Una maestra racconta i problemi, i progressi, le tecniche usate durante i tre anni in cui Andrea, bambino Down, ha frequentato la prima, seconda e terza elementare. 

Ho vissuto con Andrea, un bambino con sindrome Down, per tre anni. L’ho visto entrare in classe e ricercare fiducioso il mio abbraccio, ho assistito ai numerosi cambiamenti avvenuti in lui giorno dopo giorno.
Ho senz’altro ricevuto molto più di quanto non abbia dato e con me ogni bambino che gli è stato accanto.
Accoglierlo, seguirlo, non è stato facile.
Non ho ottenuto tutto quanto mi ero proposta e non posso dire che, arrivato in terza elementare, le acquisizioni di Andrea potessero paragonarsi a quelle di tutti gli altri.
Ma quali obbiettivi si debbono perseguire di fronte ad ogni bambino? Che abbia o meno handicap, poco importa.
L’essenziale è partire sempre, con ogni allievo, dalla situazione reale in cui esso si trova e promuovere quanto più possibile, con i mezzi più appropriati, lo sviluppo delle potenzialità insite in ogni persona.

Una preparazione buona e precoce

La storia scolastica di Andrea contiene molti presupposti positivi per favorire una corretta integrazione nell’ambito della classe. Egli viene inserito in prima elementare all’età di 6 anni e due mesi, nello stesso Istituto Privato in cui ha frequentato per tre anni la scuola materna. Fin da questo primo contatto con la scuola, si cerca di creare le condizioni ottimali per una positiva integrazione e l’insegnante, formando i gruppi destinati alle sezioni di prima (elementare), inserisce Andrea in uno composto da circa dodici bambini della stessa classe (materna), uniti da buoni legami affettivi e di comunicazione.
Ma tutti i ventisette bambini da cui risulta composta la prima, dopo il momento iniziale, accettano pienamente Andrea e così i loro genitori che anzi, anche al di fuori dell’ambito scolastico, lo invitano con sollecitudine ed insistenza a feste di compleanno o in altre occasioni.
Al primo impatto con il nuovo ambiente, Andrea viene avviato a percepire che gli spazi e le attività della classe sono organizzati in modo diverso da quelli della scuola materna. Come prima regola gli si insegna a non uscire dalla porta senza permesso.
Da una prima osservazione del comportamento, appare fortemente distruttivo nei confronti degli oggetti: spezza fogli, matite, gomme, righe e non ha cura del proprio materiale didattico. Non presta attenzione alle conversazioni comuni e molto spesso manifesta opposizione a semplici richieste.
L’esame dei prerequisiti alla lettura e alla scrittura trova però Andrea molto preparato. Egli sa già leggere e usare il carattere stampato.
A questo hanno provveduto i suoi genitori che lo seguono in modo encomiabile e fin dalla nascita lo hanno stimolato costantemente. Con essi non è mai mancato il colloquio e lo scambio di informazioni su Andrea; anzi con disponibilità reciproca il dialogo fra noi si è fatto sempre più aperto e approfondito. Senza dubbio, nella mia esperienza decennale di insegnamento, essi sono stati fra i genitori più attenti e sensibili che abbia incontrato.
Questo positivo rapporto scuola-famiglia ha quindi influito molto sul lavoro più strettamente didattico che è stato sempre continuato oltre l’orario di classe.

Maestra di sostegno: Come? Quando?

Inizialmente, vista l’incapacità di Andrea a seguire il ritmo degli altri e constatato che si applicava solo se seguito individualmente, si è richiesto l’aiuto di un’insegnante che nel primo anno di scuola, per due ore, tre volte alla settimana al di fuori della classe cercasse di incrementare l’attenzione e l’ascolto. Ma una vera collaborazione fra me e una diversa insegnante di sostegno si è instaurata solo nel secondo e terzo anno. Con la nuova insegnante, infatti, ci siamo preoccupate che l’intera classe tutti i giorni si abituasse ad avere due insegnanti e che nel momento delle attività specifiche per Andrea, egli non dovesse farle da solo ma inserito in un piccolo gruppo.
Da sottolineare il rapporto strettissimo di comunicazione e di affetto che si è stabilito fra l’insegnante di sostegno e Andrea, fondamentale per tutto ciò che si è potuto realizzare.

