Per lei che lo ha vissuto in prima persona, il conflitto nella ex Jugoslavia sarà sempre il fulcro attorno al quale costruire il suo cinema. Ora Jasmila Žbanić, regista bosniaca, ha deciso di cimentarsi con una delle pagine più nere della storia europea recente: il massacro di Srebrenica.
Per affrontare un tema così delicato, la regista si è ispirata a una storia vera – pur cambiata nella sostanza per motivi narrativi – capace di avere anche grande valore metaforico. La Aida del titolo, infatti, è l’interprete delle truppe olandesi delle Nazioni Unite, responsabili della sicurezza della zona libera di Srebrenica che invece le milizie serbe invasero senza farsi troppi problemi. Nella prima scena, Aida traduce l’incontro tra il sindaco della città e i militari olandesi che la dovrebbero difendere. Il sindaco non crede alle parole dei militari, i militari si disinteressano delle proteste del sindaco: la riunione produce solo parole vuote. Tutte le parole che Aida traduce sono vuote, impalpabili come l’aria. Sono senza valore le parole di chi rappresenta la comunità internazionale, le parole senza onore dei militari serbi, le parole che i bosniaci si scambiano tra loro per farsi forza. Il lavoro di Aida è tradurre menzogne manifeste, raccontare agli altri un mondo che non esiste, laddove i fatti raccontano tutt’altra storia.
Aida nella vita civile era una maestra, ma la cultura che cercava di insegnare non ha prodotto nulla; in guerra fa la traduttrice ed è un’altra attività che risulterà inutile anche quando le sue parole diventeranno urla, suppliche, grida di dolore. È una storia di guerra dal punto di vista di una donna, girato da una donna capace di ricostruire in modo elaborato e spettacolare un evento reale, mescolando fatti di cronaca di cui già sappiamo la fine – anche se probabilmente solo in modo superficiale – con la tensione cinematografica degli eventi fittizi. Così, se non altro, almeno la traduzione in immagini di un terribile evento reale è riuscita.
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