«C’è una compagnia che fa bene a tutti, anche a chi per sue caratteristiche tende all’isolamento. Il contesto agricolo, il ritmo delle stagioni… aiutano chi ha problemi relazionali, psichiatrici, intellettivi. Il percorso di recupero nelle competenze è davvero importante. Anche nella ristorazione. Soprattutto per quelle famiglie che la sera vedono i loro figlioli impegnati: si cambiano e con l’uniforme da cameriere vanno a fare il loro servizio al ristorante dalle 19 all’una». Il caldo accento toscano di Laura Capantini accompagna l’emozione con cui racconta i bei riscontri vissuti tra gli avventori di Casa Ilaria – della cui fondazione è l’attuale presidente – «una casa per tutti e a cui tutti possono portare qualcosa». Un progetto nato nel 2013 dalla constatazione che nel territorio pisano mancava una risposta per quei giovani adulti che, con le loro differenti fragilità intellettive, psichiatriche o sociali, terminata l’esperienza scolastica, rimanevano senza possibilità di inserimento sia in un centro diurno che in un normale contesto lavorativo.
Un progetto per dare vita al ricordo di suor Ilaria Meoli, nata a Pontedera, carmelitana, missionaria e medica, morta nel 2007 in un incidente stradale nella Repubblica Centrafricana, a 36 anni. Chi la conosceva ha deciso di onorarne la memoria prima con interventi in India e America Latina, a favore di quanti le erano stati a cuore e che aveva incontrato nei viaggi con l’Unitalsi a Lourdes, e poi nella sua terra natale. Una terra che, vocata naturalmente al turismo e all’agricoltura, realizza perfettamente quel desiderio di «giustizia sociale» che, nel nome di Ilaria, ha motivato la nascita prima di una Fondazione e poi della Cooperativa sociale (presieduta da Simone Brogi), dando la possibilità di offrire in un unico luogo percorsi differenti, all’interno dei quali ciascuno può trovare uno spazio di effettiva e piena partecipazione.
Legate strettamente ad associazioni del territorio che riuniscono familiari di persone con sindrome di Down o con autismo, le attività di Casa Ilaria, come si diceva, sono aperte anche a fragilità psichiatriche o sociali. Pur collaborando con i servizi deputati del territorio (i quali però «hanno bisogno di incasellare… e da noi non è facile» spiega Cantarini), oltre a piccoli finanziamenti, rimangono decisivi i sostegni privati come quelli provenienti dai fondi dell’8 per mille della Chiesa cattolica, da altre società o dai talenti volontari dei professionisti che contribuiscono, in particolare, alla ristrutturazione della bella cascina leopoldina destinata all’ospitalità di privati e gruppi, accessibile, facilmente raggiungibile e vicina a centri di attrazione turistica come Pisa, Volterra e Firenze.
Se l’orto, gli alberi da frutto e il seminativo danno i loro risultati da qualche anno con la vendita ai gruppi di acquisto solidale – insieme ai percorsi di avviamento al lavoro di RistorAzione (in collaborazione con il ristorante Il Cavatappi, in attesa che anche nella cascina venga aperto il punto ristoro previsto) la pandemia ha invece rallentato la tabella di marcia per la ristrutturazione dell’edificio più grande. Intanto sono già state inaugurate la cappella, cuore della struttura intorno alla quale si celebra mensilmente una messa comunitaria, e la sala polifunzionale, deputata ai molti laboratori creativi, espressivi e alle attività di sostegno psicologico. Laboratori che, spiega Capantini, sono aperti a chiunque abbia desiderio di partecipare, senza alcuna etichetta preventiva. Sono tanti, infatti, «i percorsi di vita delle persone che portano a Casa Ilaria per trovare una famiglia del cuore. Percorsi a volte misteriosi. Ogni persona scopre il bisogno di dare qualcosa e di farlo insieme agli altri. Senza bisogno di grandi competenze: tutti hanno bisogno di compagnia e tutti possono darne»
Questo articolo è tratto da
Ombre e Luci n. 157, 2021
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