Dopo aver “onorevolmente” frequentato le scuole elementari e medie ho conseguito la tanto desiderata licenza. Ma dopo, cosa fare? Mi sarebbe piaciuto continuare la scuola ma ai miei tempi non c’erano molte occasioni per continuare a frequentarla. La mia unica occupazione era fare il ministrante in parrocchia e poi, una volta al mese, l’incontro con gli amici di Fede e Luce. Il mio parroco, don Armando, pensò di formare la cooperativa “Shalom” i cui soci erano anche persone (come si dice ora) diversamente abili: collaboravamo con Ceramica delle Puglie confezionando tazzine, piattini, piatti, attaccando etichette, decorazioni e altro. Il mio compito era di timbrare i cartoni che contenevano il prodotto del nostro lavoro. Ricordo molto volentieri i colleghi: Mariuccia, Sabrina, Onofrio, Enzo e soprattutto Piero e Silvio che erano i capi e distribuivano le paghe. Purtroppo però ricordo anche i litigi che qualche volta succedevano fra i colleghi e che io non sopportavo. E così, una volta, stanco di sentirli, me se sono andato perché ero disperato, e poi Piero è venuto a cercarmi. Ogni tanto facevo qualche danno: mettevo le tazze sul nastro trasportatore e a volte cadevano, si rompevano e Piero mi rimproverava. Ma anche se non ho mai litigato con nessuno, dopo 10 anni la Ceramica delle Puglie si è trasferita e noi siamo rimasti senza lavoro. E ora che faccio?! mi sono chiesto.
Sono disoccupato… Veramente, non sono mai stato senza far niente: ho frequentato un corso di ceramica presso l’Istituto d’Arte, imparando anche a impastare l’argilla e a decorare vasi di terracotta. Ma anche questa esperienza, dopo un po’, è terminata… Poi l’Istituto tecnico commerciale, nel 2007, organizzò un “Caring ecologico” tra le attività a sostegno dei soggetti svantaggiati; tutte belle esperienze: nuovi tutor, nuovi psicologi, nuove attività e nuovi amici che ricordo con nostalgia, soprattutto perché anche questa esperienza, dopo un anno scolastico, si concluse. Quindi ricominciarono le giornate in cui non mi rimaneva che ascoltare la musica, soprattutto la mia musica preferita che è quella dei cori, cori di montagna, cori di chiesa. Sognavo di avere un coro tutto mio, e di essere io il Maestro direttore e dirigevo… dirigevo… e mi sentivo una persona importante.
Il contatto con l’AIPD
Ascoltare musica e immaginare di dirigere un coro tutto mio non è il mio unico impegno: mi rendo utile in casa, se mia madre ha bisogno di qualche lavoretto come apparecchiare, stendere la biancheria, fare qualche piccola spesa al supermercato o alla latteria (anche se devo essere sincero, contare i soldi non è il mio forte, per fortuna i venditori sono onesti e così posso fidarmi!). Mia madre è preoccupata e pensa a qualche altra soluzione per questo mio problema del lavoro: è vero che continuo a essere ministrante in parrocchia, ma è indispensabile trovare una vera occupazione. Cercando, siamo rimasti colpiti dagli obiettivi dell’AIPD (Associazione italiana persone down) che diceva: Inserimento nel lavoro dei soggetti diversamente abili. Ci siamo messi in contatto e ho frequentato regolarmente l’associazione con sede a Bari: sono stato molto contento di conoscere nuovi amici e nuovi tutor, l’organizzazione ci è sembrata molto seria. Il mio tutor era Salvatore, che per un po’ di tempo è venuto da Bari a Monopoli per farmi diventare più autonomo e mi ha fatto capire che sono un ragazzo Down. Chissà perché, fino a questo momento non mi ero accorto di questa piccola differenza… Devo dire che è stato un po’ difficile e un po’ duro da accettare; ma (grazie all’acqua di Lourdes) ho superato anche questa prova, anche se di acqua ne ho dovuta bere tanta!
Gli incontri per farmi diventare più autonomo hanno funzionato: mentre all’inizio i miei genitori dovevano accompagnarmi a Bari e rimanere ad aspettare la fine del nostro incontro in associazione, dopo un po’ sono riuscito a prendere il treno dalla stazione di Monopoli per Bari da solo! Segnavo a matita su un foglietto tutte le stazioni che ci sono da Monopoli a Bari e man mano che il treno ci passava le cancellavo, in modo da non sbagliarmi e scendere a quella giusta. Andavo a Bari col treno per incontrare gli amici una volta la settimana nel pomeriggio, ma la sera venivano a riprendermi i miei genitori perché era un po’ tardi.
