Sì, ce l’abbiamo fatta! Senza l’aiuto di esperti o di addetti ai lavori esterni, ragazzi e amici del laboratorio in un vero teatro, con veri costumi, davanti ad un pubblico pagante, abbiamo recitato “La scoperta dell’America” del poeta romanesco Cesare Pascarella. I nostri ragazzi sono disabili mentali di lieve o media gravità, pochissimi sanno parlare con sufficiente chiarezza e, imparare a memoria un testo anche breve, è per loro impossibile. Ci chiedono: come avete fatto? Cechiamo di spiegarlo.
Scelta del testo: divertente, ma non fiabesco o infantile nel contenuti (i nostri amici disabili sono adulti), vivace ma non troppo complicato nell’intreccio. I Versi in romanesco rendevano più familiare il testo e la storia.
Sceneggiatura: Abbiamo capito che potevamo farcela solo dopo che il testo era stato ridotto prima della metà, e poi ancora della metà nella sua parte scritta. Ci siamo resci conto che, così ridimensionato, poteva essere suddiviso in sei o sette “quadri” o brevissimi atti. Presentazone della Roma di Pascarella (tutti i ragazzi in scena a raffigurare i personaggi della “vecchia Roma”), e poi Colombo e il re, Colombo e i ministri, Colombo e la regina, Colombo e i marinai, Colombo e l’ammutinamento, fino al famoso “Terra, terra”.
usica e canzoni – Dato che in ogni quadro c’era un brevissimo intervento del narratore e poche battute degli attori, abbiamo introdotto per ogni quadro una canzone, su musica nota ai ragazzi, con parole adattate alla situazione. Le canzoni sono state registrate in precedenza e hanno accompagnato un balletto, un mimo, una breve azione.
Gli attori – Fin dall’inizio ci si è accordati per recitare insieme ragazzi e ami del laboratorio. Le parti principali (Colombo, re, regina, molti marinai e ministri) sono state affidate ai ragazzi che se la sono cavata egregiamente, sia pure con qualche accorgimento. Per Colombo, per esempio, abbiamo voluto Gianni, istrione negli atteggiamenti, grande ballerino, ma in difficoltà con pronuncia e memoria. Le sue battute sono state pronunciate da un’altra persona, al microfono dietro le quinte, mentre lui recitava con grande mimica, con divertenti improvvisazioni come in «play-back».
Non sono necessari tanti soldi (ce la siamo cavata con poco più di 100 euro), ma qualche trovata di regia, fantasia, inventiva e capacità di arrangiarsi. Alcune signore del laboratorio hanno fatto miracoli con i costumi. Il criterio seguito è stato: cammuffiamoci tutti il più possibile, non ci devono riconoscere…
Luci speciali e rumori fuori scena: pochi ma essenziali (tuoni e fulmini per le scene sul mare).
Lo ricordiamo per ultimo ma è stato fondamentale, il ruolo dello «improvvisatore/intrattenitore» che durante gli intervalli (non sempre brevissimi) cantava con i piccoli spettatori le canzoni appena sentite, commentava lo spettacolo, ascoltava i loro commenti…
Abbiamo deciso di dedicarci al teatro perché quasi tutti i ragazzi manifestavano il desiderio di recitare, di mascherarsi, di ballare. Alcuni inizialmente indifferenti o confusi, poi si sono lasciati coinvolgere. Se qualcuno fosse sembrato a disagio, naturalmente, si sarebbe occupato dei costumi o della sceneggiatura con altri amici.
Credevamo al potere di coinvolgimento, alla capacità di socializzare che deriva dal fare insieme uno spettacolo ma abbiamo scoperto anche altre cose.
È importante assegnare il ruolo giusto a ciascuno o assecondando le capacità e le caratteristiche naturali della persona o, al contrario, come stimolo a modificarsi, a vedersi in modo più positivo, diverso, importante. Abbiamo visto alcuni ragazzi cambiare in parte il loro modo di comportarsi anche nella vita reale, adeguandosi al nuovo ruolo che era stato loro assegnato e che li gratificava.
Le piccole e grandi rivalità, gli scontri frequenti sono stati spazzati via dall’impegno reale di fare, di prepararsi, di uscire dal chiuso del laboratorio per confrontarsi con gli altri.
Quasi inavvertitamente è stato abolito, da parte degli amici l’atteggiamento un po’ protettivo, il linguaggio infantile non adeguato per ragazzi già grandi. E nato un modo di trattarci più autentico, (e più rispettoso nei loro confronti) nuovo., più ruvido a volte, dettato dalla necessità di fare, di non sbagliare, di dare quanto più si poteva tutti insieme.
Il messaggio è stato raccolto e i ragazzi hanno fatto del loro meglio, senza capricci e infantilismi, con tenacia e pazienza.
Abbiamo capito durante la rappresentazione che, fatto il possibile nella preparazione, non ci si può aspettare che tutto fili liscio, ma che le improvvisazioni, gli stacchi, le «intemperanze» dei nostri ragazzi, a sipario aperto, non rovinano l’effetto generale, anzi, se il testo e l’atmosfera sono quelli giusti, creano un effetto speciale, un po’ da «commedia dell’arte»…
Provare per credere. Parola degli amici dell’Alveare.
– Tea Cabras, 2002
Questo articolo è tratto da
Ombre e Luci n.
Sommario
Editoriale
Vacanza, tempo di ri... di M.Bertolini
Articoli
All'Alveare si scopre l'America... e il teatro di M.T. Cabras
Esperienza travolgente di A. Bulgheroni
Danzare... Oh... Oh... Ohoo... di L. Bertolini
La quadriglia
Una messa "su misura"
Il Kinnor di J.Cc e T. Lhotel
Handicap e liturgia di Enrico Cattaneo S.J.
Banca Etica di G. M.
Il cielo di P. A. Roberti
Noi e il lavoro oggi di T. C.
Premio “Donna 2002” di Giulia Galeotti
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