Yves Pélicier, professore di medicina a Parigi, medico dell’Ospedale Necker, risponde in questo articolo chiaro e umano.
La grande e (buona) notizia che le teorie della comunicazione ci hanno offerto in questi ultimi anni è che non si può non comunicare: il silenzio, i gesti, il rifiuto, il mutismo, la stessa violenza e l’agitazione dicono o vogliono dire qualcosa. L’essere più ridotto, più isolato per l’incapacità di entrare in relazione è un «libro» straordinario nel quale possiamo scoprire molte cose purché accettiamo di decifrare senza lasciarci scoraggiare.
Nessun essere umano, quale che sia il suo handicap, è una pietra. Sente, può soffrire, può far soffrire, può godere, dunque ci dice, ci lancia messaggi. L’atteggiamento peggiore è vedere solo il caso, l’incoerenza, l’accidente; laddove invece c’è un bisogno, una paura, un desiderio. E’ così facile, una volta per sempre, rinchiudere l’altro in uno stereotipo (opinione precostituita che prescinde dalla valutazione del singolo caso), risparmiando così lo sforzo dell’incontro!
Capirsi senza parole
Il filosofo tedesco Max Sheler ha scritto bei testi sulla natura e le forme della simpatia, cioè quel moto che ci fa coincidere con l’altro per rallegrarci o affliggerci insieme. Insiste anche sull’empatia, quel sentimento che ci porta a capire ciò che l’altro prova e vive, senza bisogno del linguaggio. Siamo qui alla radice stessa dell’amore. E’ sorprendente costatare come questa empatia la troviamo spesso nei genitori dei bambini psicotici.
La madre, molto spesso anche il padre, possono interpretare i fatti, i gesti e le espressioni del figlio con una rapidità straordinaria, come se fra loro esistesse un codice segreto del linguaggio ad uso intimo. Da questo punto di vista, è evidente il contrasto fra le famiglie dove questa comprensione funziona bene e quelle dove la comunicazione è difficile se non addirittura nulla o gravemente alterata. In questi ultimi casi, i comportamenti psicotici sono quasi sempre vissuti come sorprese, come drammi…
Bisognerebbe sempre interrogarsi sulle motivazioni profonde delle persone, senza lasciarsi troppo sviare dalla volontà di capire attraverso le differenze e le anomalie apparenti.
Fra un essere sano e un essere umano molto sminuito ci sono sempre molte più cose che avvicinano di quelle che separano o distinguono.
Le fonti della paura
All’inizio di ogni comportamento, c’è il bisogno di sicurezza e quindi la paura per tutto quanto minaccia questa sicurezza.
Ogni uomo può aver paura; la soglia è più o meno elevata, ma nessuno può sfuggirvi. Solo che la paura è quasi sempre vissuta sul piano personale. Cioè, la mia paura non è la paura dell’altro, e quel che fa paura a un altro può sembrarmi assurdo e ridicolo. Così, siamo portati a sorridere delle paure infantili senza saper riconoscere che è proprio lì la radice delle nostre future paure di adulti. Uno dei più grandi misteri della psicologia riguarda senza dubbio le origini delle paure nel bambino psicotico.
Quando gli esperti ci dicono che ciò che domina in loro è l’angoscia del «frazionamento», ci ricordano che uno dei fantasmi più arcaici riguarda l’integrità del nostro corpo. Ciò che è rotto o è sul punto di esserlo in maniera intollerabile, richiama alla mente di una persona che si distingue a stento dalla realtà che la circonda, la sua propria distruzione. Perché io percepisca bene i pericoli, bisogna che io sappia dove comincio e dove finisco. Altrimenti, vivrò come un’aggressione anche il camminare sulla mia ombra.
Quando si vive con un paziente, spesso si impara fin dove si può e fin dove non si può andare, quello che si può o non si può dire… Questa serie di limitazioni e di norme è soprattutto frutto di un’esperienza non detta e spesso non codificata a proposito dei bisogni di sicurezza del paziente. Questo spiega come mai persone nuove, cose nuove suscitino spesso reazioni di panico. La neofobia (paura delle cose nuove) è comune a tutte le persone fragili: i cambiamenti devono essere sempre cauti.
Quelle piccole cose insignificanti
D’altra parte, in materia di comportamento non esiste una scala di valore comune: la piccola cosa di uno è forse un fenomeno immenso per un altro. Tutto il tatto dell’educatore è nel riconoscimento e nell’accettazione della sensibilità e dell’ipersensibilità degli altri. Non è possibile conoscere a priori la reazione a quel che accade o si fa. In fondo il bambino psicotico è imprevedibile solo a chi «osserva dall’alto».
In pratica, una delle fonti di sicurezza più immediate è la regolarità. Quel camminare in tondo senza fine, quel gesto ripetuto all’infinito, quella nenia, quelle piccole cose che diciamo insignificanti perché ne ignoriamo il significato, sono mezzi con i quali il bambino psicotico vuole assicurarsi e rassicurarsi.
Quello che gettiamo con il pretesto di fare ordine e pulire casa, non è solo un «caro pezzetto di carta» o un pezzettino di spago, ma il deposito in cui nostro figlio ha posto un po’ di fiducia in se stesso.
Anche se l’espressione sembra troppo forte per il livello di coscienza che immaginiamo in questo essere così sminuito, si tratta proprio di questo: toccare, e a maggior ragione distruggere, le cose che appartengono al bambino psicotico — cioè le cose che sono allo stesso tempo esterne a lui e intimamente legate al suo essere — equivale a mutilarlo.
