È legge di natura che un figlio – sia il “normale”, sia quello con qualche problema – si separi dai genitori, presto o tardi, in maniera più o meno totale. Nessuno può rimanere l’eterno bambino dei propri genitori. Neppure il figlio gravemente disabile.
Solo in vista della separazione, ciascuno può raggiungere la maturità, la sua maturità, quella cui ogni persona ha diritto.
È quindi molto importante per tutti guardare a questo problema non sotto una luce drammatica, ma come ad un progredire gradualmente del bambino, dell’adolescente, del giovane.
È vero che le grandi separazioni della vita sono proprie dell’età adulta, dalla partenza da casa fino alla più drastica, la morte dei genitori. Tuttavia, tutto comincia dall’infanzia e le grandi tappe della separazione avverranno più serenamente se, fin dalla più tenera età, si saranno lasciati spuntare e svilupparsi il gusto e le possibilità di autonomia propri ad ognuno e, ovviamente, nei limiti tanto diversi a seconda dell’handicap.
Spetta a noi genitori, a noi adulti, permettere ed aiutare questa evoluzione. Non è compito facile soprattutto per i genitori con un figlio dipendente, problematico, che spesso non può – come fanno gli altri bambini – rivendicare la sua autonomia: “Io solo! Da solo!” molto presto gridano i bambini, impadronendosi di cucchiai, berretti, scarpe… I figli disabili fanno altrettanto? E possono farlo? Promuovere questa autonomia, inoltre, non è così facile. Ci sono in noi barriere delle quali non sempre ci rendiamo conto: il senso di colpa, ad esempio, di fronte all’handicap del nostro figliolo, ci spinge a fare tutto per lui, troppo a volte. Dovremo imparare a calibrare il nostro ruolo nei suoi confronti: anche lui può fare ed altri — diversi da noi — possono fare con lui e per lui.
Un altro atteggiamento mentale che favorisce l’autonomia è lo sforzo e il coraggio di fare dei progetti per il proprio figlio disabile. In questo i genitori dovranno farsi aiutare da professionisti e dalla società tutta. Ma anche qui, si può cominciare col proposito — di tutti gli adulti che lo circondano — di non trattare il bambino o l’adolescente disabile come se fosse un bimbetto: usare un linguaggio semplice ma non melenso o sfasato rispetto alla sua età; manifestare affetto e approvazione con gesti anch’essi appropriati alla sua età: non prenderlo sulle ginocchia, coccolarlo se non lo si farebbe con un altro figlio della stessa età. Trovare giocattoli che piacciono ma non troppo infantili; cercare giochi e occupazioni che lo facciano crescere e gli diano l’impressione di essere considerato “grande”. Vestirli e arredare la loro stanza in modo adatto alla loro età. “Se sistemo la stanza di mio figlio di 15 anni come quella di un bambino, corro il rischio che l’educatore che viene ad occuparsi di lui, lo tratti come un bambino!” diceva una mamma.
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Aiutare il bambino, poi l’adolescente e infine il giovane adulto, a sviluppare l’autonomia necessaria perché possa progressivamente separarsi dai genitori e acquisire la propria identità e maturità, richiede un atteggiamento interiore ma anche comportamenti adeguati. Si tratta di un lungo e paziente lavoro di apprendimento in famiglia, a scuola e nella vita: “L’autonomia mobilita tutta la famiglia — diceva una mamma — ma deve anche mobilitare la scuola e noi tutti”. Questo apprendimento si fa attraverso i mille piccoli gesti della vita quotidiana come per tutti i bambini: mangiare, vestirsi, lavarsi. Questo è più difficile, più lungo, più incerto; richiede, a volte, un’infinita pazienza e molto tempo e, qualche volta, un po’ d’immaginazione (semplificazione e adattamento nei vestiti, bottoni più grandi, scarpe senza lacci…).
Man mano che si cresce, l’autonomia è anche prendersi in carica: preparare i propri indumenti, riordinarli; più tardi imparare a lavarli, a stirarli…naturalmente nei limiti delle possibilità estremamente variabili.
Il prima possibile bisognerà insegnargli a scegliere. Si dimentica facilmente, infatti, di chiedere al figlio disabile di esprimere i suoi desideri, la sua opinione, la sua scelta. Si sceglie, si decide, si fa al suo posto. Non gli si dà l’occasione, non gli si lascia il tempo. Non è sempre facile ottenere una risposta, ma se decidiamo tutto per lui, non imparerà mai ad essere se stesso, saprà dire solo “sì, mamma” o si chiuderà nel silenzio.
Un’altra condizione allo sviluppo dell’autonomia è la partecipazione attiva alla vita comune, a casa, a scuola, nei luoghi d’incontro: sport, parrocchia, gruppi, ecc. Partecipare attivamente vuol dire “fare con” e non solo guardare passivamente; è avere un ruolo, anche se molto semplice; è imparare le responsabilità verso gli altri: tutto questo può cominciare molto presto e con piccole cose. Aiutare in casa: facciamo lavorare l’immaginazione per trovare qualcosa da chiedere al figlio maldestro: “Puoi aiutarmi mentre faccio questa cosa…”; “Tu che ricordi tutto, pensa a portare questo oggetto dalla nonna…”. Acquisire una certa autonomia, avere un ruolo, costruirsi un’identità, raggiungere progressivamente una certa maturità che include la capacità di dare agli altri, tutto questo nei limiti delle possibilità di ciascuno, ci sembra un ottimo progetto educativo anche se, talora, molto difficile.
Tanta fatica sarà premiata se il nostro ragazzo saprà accogliere, senza grandi traumi, le inevitabili separazioni della vita.
– Nicole Schulthes, 2002
Nicole Marie Therese Tirard Schultes
Ha studiato Ergoterapia in Francia e negli Stati Uniti, co-fondando nel 1961 l'Association Nationale Francaise des Ergotherapeutes, (ANFE).
Trasferitasi a Roma, incontra Mariangela Bertolini e insieme avviano nel 1971, su invito di Marie-Hélène Mathieu, le attività di Fede e Luce e partecipano all'organizzazione del pellegrinaggio dell'Anno Santo del 1975. Dal 1983 al 2004 cura con Mariangela la rivista Ombre e Luci. Per anni ha organizzato il campo estivo per bambini e famiglie sul campus della scuola Mary Mount a Roma.
Questo articolo è tratto da
Ombre e Luci n.77
Editoriale
Andiamo avanti di M. Bertolini
Articoli
Un libro interessante sull’adolescenza dei ragazzi disabili di M.T. Mazzarotto
Accettare che mi lasci di M.H.Mathieu
Come preparare il distacco di N. Schulthes
Conoscere l'handicap: la sindrome Williams di Redazione
Scuole di lavoro di Jean Vanier
Storie di rapporti umani di Redazione
Rubriche
Libri
Piccoli messaggeri d’amore: genitori di bambini con la sindrome di down,
Nella stessa barca, AAVV