani». È Paola Caridi a introdurre così Non siete stati ancora sconfitti, il libro edito da Hopefulmonster (2021, traduzione di Monica Ruocco) che raccoglie gli scritti del blogger e attivista egiziano.
Anche questi di Alaa Abd el-Fattah sono, insieme, scritti universali e personali, poliedriche tessere di un mosaico che restituisce una profonda riflessione su concetti come coraggio, dignità, libertà e coerenza. E che, inserendosi in una lunghissima storia di dissidenza e dolore, compongono innanzitutto il ritratto di un uomo.
Un uomo che è figlio – di un padre amatissimo, Ahmed Seif al-Islam, anch’egli dissidente e segnato da anni di prigione e tortura, iniziatore di una storia di avvocatura specializzata in diritti umani (morirà nel 2014, affaticato dagli anni trascorsi in prima linea e dal sapere i figli in carcere); e di una madre, incarnazione di amore, impegno e tenacia. Un uomo che è fratello – di due sorelle anche loro politicamente molto attive (Mona è nata mentre il padre era recluso). Un uomo che è marito – assieme alla moglie Manal Hassan, Alaa ha creato la prima blogosfera araba, un aggregatore di blog che pubblica i post dei diari virtuali egiziani. Un uomo che è padre – è in carcere, detenuto per le sue idee e le sue opere, quando nasce Khaled.
Tra le riflessioni di Non siete stati ancora sconfitti, colpiscono molto quelle sulla prigione, sul sistema carcerario, sulla sua funzione e scopo. La prigione come miccia di odio in un barile infiammabile; alimentatrice di una spirale perversa che finisce per condannare, insieme all’eventuale crimine, anche la persona. Il rischio, per il detenuto, è quello di prendere il posto del secondino; la forza è quella di vedere il baratro senza finirci dentro.
Perché il rivoluzionario senz’armi vuole cambiare il sistema con i suoi strumenti. Se il terreno in cui è cresciuto gli ha dato molto più di quel che gli è stato (o gli verrà) mai tolto («Mia madre mi ha lasciato in eredità una torta di pietra e un amore che penetra i muri delle carceri. Mio padre […] una cella e un sogno che non si lascia circoscrivere»), Alaa Abd el-Fattah vede le grandi contraddizioni ereditate dalla Storia e quelle proprie del nostro oggi, ma anche le opportunità che un tempo di crisi così profonda può offrire. Nelle sue pagine ci sono il coraggio, e la capacità di capire ciò che va ancora appreso («Come riuscire a trasformarmi da spina nel fianco degli ingiusti a sostegno per tutti coloro che sono stati trattati ingiustamente»). C’è la lucidità di vedere lo scopo ultimo di un impegno radicale («Da un decennio di rabbia ho appreso alcune semplici lezioni, la più importante è che ogni passo sulla strada della lotta o del dibattito […] è un’opportunità […] per capire, per fare rete»).
Ci sono però, nelle sue pagine, anche la fatica, i dubbi («I colpevoli fanno ammenda e si pentono. Cosa possono fare, però, gli innocenti per evitare la stessa sorte?»), la frustrazione per una rivoluzione «così fragile che un proiettile vagante potrebbe metterla a tacere». Ma al contempo «così forte, che un abbraccio riesce a salvarla».
E c’è anche la disabilità nelle pagine di Alaa, in particolare l’autismo, che lui incontra e indaga. «Comincio a scrivere testi sulla perdita della facoltà – o sul fatto di non essere in grado – di parlare con una generazione che sta gradualmente smarrendo ogni capacità di lanciare slogan. Oppure scrivo sulla difficoltà di comunicare (…). L’autismo non è una malattia psicologica che si sviluppa in seguito ai traumi subiti. È una condizione nota e ben documentata, legata principalmente alle difficoltà di apprendimento e alle nostre strategie per affrontarle».
Racconta il suo Paese, Alaa Abd el-Fattah; ma parla anche a noi, alle nostre scelte quotidiane e ci affida dei compiti: difendere complessità e diversità; rivendicare il nostro diritto di essere creatori, non consumatori; «Migliorare la vostra democrazia: questa è sempre stata la mia risposta alla domanda “Come possiamo contribuire?” (…). Se i diritti umani fanno un passo indietro in un contesto in cui la democrazia ha radici profonde, ciò sarà sicuramente usato come pretesto da società in cui i diritti sono più fragili, e che si sentiranno in diritto di compiere violazioni ancora peggiori».
È una carezza, il fatto che questo libro sia stato pubblicato da un editore laico nella collana “La Stanza del Mondo”, definizione che appartiene a un Papa. A Paolo VI che parlò della luce «per cui la stanza del mondo prende proporzioni, forma; bellezza e ombra», incarnazione di come la realtà sia complessa; di come lo sia la dissidenza. È un pugno, il fatto che oggi Alaa Abd el-Fattah sia in gravissimo pericolo, nel carcere in cui è rinchiuso, con oltre 100 giorni di sciopero della fame.
Non siete ancora stati sconfitti
Autore: Alaa Abd el-Fattah
Traduzione: Monica Ruocco
Editore: Hopefulmonster
Pubblicato: Pagine: 288
Prezzo: 23€
ISBN: 978-8877572882
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