E dopo l’autonomia, i tirocini
Un giorno i miei tutor dell’AIPD mi fecero una proposta: un tirocinio formativo presso l’Archivio di Stato con mansioni di archiviazione informatica dei dati (questa volta mi sentivo veramente importante!). Da settembre 2012 a giugno 2013 la mattina mi alzavo per prendere il treno che mi portava a Bari. Dalla stazione centrale prendevo l’autobus fino all’Archivio di Stato, dovevo fare attenzione e scendere alla fermata giusta: non ho mai sbagliato sia a prendere il treno che a prendere l’autobus (il mio Angelo Custode mi sorvegliava!). All’Archivio incontravo Daniela e Rossella, due persone veramente speciali che mi guidavano nel lavoro. Avendo una buona conoscenza del programma Word, le mie mansioni erano di archiviare documenti antichi e inserirli nel computer. È stato un lavoro un po’ difficile all’inizio perché richiedeva molta attenzione, ma dopo 10 mesi volete sapere quanti nomi avevo inserito? Più di 5000! Lo schedario comprendeva: nominativo, paternità, data e luogo di nascita, residenza, colore politico, professione ecc. ecc. Dopo 10 mesi i dirigenti dell’Archivio di Stato mi hanno fatto un grande regalo: hanno stampato il mio lavoro e lo hanno presentato in un convegno a cui hanno partecipato tante persone importanti. È stato un lavoro molto impegnativo che però ricordo con grande nostalgia.
Un secondo tirocinio l’ho svolto presso il Polo Museale di Bari: anche questa volta le mie mansioni erano l’archiviazione di documenti antichi, la scansione e l’inserimento nel computer. Il tirocinio durò 3 mesi (da ottobre 2016 a gennaio 2017). E così ricominciai a viaggiare ogni mattina dal lunedì al venerdì: il treno era sempre lo stesso ma il percorso dalla stazione al Polo Museale era diverso perché bisognava prendere l’autobus n.20, obliterare il biglietto, fare attenzione al percorso; quando vedevo il Castello voleva dire che stavo per arrivare, quindi prenotavo la fermata e poi scendevo. Dalla fermata in Largo Santa Chiara, a piedi raggiungevo il Polo Museale. Il mio turno iniziava alle ore 9,30 e terminava alle 12,30. Quindi facevo il percorso di ritorno fino alla stazione e riprendevo il treno. Devo dire che non è stato tutto facile, a volte è stato molto impegnativo ma finalmente mi sono sentito utile; i miei colleghi dicono anche di avere nostalgia di me. Mi chiedo perché queste esperienze durino così poco tempo?!
In tipografia si lavora a crepapelle!
Dopo il lavoro al Polo museale, ricomincio a passare la mattinata senza un impegno serio. È vero faccio il casalingo, aiuto mia madre, se proprio non c’è nulla da fare c’è sempre il “mio” coro che mi aspetta. Ma non è la stessa cosa che sentirsi utile agli altri. Le giornate trascorrono in attesa dell’impegno di ministrante in parrocchia, dell’incontro mensile con Fede e Luce e poi c’è l’attesa di quei giorni di vacanza in cui saremo insieme con gli amici di Fede e Luce, pochi giorni ma intensi: tanti bei ricordi!
Per un breve periodo, il mio attuale parroco, dirigente della Caritas diocesana, mi chiese un aiuto: anche qui dovevo trascrivere al computer alcuni documenti manoscritti sui libri parrocchiali. Ma anche questa iniziativa terminò presto. Il 2020, finalmente (non pensando al Covid) mi ha portato un’altra grande, inaspettata sorpresa: una responsabile della Casa Editrice Vivere In di Monopoli mi chiede «Vuoi venire a lavorare alla nostra tipografia? C’è bisogno di te!». È proprio vero che le vie del Signore sono infinite. Mio padre ogni mattina va in campagna, quindi mi accompagna e poi mi riprende per pranzo. Sono contentissimo! I colleghi (Sante, Gianni, Marco, Dario e Antonio) mi accolgono a braccia aperte. Questa volta è un lavoro diverso: bisogna stampare e impaginare riviste, libri, addirittura volumi che parlano del Vaticano. Quando abbiamo completato la prima rivista Vivere In, me ne hanno dato una copia e l’ho portata a casa come se avessi vinto una gara e mi avessero dato la coppa. Quando rientro, mia madre mi chiede: «Tutto ok? Hai lavorato bene?» E io rispondo: «Uuuuh! Ho lavorato a crepapelle», e così tutti ridono… ma perché?!
Emozionante leggere il diario di Efrem Sardella che conosco da quando è nato, e conosco, attraverso la sua mamma, tutte le conquiste da lui ottenute negli anni. Credo che ora, dopo tanta gavetta e praticandato, dovrebbe essere arrivata l’ora di ottenere un impegno duraturo dove poter esprimere tutte le sue conquiste ottenute negli anni: BRAVO EFREM tifo per te!
Caro Efrem, la tua è una storia straordinaria di impegno, volontà e amore. Da parte tua ma anche di tutti quelli che ti hanno accompagnato. Hai mantenuto la barra diritta alla meta e sei riuscito nel tuo intento di lavorare e contribuire al bene di tutti. Sono orgogliosa di te e di conoscerti almeno un poco attraverso i tuoi genitori. Dimmi un po’, vero che lavorare è molto divertente?
Scrivi ancora le tue avventure e le tue impressioni. serviranno a molti.
Bruna