Un’idea di bene comune che parte dal non dimenticare chi, per vari motivi, rischia di essere emarginato dalla società e dallo Stato, emerge con potente mitezza dalla storia proposta dai registi Eric Toledano e Olivier Nakache (noti per il successo di Untouchables – Quasi Amici che quest’anno compie dieci anni!) nel loro film Hors Norme (The Specials. Fuori dal comune, uscito nel 2019 e attualmente disponibile a noleggio su Prime video). Ispirato a fatti e persone realmente esistenti, il film racconta le vicende di due associazioni parigine che si occupano di giovani con autismo nelle sue forme più difficili. Si tratta di minori dai gravi problemi comunicativi e con comportamenti a grave rischio di autolesionismo che difficilmente trovano spazio nelle strutture regolarmente autorizzate perché di difficile gestione e contenimento; rischiano invece di venire istituzionalizzati e andare incontro a pesanti cure farmacologiche o alla contenzione fisica.
Bruno, il responsabile ebreo osservante di una delle due associazioni, ha la debolezza (o il coraggio?) di non poter dire di no a nessuno che gli chieda aiuto. Arriva così ad accettare, in quello che è un centro diurno ma anche una casa di accoglienza straordinaria, ben più ragazzi di quelli che le sue autorizzazioni gli consentirebbero. Famiglie e servizi sanitari non sanno letteralmente a chi altri rivolgersi per cercare un’alternativa umanamente sostenibile e rispettosa dei loro figli o di coloro che hanno affidati. A sostenere Bruno, in questo impegno fuori dalle norme, l’altro protagonista, Malik, responsabile dell’associazione che si occupa di reclutare e formare all’accompagnamento di quei giovani così difficili, altrettanti giovani disagiati della periferia parigina, dando loro la possibilità di un riscatto altrimenti difficile. Malik, di religione musulmana, ha stabilito con Le Voix des Justes (nella realtà l’associazione si chiama Le Silence de Justes) una collaborazione feconda e un metodo che prevede un rapporto uno a uno per una presa in carico efficace.
Il film si svolge nell’arco di circa una settimana nella quale seguiamo l’articolato e pressante quotidiano delle due associazioni che collaborano tra loro mentre un’ispezione, sollecitata da un’agenzia statale per la salute, indaga sulla bontà e fattibilità dell’operato di Bruno. Gli ispettori osservano, indagano, interrogano… ma tutti gli interpellati (dalla madre di Joseph, trentenne autistico, al collega Malik, dalla neuropsichiatra del servizio sanitario di urgenza psichiatrica allo stesso Bruno) sembrano non avere proprio nulla da controbattere loro se non l’evidenza che quanto fatto evita drammatiche istituzionalizzazioni e rappresenta un’alternativa educativa in grado di restituire una dignitosa e accettabile qualità di vita.
Come Untouchables, questo film rivela la capacità dei due registi di affrontare un tema potenzialmente drammatico alleggerendolo con il tono della commedia; ma se la storia prende ugualmente il via da vicende e persone reali, qui è evidente lo sforzo di parlare e proporre un tema coerentemente alle intenzioni mostrate. Convinti di non voler escludere i protagonisti in un progetto che voleva parlare di inclusione, i due registi trovano un equilibrio tra documentario e finzione attraverso l’attenta assegnazione dei ruoli.
Accanto ai bravi Vincent Cassel, nel ruolo di Bruno, e Reda Kateb in quello di Malik, Toledano e Nakache affiancano gli stessi educatori, bambini e giovani con autismo seguiti dalle due associazioni ispiratrici della vicenda. Nel ruolo secondario di Joseph, un uomo autistico di circa 30 anni che vive con la madre, è stato scelto Benjamin Lesier, con un autismo meno complesso; invece, nei panni di Valentino, ragazzo dalla difficile presa in carico per via del grave autolesionismo che lo affligge, c’è Marco Locatelli, fratello di un ragazzino autistico. La storia drammatica del suo personaggio ci guida nello straordinario quotidiano associativo, e quella di Joseph le fa da contrasto con un tocco più leggero e ironico ma comunque in grado di descrivere alcuni tratti difficili del carattere autistico (come la fissazione di Joseph per gli allarmi dei treni che lo mette puntualmente a rischio di arresto o la difficoltà di trovare un’occupazione o la gestione dell’aggressività).
Nell’alternanza dei toni il film ci aiuta a riflettere su temi e dinamiche con cui dovremmo familiarizzare sempre un pochino in più: la famiglia lasciata sola ad affrontare la grave disabilità di un figlio; il paziente accompagnamento all’autonomia nella ricerca di un lavoro protetto quando è passata l’età del centro diurno – e quindi la necessaria collaborazione della società civile; accettare il fatto che i protocolli medici non sempre funzionano e che in quei casi la differenza la fanno “la fede o il cuore” di uomini come Bruno, come spiega la neuropsichiatra rispondendo alle domande degli ispettori.
Nel dirigere un cast così variegato, Toledano e Nakache hanno saputo cogliere e suscitare aspetti veri e belli delle persone con disabilità, senza mai tradirne la fiducia e la dignità. Colpiti comprensibilmente dal primo incontro con Stéphane Benhamou e Daoud Tatou (Bruno e Malik nello schermo), ce ne hanno condiviso le intuizioni radicali come quella di mettere accanto ai giovani autistici, ragazzi considerati comunemente poco affidabili segnalati dai servizi sociali. Scoprendo che questa vicinanza fa ritrovare pace interiore e senso di responsabilità, con le tante domande sull’essere umano che suscita. Due uomini tenaci e miti, Bruno e Malik, che credono fermamente nel bene comune, forti entrambi di quella fede che, seppur diversa, parte dalle necessità dei più vulnerabili e riesce a stabilire legami indispensabili perché una società cresca e divenga comunità.
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