A scuola si impara. Come?

Quali lavori specifici si sono rivelati più produttivi?
E’ noto quanto sia necessario, soprattutto nelle prime classi, promuovere attività psicomotorie perché attraverso il movimento il bambino esplora la realtà, la conosce, la modifica, diventa via via in grado di rappresentarla e di ricostruirla anche a livello simbolico.

Le attività psicomotorie, soprattutto nelle prime classi, sono necessarie perché attraverso il movimento il bambino esplora la realtà, la conosce, la modifica.

Non meno importanti sono anche le molteplici esperienze che il bambino deve compiere guardando, toccando, confrontando, riflettendo… Per questo scopo ad Andrea, e con lui alla classe, sono state presentate inizialmente attività richiedenti le azioni di: manipolare, piegare, strappare, incollare, ritagliare… unitamente ad esercizi gioco più direttamente interessati al grafismo: disegno, coloritura di spazi, tracciati di percorsi…
Superata questa prima fase, tali esercizi sono stati meno intensi ma si è continuato a fare riferimento ai movimenti per l’acquisizione della teorizzazione e dei concetti spazio-temporali fondamentali, o alla percezione e manipolazione per arrivare ad esempio al concetto di quantità e numero non per semplice addestramento mnemonico, ma tentando e ritentando affinché si sviluppassero adeguate capacità di raggruppare, associare, mettere in relazione e successivamente di comprensione dei simboli aritmetici quale il Più e il Meno.
Quanti esercizi con spago, sabbia, dadi, sassi per avviarlo al confronto!
Andrea osserva: E’ più lungo? E’ meno corto? Dove ce ne sono di più? Sono tanti… quanti?
Anche per stimolare la comunicazione orale il programma per obiettivi graduati ha cercato di migliorare l’ascolto, di mirare all’espansione della frase affinché giungesse in futuro a formulare periodi maggiormente articolati e completi.

Ogni bambino, in classe, è unico

Queste e numerose altre sono state le attività didattiche per Andrea. Ma esse non costituiscono l’aspetto più qualificante dell’esperienza di inserimento.
Con le strutture e i mezzi adeguati ogni classe dovrebbe avere bambini con handicap. Non solo perché è dal contatto con tutti i bambini indistintamente che si possono migliorare l’autonomia, la capacità di comunicazione e di interazione con gli altri, ma anche perché gli altri imparino ad accogliere ogni persona scoprendone il valore. A noi Andrea ha insegnato ad esprimere senza riserve i nostri slanci affettivi; ci ha meravigliato tante volte con la sua sensibilità, accorgendosi dell’assenza di un compagno, domandando «come stai?» a chi vedeva triste, andando incontro a chiunque bussasse alla nostra porta, stimolando tante conversazioni fra me e i bambini, fra i bambini e i loro genitori e, chissà, forse a molti altri che ci hanno visto insieme. E’ poco?
E’ un’esperienza che ha avuto molti presupposti positivi?
Ho affrontato sempre nel modo più giusto i momenti di difficoltà, quando Andrea interrompeva l’atmosfera di lavoro e si rifiutava ostinatamente di rispondere alle richieste?
Si poteva fare di più? Non so.
Sono certa che Andrea aveva il diritto di trovare spazio nella classe, al pari degli altri e perché io potessi maturare ancora di più la convinzione che ogni bambino deve essere educato, qualunque esso sia, nel rispetto della propria unicità.

Questo articolo è tratto da
Ombre e Luci n.4, 1984

Ombre e Luci n.4 - Copertina

SOMMARIO

Editoriale
"Il mio bambino con la sindrome Down" di Mariangela Bertolini

Dossier: Trisomia 21

Trisomia 21 di Jerome Lejeune
Saverio di Marie N. Lauth
Quando la vita è così difficile di Gilberte Roger N.
Andrea a scuola di Anna Bernardi
Quando sono adulti di Jean Vanier
Il lavoro di Gianni di Sergio Sciascia

Rubriche

Dialogo Aperto n.4
Vita Fede e Luce n.4

Libri

La debilità mentale, Autori vari
I giullari di Dio, Morris West
Meb, pittore gioioso, Marie-Luise Eberschweller

Andrea a scuola ultima modifica: 1983-12-28T16:42:27+00:00 da Redazione

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