Nelle campagne della Tuscia viterbese sorge un’azienda agricola familiare che da quattro generazioni tiene testa allo spopolamento generale della campagna e all’utilizzo esclusivo dei macchinari. Dal 2018 al suo interno ha preso vita Volta la Terra, in una rete di condivisione, di scambio e reciprocità capace a sua volta di rendere partecipi persone ai margini della società. Lavorando la terra le persone ritrovano infatti il loro valore attraverso la cura di un territorio cui ci si accosta – insieme – in maniera più attenta e responsabile. Costanza Mestichelli, 45 anni, ne è la responsabile; vive qui con Filippo Ascenzi, il marito, e i tre figli (Giovanni, Marta e Sabina) e da qualche mese anche con l’amico Pietro, settantacinquenne con disabilità, per allontanarlo dal disagio di una dura periferia romana.
Come comincia questa esperienza?
Nel 2008 con la nascita di Marta, la nostra secondogenita, ci siamo trasferiti qui da Roma. È stato un cambiamento importante, soprattutto per chi forse dava per scontato che scegliessimo una vita più canonica. All’interno dell’azienda di famiglia di mio marito Filippo esisteva un vecchio ovile, situato accanto a due casaletti, già avviati all’ospitalità, e ci abbiamo investito quanto avevamo. L’ovile è divenuta la nostra casa, con una grande sala accogliente per ampliare l’offerta di servizi dell’agriturismo. Tra i primi avventori, gli amici di Roma delle comunità di Fede e Luce, con i campi estivi. L’esperienza di vita comunitaria con persone con disabilità mentale ci ha insegnato un nuovo sguardo sulle nostre responsabilità e sul nostro impegno. Si è unito a ciò che sentivamo verso questo pezzo di terra che abbiamo avuto la possibilità di custodire e che vorremmo porti frutto per noi e per la comunità territoriale in cui viviamo.
Ma soli non è tanto facile…
Piccole realtà come le nostre, nel mercato attuale, non vanno tanto lontano. C’è bisogno di una rete in cui ognuno rende disponibile quel che di buono ha. Tre anni fa abbiamo dato vita ad una nuova realtà di agricoltura sociale associata con le aziende IOB, Fattoria Cupidi, Valentini, Podere La Branda ed è nata SolCare. Ognuna è multifunzionale, aperta a processi produttivi e contesti familiari di varia natura: c’è chi come noi propone l’attività in orto – dalla semina, alla cura alla raccolta – o nei frutteti, chi l’attività con gli animali o le api, chi lavora e trasforma i nostri prodotti, chi ha strutture di accoglienza turistica. Con le aziende di Rete SolCare condividiamo il metodo colturale biologico e, nei progetti di agricoltura sociale che costruiamo, proponiamo diverse attività per le tante realtà associative della zona che si occupano di disabilità oppure per collaborare a progetti di inclusione come quelli svolti con la Caritas o la Tavola Valdese.
Ci saranno tanti equilibri da tener presenti per un’azienda che voglia rimanere in grado di sostenersi e allo stesso tempo adattarsi alle possibilità di ciascuno…
Una migliore regolamentazione del settore sarà essenziale. Alcuni meccanismi negli interventi e nelle collaborazioni con i partner istituzionali possono migliorare. Le strutture dell’azienda madre ci aiutano quando necessario. Maturiamo sempre più esperienza e l’incontro è sicuramente fecondo: con Ilario e Desiderio, due persone adulte con disabilità intellettiva, ed il loro primo operatore Armando, si è concretizzata l’idea del grande orto per la vendita di prodotti biologici. Grande perché la produzione deve essere sufficiente a dare il giusto ritorno economico. Ma non doveva esserlo troppo e spaventare chi lo coltivasse: così ho pensato di suddividerlo in riquadri più piccoli – che favoriscono la rotazione delle colture – perché chi se ne sarebbe occupato potesse vederne i limiti e lavorare più a misura di essere umano.
Perché tutto questo funzioni è necessario sollecitare la società civile, contro ogni possibile emarginazione.
Ripartiamo da chi è solitamente lasciato ai margini, dalle terre a rischio di abbandono, per coinvolgere con scelte consapevoli e responsabili quanti possibile: con SolCare abbiamo avviato la consegna dei nostri prodotti su Roma e anche i clienti possono essere ancor più partecipi adottando porzioni dell’orto. E queste diverse possibilità ci permettono di offrire nuovi percorsi di inclusione lavorativa. Adama Traoré, un ragazzo del Mali che abbiamo conosciuto attraverso un progetto della Caritas, ad esempio, ha cominciato a portare il pulmino delle consegne a Roma, città per niente facile per il traffico. Ora è autotrasportatore per una ditta.
E la compagnia di Pietro? Non avete lasciato neanche lui ai margini.
Con Filippo, abbiamo deciso di ospitarlo almeno per qualche mese. Insieme ad altri amici, ci siamo resi conto che a casa sua non poteva più restare. Qui è in compagnia e gode della campagna: ci aiuta con alcune piccole attività, come la pulizia delle patate, la raccolta della cicoria di campo o la preparazione delle erbe aromatiche per le consegne… ha una perseveranza da ammirare! Partecipa alle nostre chiacchiere a tavola con i suoi ricordi e le sue opinioni con i suoi modi simpatici. Ha i suoi spazi per fumare il fedele sigaro, giocare con i cani o guardare la tv. In questi mesi, invasi da lavoro da remoto e DAD, ha dato un altro ritmo alle nostre giornate, in quella dimensione di “affidamento” che vivevamo qui durante i campi estivi di Fede e Luce. Nonostante alcune inevitabili difficoltà per la gestione del suo quotidiano, per tutta la famiglia la sua presenza si è rivelata un vero antistress contro la pandemia.
Questo articolo è tratto da
Ombre e Luci n. 154, 2021
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