Un altro insegnamento ci viene dallo studio sui feriti in guerra, fatto durante la prima guerra mondiale da Kurt Goldstein. Il neurologo tedesco analizzava le «reazioni di catastrofe» provocate su persone gravemente ferite al cervello da situazioni che richiedevano un adattamento — per quanto minimo — del comportamento. Incapaci di far fronte con la loro struttura neuropsichica, fuggivano nella risposta emozionale aberrante, senza rapporto con la realtà della situazione.
E’ quanto il sociologo nordamericano Kurt Lewin ha osservato in un’altra maniera.
Si pone un individuo normale in un ambiente recintato con l’obbligo di cercare la soluzione di un problema che di fatto non ha soluzione. Dopo molti sforzi infruttuosi, l’individuo ha come scelta o lo scoraggiamento e la passività (si addormenta), o il delirio (inventa una soluzione irreale) o la violenza (trasgredisce le consegne ed esce dal recinto).
Trasportiamo queste nozioni in relazione alla persona psicotica e vediamo come sia facile provocare la «reazione di catastrofe», non essendo stato preventivato se la risposta rientra nelle possibilità della persona, né l’eventuale frustrazione intollerabile che risulterà dall’insuccesso.
Contro la sorpresa, l’innovazione e il cambiamento d’atmosfera, la persona psicotica fa uso abbondantemente di rituali e di ripetizioni. Allora la vita sembra ridotta a un gioco d’automatismo e di meccanismo, ma dietro c’è sempre una realtà emozionale viva e molto forte.
L’atmosfera
Bisogna dire anche qualche parola sulla nozione di atmosfera. (Un grande clinico, H. Tellenbach le ha consacrato un bellissimo libro).
L’atmosfera è una dimensione dell’incontro che precede il linguaggio. Rappresenta il risultato dell’emanazione degli esseri, sul piano degli atteggiamenti, delle mimiche e delle intenzioni. Si è notato da tempo, come in certi ospedali quando i medici avevano dei conflitti fra loro, i pazienti ne risentivano e stavano peggio.
Chi non sa quanto i bambini psicotici sono sensibili all’atmosfera famigliare?
Le discussioni, le preoccupazioni non possono essere dissimulate: ne seguono allora il peso dell’inquietudine e la minaccia che altera i comportamenti. E’ vero che è assolutamente impossibile evitare gli inconvenienti dell’esistenza, ma bisogna saperne ridurre l’impatto.
Partendo dalle note precedenti, si capisce che l’agitazione, il negativismo, la violenza, la mancanza d’appetito, vogliono «dire» qualcosa che può essere ascoltata. L’importante è analizzare in quale sistema i fatti osservati hanno luogo e non cedere a una forma di risposta elementare e spesso inadeguata. La persona psicotica più dell’individuo normale è in un sistema. Questo sistema è il sostegno che gli permette di vivere e, eventualmente, di migliorare la sua presenza.
Lo psicotico è una presenza che non si definisce solo in termini negativi. E ancora, è la persona psicotica che è l’anima del sistema. Questo scambio è molto importante e ad ogni costo va mantenuto.
Il vero volto dell’altro
L’ostacolo maggiore, più che nello stato mentale del bambino psicotico, è nell’atteggiamento dei partecipanti al sistema: genitori, fratelli e sorelle.
Non si tratta qui di giudicare o criticare dall’esterno — cosa fin troppo facile — ma di sottolineare con quanta facilità cadiamo nell’ambivalenza e nella strategia illogica. Il bambino psicotico ha evidentemente bisogno d’amore — che è alla base di ogni relazione — ma ha anche bisogno di continuità e di stabilità nel contatto. Nel caso della schizofrenia — problema senza dubbio diverso — sembra che il fattore più serio nella ricaduta sia il sovraccarico emotivo famigliare. E’ vero che ogni bambino psicotico è un sensitivo, rivelatore delle tensioni e delle rotture del sistema.
Nei confronti di ogni persona handicappata, è quasi normale che ci sia in qualche momento l’idea della sua morte; contro queste idee, ci difenderemo con un senso di colpa, quindi raddoppiando le attenzioni e gli sforzi.
Questa realtà è nota, ma dà ugualmente origine a una riserva di stati affettivi superpotenti che interferisce con il quotidiano e lo perturba.
La malattia, soprattutto la malattia mentale grave, è uno schermo che maschera la profondità dell’altro e la sua autenticità. Al di là della maschera, lo sguardo dell’amore sa, ogni tanto, scoprire il vero viso dell’altro che è anche il nostro figliolo. Questa relazione, liberata dall’accidente, è ancora possibile per poco che con umiltà e perseveranza cerchiamo, sotto la triste scorza delle cose, il grande significato dell’Essere.
-di Yves Pélicier, 1984 da Ombres et lumière N. 61
Questo articolo è tratto da
Ombre e Luci n.6, 1984
SOMMARIO
Editoriale
Il mistero del bambino psicotico di Marie Hélène Mathieu
Quattro storie
Figlio mio non credo di Delia Mitolo
È sempre stato rifiutato di Lina Cusimano
La legge sull'integrazione di Vincenzo e Irene Ruisi
“La riabilitazione nella scuole”. Ma la bambina non è tenuta in classe
di L.N.
Altri articoli
Nessun uomo è una pietra del Prof. Yves Pélicier
Psicosi precoci del Prof. Jaques Didier Duché
Un centro per la cura della psicosi di N. Schulthes e S. Sciascia
Psicosi infantile: alcuni consigli utili
Rubriche
Libri
Vivere con un bambino autistico, A. e F. Brauner