«Sono incinta!» – con queste due parole per la donna inizia una nuova vita piena di sogni e progetti.
Ognuna di noi, in questi mesi di attesa, sogna un bellissimo futuro per la piccola creatura di Dio che sta portando sotto il proprio cuore. Vogliamo che il nostro bimbo sia il più bello, il più intelligente, il più educato, il più dotato di altri. Passano mesi, giorni, ore… «Eccomi!». È nato… Che felicità!
Ma poi arriva il medico, non ce la fa a guardarti negli occhi e ti dice: «Mi dispiace, ma il bambino è nato malato».
Il mondo comincia girare intorno a te, il cielo diventa nero e ti cade addosso! E nella mente c’è solo una domanda che ti fa impazzire: «Ma perché? Perché proprio a me è capitato? Perché il Signore mi ha punito? Come faccio a portare questa croce?».
Ero disperata! Con la nascita di mio figlio malato per me era finita… La mia carriera professionale di programmatrice, il mio mondo si è ridotto alla dimensione dell’ospedale. I miei sogni più insistenti erano quelli di sentire che il mio bambino mi chiamasse “mamma”, di vederlo fare due passi da solo, di vedere sul suo viso un sorriso e non la sofferenza.
Fino ai 6 anni d’età abbiamo fatto il possibile e l’impossibile per farlo crescere. Mio figlio ha imparato a camminare, ha cominciato parlare. Ma era in ritardo nello sviluppo mentale. Per gravi motivi famigliari ed economici ho dovuto prendere una decisione molto difficile: lasciare mio figlio con mio marito e mia figlia più grande ed andare in Italia a lavorare per avere la possibilità di curare mio figlio. Sono passati otto lunghi anni prima che arrivasse il giorno in cui io avessi la possibilità di portare Igor qui in Italia per vivere insieme. Quante notti insonni, quanti laghi di lacrime, quanta fatica per avere il reddito sufficiente che mi permettesse di fare il ricongiungimento famigliare…
E finalmente ce l’ho fatta, mio figlio Igor è arrivato a Napoli per vivere con me. Ero felicissima! Ma è cominciato un nuovo periodo della mia vita, ancora più difficile di prima. Mio figlio, forse, credeva che non lo amassi e mi metteva alla prova in continuazione. Inoltre mostrava una grande sofferenza per la mancanza dei suoi amici ucraini. Piangeva, si nascondeva sotto il letto: e piangeva, piangeva… Non vedevo via d’uscita, non vedevo una piccola luce in fondo al tunnel.
Solo la Fede mi ha aiutato a non impazzire e a non fare errori gravi. Piano piano ho cercato di capire che cosa potessi fare per non fare sentire solo mio figlio. Sapevo che in Ucraina aveva frequentato una comunità dove c’erano ragazzi come lui ma anche amici giovani, così mi sono messa a cercare una cosa simile in Italia. Ho trovato anche qui la comunità Fede e Luce per persone con bisogni speciali. E questa comunità è stata la mia Luce nel buio del tunnel.
Da più di 5 anni facciamo parte delle comunità di Napoli. Abbiamo trovato una vera famiglia. Siamo diventati i più ricchi del mondo! Abbiamo tantissimi amici veri, disinteressati, che ci vogliono bene e sui quali possiamo contare anche nei momenti di difficoltà.
Con Fede e Luce la mia vita è cambiata. Sono cambiati i valori della vita. Viviamo ogni giorno in attesa dell’incontro della comunità, di una messa insieme, di un pellegrinaggio, delle feste, del campo estivo. Durante questi anni abbiamo fatto amicizia con altre comunità della regione Campania ed in tutta Italia.
Igor è amato e non avverte la sua particolarità: grazie a questa amicizia è diventato molto socievole e molto comunicativo. Lo vedo felice, gioioso, sempre sorridente. E questo rende felice anche me. Ci impegniamo in tutti gli eventi del nostro movimento, perché questa è diventata per me la vita vera. Siamo stati a Lourdes e abbiamo conosciuto un sacco di nuovi amici provenienti dalle comunità della Spagna. Ho partecipato ad un incontro internazionale a Leeds. È stata un’esperienza indimenticabile, emozionante. Sono diventata ancora più ricca di amici.
Adesso posso dire con orgoglio che ho amici in tutto mondo: dalla Georgia al Canada, dalla Svizzera alla Polonia. E tutto questo grazie a mio figlio speciale! Adesso tratto mio figlio come un grande tesoro e non come un croce da portare.
Questo articolo è tratto da
Ombre e Luci n.129