Lo scorso anno il mondo intero e noi tutti abbiamo vissuto un Natale difficile e ci siamo augurati un prossimo Natale di pace.
Le ultime vicende internazionali e le tragedie vissute da numerose famiglie, ci impediscono anche quest’anno di pensare ad un Natale di gioia. Il nostro cuore è così addolorato per i tanti bambini colpiti a morte nella loro tenera infanzia e per i loro genitori, che ci sembra impossibile «sopportare Io splendore di un albero di Natale: e persino il regalo più minuscolo sarebbe un peso troppo grave per le nostre mani» — come scriveva il grande poeta austriaco Rilke alla sua mamma per il Natale di guerra del 1916.
Forse tutto questo dolore è un invito a farci uscire al di là di noi stessi per celebrare quel Bambino invisibile che ritorna per rimetterci alla prova, per chiederci — come ai pastori ed ai Magi — di andare a trovarlo oggi, qui, in mezzo a noi.
Anche per noi ci sono i segni; anche per noi c’è una stella, che ci può portare dove facciamo fatica ad andare.
Sono i nostri figli, i nostri nipotini, i figli dei nostri amici, che aspettano da noi un segno di dedizione che non sarà un colmarli di doni — ne hanno fin troppi — ma prenderli per mano e consegnarli pian piano a una vita di uomini e donne di pace, di «compassione» verso chi soffre e chi è solo, di servizio gratuito e spontaneo.
Sono i bambini lontani, che ogni giorno mendicano da noi quel pane e quell’acqua che spetterebbe loro di diritto, che noi non sappiamo offrire, che pur dovremmo dare solo per giustizia.
Sono i bambini maltrattati, ammalati, abbandonati che aspettano che qualcosa cambi per loro, così ingiustamente consegnati ad una vita inconcepibile in terra di fratelli cristiani.
Ci sono infine i bambini che fin dalla nascita portano i segni di grandi difficoltà. A volte vittime di parti difficili, altre volte colpiti da malattie gravemente invalidanti; e ancora bambini senza diagnosi, senza possibilità di sapere il perché delle loro gravi difficoltà.
Sappiamo, e cerchiamo di dirlo in queste pagine, quanti progressi si sono fatti anche per loro — almeno nei nostri paesi.
Circondati, come sono spesso, da un amore senza fine da parte dei loro genitori, sorretti dalle cure mediche e dalle terapie sempre più appropriate, seguiti dai compagni d’asilo e dagli amici più grandi, anche loro non sono più soli come avveniva in passato.
Le loro piccole vite, così provate da tante difficoltà, ce li rendono più cari di altri.
Ci sembrano rappresentare sì un grande punto di domanda — che senso ha la loro vita? — ma anche un segno del grande mistero della sofferenza innocente di fronte al quale l’umanità sempre si scontra. A questo mistero non c’è risposta.
Davanti a loro e ai loro famigliari, a noi spetta il compito di non dimenticarli, loro ed i loro famigliari, di andare loro incontro per alleviare la fatica e il peso di chi si prende cura di loro; di far loro un grande posto nel nostro cuore, perché ci aiutino a ridimensionare le nostre piccole pene; perché infine ci rendano più solleciti a raggiungere, ogni giorno, la culla di Betlemme.
di Mariangela Bertolini, 2002
Nata a Treviso nel 1933, insegnante e mamma di tre figli tra cui Maria Francesca, Chicca, con una grave disabilità.
È stata fra le promotrici di Fede e Luce in Italia. Ha fondato e diretto Ombre e Luci dal 1983 fino al 2014.
Tutti gli articoli di Mariangela
Questo articolo è tratto da
Ombre e Luci n.80
Sommario
Editoriale
«Ci è stato dato un figlio» di M.Bertolini
Solo un trattino di E. Gucciardo
Articoli
QUESTI FIGLI CHE NON PARLANO
Lettera da una mamma del Molise
Ma come fa una mamma?! di Dany
Che cosa «fare» con loro? - La Casa del Sole e il Centro di Solidarietà di C. Campanini - C. Lupi
Amici. Sempre. di Cristina
Incontri di Nanni
Natale nel mio cuore di Camille Proffit
Favola: La scopa incantata - Una fiaba di Natale di N. Livi
Casa famiglia "La Tenda"
La fola de Nadae - La favola di Natale... in dialetto veneto di G.Zaninello
Libri
Lettere di Natale alla madre, R.M. Rilke